TRACCE DI MEMORIA 

Grey polka dot pattern

Acqua Fresca Se ti allontani di un solo km da San Michele, andando verso San Vito,!incontri un borgo con costruzioni in pietra, intorno a una piazza, rifatta da poco. All’ingresso della piazza, una piccola chiesa , consacrata alla Madonna del Carmine, con altare dipinto domina l’unica navata. Le fanno compagnia sui muri dipinti altri santi , tra cui San Michele Arcangelo, che come al solito spinge il diavoletto sotto terra. Ajeni detta anche Ajene, era una masseria, più antica di Masseria Nova (attuale San Michele) ,apparteneva al principe di San Vito Dei Normanni. La piazza era l’aia, ed essendo una masseria, dove soprattutto c’erano le pecore, si tagliava e si cardava la lana, almeno così mi diceva mio nonno Cataldo. Ma la cosa bella della piazza di Ajeni, secondo me è la fontana. Fin da quando ero bambina, se una persona voleva l’acqua fresca a San Michele, doveva andare ad Ajeni,oppure se aveva dieci lire o cinque lire da spendere, andava sulla piazzetta piccola, con il boccale vuoto e se lo faceva riempire di ghiaccio da Lorenzo , che aveva il bar adiacente alla chiesa Madre su piazza Dante.

Diario Siamo alla fine del mese di maggio. Il mese delle rose, il mese della Madonna. A San Michele, ogni anno la Madonna si fa’ il giro delle case, nel senso che chiunque può prenotarsi con la parrocchia per ospitare per un giorno intero la statua della Madonna. Per 24 ore si abbandona ogni attività si prega e si canta , fino a notte fonda , poi si può anche fare la veglia. Io per molti anni l’ho ospitata a casa di mia madre, allestivo l’altare con fiori ( sempre rose dai colori tenui) e tovaglie ricamate dalle mie nonne. Quando andava via e veniva portata a spalla da me e dalle mie amiche, si creava un vuoto in casa incredibile . Una di quelle amiche ieri mi ha detto che ospiterà la Madonna , ma non in casa, fuori dalla porta, perché bisogna evitare gli assembramenti, bisogna stare a distanza di sicurezza e con la mascherina.Prima pregare univa, ora invece....Siccome la Madonna è una donna speciale anche DANTE , nel suo PARADISO nel 33 esimo canto l’ha voluta omaggiare con queste meravigliose parole:

Vergine Madre ,figlia del tuo figlio, Umile e alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio, La tu se’ colei che l’umanità natura nobilitasti sì, che ‘l suo fattore. non disdegnò di farsi sua fattura. Ecc......... con tre parole Dante ci dice tutto di Maria : Vergine, Madre e Figlia di Colui del quale è madre.In queste tre parole c’è tutto quello che crediamo di Maria.Ma quello che crediamo di Maria lo speriamo anche per tutta la Chiesa che siamo noi e di cui Maria è l’immagine più significativa.

Biografia Maria&nbsp;Grazia&nbsp;Chiese&nbsp;,&nbsp;nasce&nbsp;il&nbsp;13/5/1956&nbsp; a&nbsp;San&nbsp;Michele&nbsp;Salentino,&nbsp;un piccolo&nbsp;,&nbsp; giovane&nbsp;e&nbsp;dinamico&nbsp;paese&nbsp; del&nbsp;Brindisino. Frequenta&nbsp;le&nbsp;elementari&nbsp;e&nbsp;le&nbsp;medie &nbsp;nello&nbsp;stesso&nbsp;paese&nbsp;e&nbsp;le&nbsp;scuole superiori&nbsp; a&nbsp;Francavilla&nbsp;Fontana. Dopo&nbsp;la&nbsp;maturità&nbsp;si&nbsp;iscrive&nbsp;alla facoltà&nbsp;di&nbsp;Farmacia&nbsp; presso&nbsp;l’Università&nbsp;di&nbsp;Bari&nbsp;ove&nbsp;si&nbsp;laurea. Per molti anni lavora come&nbsp;farmacista&nbsp; in ospedale&nbsp;e&nbsp;in farmacie private. Attualmente&nbsp;è&nbsp;amministratore&nbsp;delegato&nbsp; della&nbsp;Vipdent&nbsp;Srl società&nbsp;di&nbsp; servizi&nbsp;odontoiatrici. Scrive&nbsp;su&nbsp;FB&nbsp;e&nbsp;racconta storie vissute&nbsp; o&nbsp;tramandate. Ha&nbsp;adottato&nbsp;una&nbsp;frase&nbsp;di&nbsp;Gianni&nbsp;Rodari&nbsp; che&nbsp;dice:”&nbsp;vorrei&nbsp;che&nbsp;tutti leggessero,&nbsp; non&nbsp;per&nbsp;diventare&nbsp;letterati&nbsp;o&nbsp;poeti, ma perché nessuno sia più&nbsp;schiavo”. &nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;

Dolce Rosso In prima , seconda e terza elementare la mia maestra si chiamava Clara Liuzzi .Era una delle tre sorelle, anche loro maestre. Una di loro aveva insegnato ai miei genitori.La maestra Clara, era alta , magra, con capelli bianchi e lisci tagliati tutti pari e portati dietro alle orecchie, e dei bellissimi occhialini neri , quadrati sul naso. Non so come erano capitate a San Michele, perché avevano studiato a Firenze. Lei , era la più piccola delle tre sorelle, abitavano insieme, vicino casa di mia nonna. La mattina, quando passava, mi prendeva per mano e mi portava a scuola. Era anche una brava pittrice,suonava il pianoforte e aveva una casa con un giardino pieno di fiori, soprattutto di rose. A scuola, mi faceva fare tante cose, diceva che ero abbastanza capace. Mi faceva sempre leggere e recitare le poesie a memoria. Non tutti sapevamo leggere bene e quasi nessuno imparava le poesie a memoria, non perché non erano in grado di farlo, ma perché , le mamme erano impegnate nei lavori dei campi e per i figli e la scuola c’era poco tempo. Lei allora si inventò un premio. Chi riusciva a dire bene le poesie, aveva in regalo una caramella ROSSANA.

In questo modo pensò, qualcuno imparerà le poesie. Io le imparavo sempre e lei mi dava la caramella. Il bello della caramella, non era la caramella, ma era la carta trasparente rossa che la avvolgeva. Quella per noi bambine era il massimo, perché ci mettevamo vicino al vetro della finestra , in classe e guardavamo il cielo e le case, che apparivano di colore rosso. A turno tutte guardavamo il cielo rosso nel piccolo rettangolo del l’involucro delle caramelle Rossana. La caramella poi era una delizia, di colore giallo scuro, con una crema morbida dentro. Lei diceva, oggi sono andata a Brindisi e ho preso le caramelle, e tutte noi imparavamo a memoria le poesie perché il premio era la caramella. A San Michele non si vendevano.

Sapeva tutto di noi , e cosa studiavamo, cominciò dicendo che la chimica non portava da nessuna parte, perciò lui aveva deciso di dividere la rimessa in due parti. Una parte con scaffali e cassetti pieni di erbe secche, che erano aperti e tutti potevano mettere le mani dentro, ”prego toccate e odorate”, poi dall’altra parte, c’erano scaffali chiusi da vetri opachi, con dentro scatole di farmaci, credo vuote e il tutto era chiuso con catene e lucchetto. ”Vedete” e indicava le erbe secche” qui c’è la vita”, poi si girava dall’altra parte dove c’erano le scatole di medicinali e diceva ”Vedete, qui c’è la morte”. Noi non sapevamo cosa dire, ma lui ci guidò fuori e ci spiegò che ogni giovedì operava nel trullo, sua moglie cuoceva le erbe in un grosso pentolone sull’aia e lui le somministrava , come fossero panacee per tutti i mali. Faceva un trattamento con le sanguette ( sanguisughe), che serviva per togliere il sangue marcio dalle dita delle mani in caso di geloni, una mia amica si era sottoposta a questo trattamento e ne aveva avuto giovamento.

Per l’ulcera consigliava di ingoiare le lumache vive senza masticare,poi c’era un trattamento per i “ malati di cuore”, che consisteva nel prendere la persona e chiuderla nel trullo , insieme alle sue erbe magiche per molte ore al giorno e per di più al buio. Confezionava sciroppi per la tosse e comunque spesso ci azzeccava, chissà che cosa avrebbe tirato fuori dal suo armadio per combattere la pandemia. Certo oggi questa storia sembra una cosa fuori dal mondo, ma pensate che è successa circa quaranta anni fa. Col senno di poi, penso che mi sarebbe piaciuto approfondire questa conoscenza, chissà quante cose avrei imparato, cose che non si trovano sui libri, ma che si tramandano con la parola. Dopo aver costruito la rimessa, costruì anche una cappella molto grande, arrivavano persone da tutte le parti, per avere suoi consigli, a volte vedevo file di macchine che arrivavano fino alla strada provinciale e venivano parcheggiate lungo la via che portava alla sua campagna- clinica.

Tornavamo al trullo esausti, dopo che mamme e nonni ci avevano chiamate più volte, allora erano sgridate e piccole minacce, ma noi non ci facevamo intimidire e scappavamo via sul trullo, dalla scaletta laterale che adesso non c’è più. La scaletta era tutta in pietra e molto stretta e ripida, in primavera, sotto nella terra , nascevano tanti fiori bassi e corti, di colore lilla, con un calice che conteneva i pistilli arancione scuro(il fiore del croco dai suoi pistilli si estrae lo zafferano). Mio nonno aveva portato i bulbi dall’Abruzzo. Ogni anno spuntavano ed era bellissimo vedere questi fiori di colore rosa lilla, con il contrasto del prato verde e il trullo bianco di calce. Oggi al posto di questo piccolo paradiso , c’è un pozzo decorato con carrucola in ferro battuto e la scaletta è stata tolta. Il resto è rimasto intatto, per fortuna, anche se rimaneggiato il trullo si è salvato insieme alla cappella di Santa Lucia , che da’ il nome al trullo.

o code di cavallo, ma poi ci accontentavano e imparavano a fare questo tipo di pettinatura. Torniamo a quando decidemmo di farle il regalo di nozze. Facemmo in classe una colletta, oggi si chiama raccolta fondi, ma allora si diceva colletta,tutti parteciparono e così cominciò la scelta del regalo. Chiaramente si spaziava dalle pentole ai fiori ai soprammobili ai centrini e via discorrendo, finché una ragazza della classe disse che forse si poteva andare nel negozio di stoffe della madre, che vendeva anche altra merce per trovare qualcosa di adatto. Tutte fummo d’accordo. La signora Uccia ci piacque subito, perché era di Ostuni, lo stesso paese della professoressa. Aveva il negozio in via Parini e così ci presentammo in massa nel suo negozio, ma non ci piaceva niente, a un certo punto tirò fuori una scatola di cartone bianca con scritte in oro con dentro una “pariure” formata da tre pezzi: vestaglia da camera, sottoveste e mutandoni il tutto taglia 56,

però era una cosa molto bella da regalare perché era di colore celeste molto chiaro e delicato, con bordo in pizzo, che avvolgeva scollatura , maniche e mutande ed era di organza trasparente. Chiaramente i soldi non erano sufficienti, ma pur di vederci andare via, dopo tanta caciara disse che andava bene così e comunque si dovevano coinvolgere anche le mamme, che forse sapevano più di noi. L’ultimo giorno di scuola, non stavamo più nella pelle, abbiamo chiamato la professoressa e le abbiamo consegnato il regalo. Lei rimase molto colpita da questo nostro gesto e ci assicurò che dopo l’estate ci avrebbe portato i confetti. Col senno di poi, ripenso a questo episodio e a come ci aveva colpito questa professoressa, non so’ il suo stupore quando apri’ il regalo, che sicuramente era inadatto , dato che si trattava di biancheria intima e poi ragazzi taglia ...56, lei al malapena aveva una taglia 42. Sarebbe bello sapere se c’è ancora e cosa fa.

Storia di bottiglie Quando nel lontano 1974 non c’era la raccolta differenziata a San Michele la famiglia Cavallo , pensò di usare in modo costruttivo il vetro. Esiste infatti una cappella votiva dedicata alla Madonna , costruita con 2500 bottiglie che sono state raccolte dai bar. Si tratta di bottiglie di vecchi marchi italiani,esattamente : vecchia Romagna a forma di triangolo, lemon soda di colore verde e gingerini, venivano messe da parte dal proprietario del bar Degli Amici e almeno la metà di queste bottiglie provengono da quel bar. Il progetto però andava per le lunghe, a causa del numero elevato di bottiglie che servivano per la costruzione della cappella e la realizzazione di quest’ultima cominciava a vacillare. Dopo qualche tempo, ai costruttori arrivò voce che nella pezza della masseria di Casamassima c’era una discarica di rifiuti e sicuramente si potevano trovare anche le bottiglie. Subito fu fatto un sopralluogo e dietro una grande pianta di lentisco, fu rinvenuta una quantità enorme di bottiglie. Così il progetto Cappella ,riprese piede e dopo vari via vai dalla masseria finalmente si raggiunse il numero.

“Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti”....( Borges)

San Michele Salentino

Attraverso il racconto è possibile&nbsp;riprendere i pezzi di questi specchi rotti e ricostruire gli interi, come in questa raccolta di narrazioni delle emozioni vissute in alcuni momenti della vita nel mio paese, San Michele Salentino, in provincia di Brindisi, durante l'infanzia e l'adolescenza degli splendidi anni '60/'70...

dato che a quei tempi non si poteva sapere il sesso del nascituro.Si fece scrivere una lettera da mia madre, dove spiegava la sua decisione , mio zio molto preoccupato decise che sarebbe andato a Milano ad aspettarla, perché bisognava cambiare treno ed era molto complicato. Il suo primo viaggio fu uno schianto, fece amicizia con tutto lo scompartimento, quando scese dal treno, mio zio la trovò in compagnia e tutti si prodigarono a portarle le valigie , che erano tre: una per il corredino, una per i viveri( olio, vino e formaggio, questa valigia era stata imballata con lo spago e controllata bene da tutta la famiglia) e infine la valigia di effetti personali. Le valigie erano state prestate alla nonna dalle sue amiche , che avevano già fatto il viaggio in Svizzera per assistere le figlie o le nuore, durante e dopo la gravidanza. Mio zio disse solo”sapevo che te la saresti cavata, ma non pensavo così.” Ripresero il treno e finalmente arrivarono in Svizzera, dopo poco tempo nacque Antonio , detto Tony. Mia nonna appena arrivata consegnò la valigia con il corredino alla nuora,

che approvò tutto,però rimase perplessa quando vide le fasce e chiese al marito di cosa si trattasse. Erano dei rotoli di stoffa tessuti al telaio larghe quindici - venti cm . e lunghe tre o quattro metri e lei non sapeva cosa fossero. Lui disse: niente non ti preoccupare, qui non servono”. Prese le fasce e disse a mia nonna” va tutto bene , tutto bello, però qui le fasce non si usano” quindi le prese e le chiuse in un cassetto. Il tempo passò in fretta, la zia tornò a lavorare e la nonna rimase sola con il piccolo Tony. Cercò le fasce, prese i panni e fece una bella fasciatura alle gambe e al busto del piccolo Tony, poi decise di andare al parco, appena arrivata, prese il bambino in braccio e cominciò a passeggiare,notò che tutti la guardavano e alcuni la additavano. Dopo un po’ arrivarono i vigili , le chiesero chi fosse e come mai aveva fasciato in quel modo il bambino, ei non capiva la lingua, disse di telefonare al figlio

SCRIVERE "Per&nbsp;scrivere,&nbsp;uso&nbsp;i&nbsp;ricordi&nbsp;della&nbsp;mia&nbsp;infanzia, pochi&nbsp;in&nbsp;verità&nbsp;e&nbsp;altri&nbsp;che mi&nbsp;sono&nbsp;stati&nbsp;tramandati&nbsp; dai&nbsp;miei&nbsp;nonni&nbsp;e&nbsp;dai&nbsp;miei&nbsp;genitori, compresi zii,&nbsp;cugini,&nbsp; amici&nbsp;e&nbsp;conoscenti. In&nbsp;ognuno&nbsp;dei&nbsp;miei&nbsp;scritti,&nbsp;ci&nbsp;sono&nbsp;pezzi &nbsp;di&nbsp;me&nbsp;stessa, del&nbsp;mio&nbsp;paese&nbsp;e&nbsp;di tutti&nbsp; quelli&nbsp;che&nbsp;in&nbsp;questi&nbsp;anni&nbsp;ho&nbsp;incontrato. Certo&nbsp;sono&nbsp;nata&nbsp;a&nbsp;San&nbsp;Michele&nbsp;e&nbsp;quindi&nbsp;scrivo,&nbsp; storie&nbsp;semplici&nbsp;di&nbsp;paese, ma&nbsp;a&nbsp;volte&nbsp;penso&nbsp;che&nbsp; se&nbsp;fossi&nbsp;nata&nbsp;a&nbsp;Parigi o&nbsp;New&nbsp;York&nbsp;,&nbsp; l’umanità&nbsp;sarebbe&nbsp;stata&nbsp;più&nbsp;o&nbsp;meno la stessa, &nbsp;anche&nbsp;se&nbsp;ambientata&nbsp;in un contesto diverso." Maria Grazia Chiese

Il mio paese nel mondo!

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L’ Urlo Nel trullo di nonno Paolo, verso Ceglie,in contrada Monte Calvo, prima di cena all’imbrunire,Angelina una delle figlie si alzava e andava fuori sull’aia che era stata fatta con le chianche di pietra locale , tagliate a mano da mio suocero Antonio. Angelina, si dirigeva, verso i quattro angoli che delimitavano l’aia ed emetteva un urlo verso la campagna circostante . Dai quattro angoli, arrivavano le risposte dei vicini, che a loro volta emettevano un urlo , che echeggiava per la campagna e arrivava fino all’aia. Angelina , alzava le mani verso la bocca , a mo’ di megafono si riempiva i polmoni di aria ed emetteva l’urlo. Era la più dotata in fatto di voce e il suo urlo arrivava ai vicini , che felici rispondevano. Dopo qualche secondo, dai quattro punti cardinali, si sentivano diverse risposte, sempre sotto forma di urlo sovrumano. Il sistema era talmente sofisticato, che in base all’ intensità e al timbro della voce si riusciva a risalire all’autore della risposta . Era questo il modo di comunicare quando non c’era il telefono.

Se qualcuno non rispondeva, partiva un’ambasciata, si andava a vedere cosa era successo. Anche i fidanzati usavano l’urlo per comunicare, con suoni che solo loro capivano. In genere l’urlo era più frequente nel periodo estivo,ma era usato anche d’inverno, prima che diventasse buio. Era un modo per far sapere ai vicini che si si era in vita, si stava bene e non era successo niente di grave. L’urlo , non costava niente,e accomunava la gente,che non vedeva l’ora che arrivasse la domenica per potersi ritrovare , magari a messa, al mercato o in piazza.

Torchio e Calderone Dopo l’estate passata a raccogliere fichi e mandorle, con qualche capatina verso il mare per rinfrescarci nell’acqua salata,arrivava settembre. Tutto il mese, serviva per preparare la vendemmia, il cielo veniva osservato in lungo e in largo, da tutta la comunità, nessuno voleva la pioggia e l’unica previsione del tempo era quella del colonnello Bernacca. L’acqua faceva molto male all’uva, che poteva prendere le muffe e marcire. Gli ultimi giorni, prima della vendemmia, si cercava di reperire le casse di legno, che servivano per trasportare l’uva tagliata al palmento. Tutti i vicini davano una mano, il giorno della vendemmia, venivano con i secchi di plastica e le forbici da potatura, riempivano i secchi e li svuotavano nelle casse. Il palmento non tutti lo avevano, se ne trovava uno che veniva pulito con una sostanza basica( in dialetto potassa che dovrebbe essere la soda caustica). Mio nonno aveva il campo a San Giacomo e per pigiare l’uva andavamo dai nostri dirimpettai. Avevano una masseria, costruita in pietra, il salone aveva un vetro giallo sulla porta, che illuminava l’interno, era bellissima la luce che entrava dentro la casa ,

La mamma e la zia volevano vedere il film almeno due volte. Il cinema si riempiva fino all’inverosimile e giù nella biglietteria mettevano fuori il cartello con su scritto POSTI IN PIEDI. Nessuno lo leggeva, tutti volevano vedere il film. Allora , se la mamma conosceva qualcuno che stava in piedi, la chiamava e diceva’Vieni , che ti faccio sedere al posto della bambina, che lei la siedo con me nella poltrona , tanto siamo magre’. Poi non c’era il divieto di fumo, ma lei era incredibile, se qualcuno ci buttava il fumo addosso, chiamava la maschera e faceva spegnere la sigaretta. Intanto, dopo la prima proiezione, mio padre e lo zio, con i relativi fratellini,andavano in piazza a passeggiare, e noi donne, vedevamo il film, una seconda volta. Tornavano verso la fine del film, oppure noi, aspettavamo giù, nella sala d’aspetto. Guardavamo i cartelloni pubblicitari dei prossimi film da proiettare. Ma quello che mi colpiva di più, era la biglietteria, con dietro la cassa , riparata dal vetro, c’era la famiglia Azzarito, proprietaria del cinema.

La parte esterna della biglietteria , era tutta in gesso , formata da tanti quadrati irregolari , molto zigrinati , di colore verdastro, giallo e nero, tutto spruzzato in modo irregolare . Nel mio immaginario , la ‘ c’era il cinema, con la signora Vittoria con i suoi occhiali alla gatta, che faceva i biglietti e marito e figli , che davano il cambio. Nel frattempo che arrivava mio padre, davo un’ultima occhiata alla cabina di regia, l’occhio magico , che ci faceva sognare ogni domenica.

che erano sempre di cartone ed erano stati messi da parte dal sarto maestro Pietro la Tragnja, che aveva il laboratorio vicino casa dei miei nonni, quando finiva il cotone per imbastire, conservava l’interno che era rotondo e spesso. Mio zio quell’anno fece un castello bellissimo, poi con la colla lo pennello tutto e lo cosparse di brillantini, il castello luccicava tanto, non c’erano le luci, ancora forse non esistevano, oppure non erano ancora arrivate a San Michele, i pastori e la Sacra Famiglia venivano comprati da Pietro Azzarito, che aveva un negozio in piazza Marconi angolo via Tagliaferro, dove vendeva di tutto , un po’ come fanno ora i cinesi e nel retrobottega allestivano un tavolo grande , con tutti i personaggi del presepe. Mio zio ogni anno comprava qualcosa: i Re Magi li faceva scendere da strade e ponti che attraversavano le montagne, il dormiente lo metteva sotto al carretto che&nbsp;con tanta pazienza aveva costruito anni prima, le pecorelle e le oche non dovevano mai mancare, l’acquaiola vicino al ruscello , che aveva disegnato e dipinto con le sue mani. La cosa che mi faceva sognare era la stella cometa, fatta di compensato nella bottega di Minguccio lu Pinz’ falegname nostro vicino e poi cosparsa di brillantini e bucata lungo tutto il perimetro , per fare posto alle luci,

che con tanta pazienza aveva collegato e queste luci erano le uniche del presepe. La sera della nascita del Bambinello , tutti i vicini venivano per farlo nascere, lui prendeva il sassofono e intonava “Tu scendi dalle Stelle” e noi tutti , grandi e piccini cantavamo, poi non so’ da dove sbucava un piatto di petto le fritte e tutto finiva con quattro chiacchiere intorno al braciere. Forse è per questo bel ricordo , che ogni anno faccio anche il presepe, non butto mai le carte della roccia e del prato, mi piace ricordare quando l’ho comprata e magari con chi ero in quel momento, così le cose prendono vita è anche se un po’ datato il mio presepe mi piace sempre e lo faccio volentieri , anche se mi impegna molto, certo il cielo stellato non è disegnato da me, come quello che aveva mio zio, ma l’importante è rispettare il rito natalizio e ricordare come eravamo. Per quanto riguarda l’albero , quello me lo ricordo ancora. Il mio primo albero mi fu’ regalato da una signora che si chiamava Lisa e abitava vicino casa mia. Suo marito aveva comperato un albero più grande da Brindisi e mi chiese se avevo l’albero di Natale, io dissi che non avevo mai fatto l’albero, allora lei mi regalò il piccolo albero , che aveva sistemato ancora spoglio sul frigorifero, perché il centro della casa prima era la cucina.

Orti e case A San Michele intorno agli anni sessanta, ogni casa aveva un orto. A casa di mia nonna materna , l’orto era parte integrante della casa, c’era una continuità tra orto e casa, bastava aprire la porta della cucina per far apparire un piccolo angolo di campagna. Già dalla primavera, la vita si spostava dal caminetto della cucina all’orto. Tutte le volte che andavo a casa di nonna Ratodda , la chiamavo e lei mi rispondeva “vieni , sono nell’orto”. La costruzione della parte nuova di San Michele, coincideva con l’abbandono delle campagne e l’orto era essenziale per le persone, che vedevano in questo pezzo di terra attaccato alla casa, il piccolo mondo che avevano lasciato e che li aveva accompagnati per buona parte della loro vita. L’orto di mia nonna, era formato da una parte in cemento liscio e una parte di terra delimitata da piccole aiuole, c’era poi una zona adibita agli animali da cortile (l’uovo fresco non doveva mai mancare), vicino mio nonno aveva costruito una piccola tettoia in eternit , che serviva da legnaia.

Poi, passava un compratore che probabilmente era di Francavilla e veniva venduto. Dietro in lontananza, si può vedere un grande albero di castagno, che segnava il confine coi nostri vicini, questo albero me lo ricordo perché era sempre ricco di castagne belle grosse e in autunno quando la maestra diceva di portare a scuola un frutto autunnale , io portavo sempre i rami di quel castagno, con i ricci semiaperti, pronti per essere mangiati. Quando raccoglievamo le castagne, queste venivano divise col nostro vicino, perché l’albero apparteneva ad entrambi. Più tardi, quando la cultura del tabacco ere in disuso e io non mi ricordo di averlo mai visto, dato che ero molto piccola( la bambina in braccio a mio zio Sante ), il tabacco fu sostituito dal grano. Il nonno piantava un grano molto alto e io mi ci perdevo dentro insieme alle mie cugine per raggiungere l’albero delle castagne, che era il nostro ritrovo e anche il nostro posto, dove ci sentivamo libere, forse perché, li finiva il nostro campo e si poteva sfuggire alla sorveglianza dei genitori.

Torino Eravamo arrivati alla stazione di Brindisi, con almeno un’ora di anticipo. Mio padre doveva solo accompagnarci fino alla stazione, ma essendo una persona zelante aspettò con noi l’arrivo del treno, poi sali’ con noi e ci sistemò le valigie. Io cominciai subito a piangere, tutti quei vagoni, la lunga attesa e il fatto che mio padre cominciò a salutarci, mi disorientarono. Il fatto è che avevo solo 6 anni, non ero mai salita su un treno e sinceramente mi era anche antipatico, dato che , in estate quando andavamo al mare a lido Specchiolla, dovevamo per forza fermarci al passaggio a livello, che ad un tratto ci appariva chiuso in mezzo alla strada e noi bambini imprecavamo sempre con parole poco gentili contro il treno. Mio padre era l’unico della famiglia che non venne con noi. Si raccomando ‘ tanto con mia madre e mia nonna materna. A Torino ci aspettavano il resto della famiglia di mia madre, tre delle sue sorelle che abitavano e lavoravano in questa città del nord.

Fuori l’aria era mite, si sentiva profumo di nuovo e si vedevano i mandorli in fiore. Era primavera. Quando il treno cominciò la sua lunga corsa verso il nord, mia nonna disse” appena arriviamo a Bari attaccano i vagoni letto, così ceniamo e poi dormiamo un po’, Torino è lontana, quasi quanto la Svizzera, chissà come sarà bello questo bambino che è nato.Questo sarà Torinese”. Io ,cominciai a diventare irrequieta, non solo andavamo via per le vacanze di Pasqua,lontano dal mio mondo fatto di giochi con le amiche e sicurezze familiari, mio padre era rimasto a casa da solo,con la macelleria lavorava parecchio, non poteva chiudere bottega,ma andavo dalle sorelle di mia madre, che quando in estate “scendevano giù “( loro dicevano così, non dicevano veniamo a San Michele, ma dicevano scendiamo giù) mi toglievano le attenzioni di mia madre, ed io ero gelosa di loro. Decisi che non potevo aspettare di arrivare a Bari per cenare e cominciai a piangere .

I melograni quest’anno sono pochi, ma anche loro stanno colorando la campagna. In un passato non troppo lontano, questi frutti venivano raccolto prima che cadessero dagli alberi. Con le melecotogne , si faceva la marmellata e quando era fredda si tagliava in piccoli pezzi, che a casa mia duravano pochissimo, perché guidati dal profumo che emanava la marmellata piombavamo in cucina e aspettavamo con ansia di poterla mangiare, in genere non vedeva l’alba del giorno dopo. Mia nonna infornava le melecotogne sistemandole in una teglia , le incideva al centro per togliere il torsolo e riempiva il buco con lo zucchero. Erano una delizia, il profumo riempiva l’aria, richiamando il vicinato e tutt insieme , ne mangiavamo uno. I cachi erano la gioia di tutti, il colore arancione e il sapore dolcissimo, ci deliziava, se ne raccoglievano intere cassette, i piatti pieni di cachi L passavano da casa in casa, c’è n’era sempre per tutti. Il melograno coi suoi chicchi di colore rosso e bordeaux , racchiusi nella

pellicola gialla che ci tingeva le mani, ci faceva passare intere serate a liberare i suoi chicchi che venivano mangiati direttamente con le mani,o con un cucchiaio , che raccoglieva i chicchi dal piatto di raccolta. Oggi però è difficile trovarli in campagna, grazie alle loro proprietà antiossidanti, c’è li portano via prima del tempo. Intanto intorno i giganti del Salento, gli ulivi secolari, mi guardano e mi chiedono aiuto, in tutto questo tempo ogni volta che torno in campagna, c’è sempre un ramo in più che diventa marrone, che rinsecchisce senza speranza. Ora che finalmente è diventato un problema serio, spero che diventi una priorità per tutti gli addetti ai lavori.

LA LETTERINA Dopo l’albero e il presepe, c’era ancora una cosa da fare a Natale e questa cosa era “la letterina di Natale”. In genere si comprava nelle cartolibrerie, oppure si disegnava ed era fatta con una immagine natalizia, che in genere era un villaggio di case con la neve e gli alberi di abete che costeggiavano una stradina che conduceva alle case, sui tetti delle case c’era la brillantina , che faceva luccicare tutta la letterina. In genere si scriveva a Babbo Natale oppure a Gesù Bambino e si chiedeva di portare sotto l’albero qualche regalo, in genere poche cose, ma la cosa importante erano i buoni propositi, cioè si prometteva di essere bravi,ubbidienti e studiosi. Il giorno di Natale la letterina , si metteva sotto al piatto di qualche commensale, che era stato invitato a pranzo, ma quasi sempre si trattava del nonno, del papà o di qualche zio. La persona che trovava la letterina( già avvisata dalla mamma) mostrava molto stupore e chiedeva”chi ha messo la letterina sotto al piatto”? Allora il piccolo scrittore in erba si alzava e veniva invitato a salire sulla sedia , per leggere la letterina.

Ma, l’acqua fresca sgorgava , anche dalla fontana della contrada Lamone. Confesso, che ancora fino a qualche anno fa’, ho riempito anche io quell’acqua. Dopo questa piccola parentesi, torniamo alla fontana di Ajeni, lì c’era sempre una fila molto nutrita, anche perché a volte c’era un signore, che con un traino tirato da un cavallo e con sopra il traino una cisterna, riempiva l’acqua . La portava nelle varie contrade, dove in estate si andava a villeggiare. Si villeggiava in campagna solo per raccogliere fichi da seccare , mandorle per fare i fichi mandorlati e per fare la vendemmia. Erano queste le vacanza che si facevano a San Michele poco prima degli anni 60 fino agli anni70. Il signore con la cisterna era molto buono. Quando vedeva che si formava una piccola fila, toglieva il tubo di gomma, che collegava , la fontana alla cisterna e ci lasciava riempire l’acqua. Subito sulle nostre bottiglie, si formava un velo di condensa e noi accarezzavamo la bottiglia e poi con le mani bagnate da questa (chiamiamola) RUGIADA , ci rinfrescavamo il viso.

NATALE IERI E OGGI Quest’anno , nessuno aveva voglia di fare l’albero di Natale, tutti a dire non si può, non c’è l’atmosfera degli altri anni, è un brutto momento ecc.., anche io avevo pensato le stesse cose, ma a fine novembre, mi è tornata in mente la voglia di&nbsp;normalità, così mi sono messa come un’ape laboriosa ad addobbare casa.&nbsp; Prima di tutto ho preso l’albero , quello grande, ho spostato un mobile nel salone e insieme a mio figlio ho tirato su’ un albero che ho realizzato in tre giorni, perché mi mancava la ciabatta che collega tutte le luci,poi si è fulminata una seri di luci che ho acquistato il giorno dopo, quindi siamo andati avanti nei ritagli di tempo, in genere di sera per tre giorni. Mentre salivo e discendevo le scale della lavanderia, che funge da deposito scatole di Natale, mi sono tornati in mente i miei alberi di Natale e i miei presepi di molti anni fa ‘. La prima volta che ho fatto il presepe, non me lo ricordo, perché il presepe a casa mia ci è sempre stato, grazie a mio zio Micchio, che cominciava a fare addobbi per il presepe almeno con un mese di anticipo. Un anno ha costruito un castello, fatto con una scatola di scarpe al centro e ai lati ci ha messo quattro torri rotonde,

PREFAZIONE In questo piccolo e-book, come scrive l'autrice di questi brevi racconti, Mariagrazia Chiese, si vuole raccogliere la nostalgica e affascinante storia del nostro passato, fatto non soltanto di grandi imprese e di eventi che i ragazzi possono leggere sui libri, ma fatto di storie che si compongono con la memoria di quel che è accaduto un tempo, nelle stradicciole del nostro paese,&nbsp;nelle case, nella piazza e&nbsp;nella solitudine delle assolate campagne salentine. Un passato&nbsp;fatto di piccole storie di vita familiare ,vissuta nell’autarchia economica delle masserie, nel fascino folkloristico di attese&nbsp;delle festività patronali, in momenti di genuina e intensa religiosità popolare, nel ricordo di tanti genitori e parenti che sono andati lontano dalle loro terre, per la difesa dei valori della storia dei grandi....

Tutto ciò per la conservazione della memoria&nbsp;e la preservazione per il futuro di una parte della storia che accomuna i cittadini dei decenni dei secoli che verranno... Angela Gatti&nbsp;

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Le bottiglie furono tutte ripulite ,erano più di tremila. Si pensò di dare una forma circolare alla Cappella, che misura circa due metri di diametro e un’altezza della stessa misura, il tetto è una cupola e vi è una porta rotonda che si può aprire, dentro è ospitata su un piedistallo la statua della Madonna. Tutta la famiglia partecipò alla costruzione della piccola cappella dal gennaio al maggio del 1974. Però le bottiglie raccolte risultarono troppe, allora si pensò di costruire vicino anche un piccolo laghetto , per poter ospitare piante acquatiche e forse in futuro qualche piccolo pesciolino rosso, ma questo progetto non andò in porto a causa del fatto che che i fratelli nel frattempo avevano trovato lavoro in varie parti d’Italia. Ora il problema era”smaltire il resto delle bottiglie avanzate”, che erano diventate ingombranti. Rimasero in campagna per un po’. Poi entrò in vigore una legge che usava i cassonetti per depositare la spazzatura e piano piano furono portate nei cassonetti ,

che nel frattempo erano stati predisposti anche nel nostro paese. La cappella si trova nei pressi di Aienj ed è proprietà privata.

Percorsi Il bello di abitare in un paese piccolo è sicuramente la possibilità che abbiamo di mescolarci a nostro piacimento, con la natura circostante. Molti di noi, possiedono un fazzoletto di terra a pochi passi da casa e già la mattina presto , se si aprono le finestre si sente l’odore della campagna intorno. In molti, pur non avendo un percorso di running, la mattina si avventurano verso il campo sportivo, poi via verso il boschetto Augelluzzi che è il fiore all’occhiello di questo paese, con vista della bellissima omonima masseria e di fronte il paese di San Michele, con la chiese e il campanile, che ci fa’ pensare ad alcuni disegni giovanili dell’artista Angelo Filomeno. Durante i giorni della pandemia, pensavo spesso a questo percorso che avevo fatto tante volte insieme a mio marito con tuta e scarpe da tennis, arrivati nei pressi del bosco rallentavamo e facevamo pausa per ammirare i colori che le stagioni donano al bosco, con variazioni dal grigio al marrone del terreno sassoso in alcuni punti, al verde intenso dei rovi con le more viola e i fiori rosa intenso dei ciclamini che crescono spontaneamente sotto i peri selvatici, i lecci e tutta la varietà della macchia mediterranea.

Estate L’estate tutta la famiglia si trasferiva , insieme ai nonni in campagna. Le campagne , non ospitavano trulli con piscine , ma erano un mezzo di sostentamento delle famiglie. In genere, erano coltivate a quadri, nel senso che , ogni stagione portava i suoi frutti. D’estate , bisognava raccogliere i quadri di fichi, mandorle e l’uva a settembre. Quindi appena la scuola finiva, ci si trasferiva in campagna. La sveglia suonava molto presto. In genere era il canto del gallo, che annunciava l’alba del nuovo giorno. La raccolta dei fichi , veniva fatta nelle prime ore del mattino. Noi bambini giocavamo coi sassi, che in genere erano cinque, li lanciavamo in aria e li prendevamo al volo, senza farli cadere. Era un vero esercizio , di coordinazione mentale e manuale, la nostra psicomotricità. I fichi ,venivano messi ad essiccare al sole, quelli bruttino, in genere si mettevano a terra sui sacchi e si chiamavano ‘fichi scarti’.

Neonati in fasce Siamo negli anni 60, mio zio da qualche anno si trovava in Svizzera per lavoro. E in breve tempo si era realizzato nel lavoro e si era sposato con una donna del luogo. Un giorno arrivò mia nonna a casa con una lettera del figlio ,diceva così: “Cara mamma e papà, sono vostro figlio Sante, vi scrivo questa lettera per farvi sapere che qui tutto va bene e così spero di voi. Con la presente vorrei dirvi che io e mia moglie aspettiamo un bambino e quindi sarete nonni. Vi saluto , a presto vostro figlio Sante. A questo punto, mia nonna cominciò a pensare : “va bene “ disse, però adesso vado via, devo informare Antonio, che deve nascere un nipote in Svizzera. Il tempo passava, dopo un po’, arrivò un’altra lettera, dove la nonna veniva informata , che tutto andava bene e che presto sarebbe nato il bambino. Intanto lei senza scrivere niente al figlio, aveva preso la decisione di affrontare il viaggio in Svizzera da sola, per assistere la nuora. Chiaramente si prodigò per fare bella figura e commissionò un corredino con ricami di colori neutri,

Mare nostro Avevamo come ogni anno preso una casa in affitto per passare le vacanze al mare di Ostuni località Villanova spiaggia Camerini o Mangiamusi, non ricordo bene. Si trattava di una piccola spiaggia, con un arenile e scogli meravigliosi, che ogni anno ci accoglievano. Vicino, proprio dove finivano gli gli scogli, c’erano le case. Una fila di case attaccate le une alle altre, con stanze grandi o piccole secondo la tipologia, con porte e finestre verdi , che creavano una continuità tra mare e case e l’odore del mare infinito con le piccole case bianche della scogliera erano in perfetta simbiosi. Dopo questa serie di case c’era una costruzione più grande, con una scala per poter accedere al primo piano e una grande veranda , che dominava tutta la spiaggia dove vivevano i proprietari . La signora che faceva da tramite tra noi e i proprietari di chiamava Nzilla diminutivo di Petronilla e ogni anno ci lasciava le case più belle. Insieme a noi prendevano casa anche le sorelle di mia madre, che venivano da Torino, i cugini di mio padre che venivano da Venegono(Varese) e le zie di mia madre con le figlie Gianna , Paola e Rosalba.

Taglio e Cucito Appena finita la scuola, i primi di giugno, cominciavano i dolori per me , e per i ragazzi della mia generazione, perché per almeno un mese, mia madre mi mandava dalla sarta. Era inutile , tornare a casa con una pagella piena di bei voti, era inutile chiedere , se per favore non mi mandasse, tanto lei è tutta la famiglia avevano già deciso per me. Fino a quando non si andava al mare, bisognava andare dalla sarta, non si doveva stare a giocare per strada, perché non stava bene. Essendo donna la sarta era l’unica soluzione. I ragazzi, invece venivano mandati nelle botteghe dei falegnami e dei meccanici e qualcuno anche dal sarto. Segni e sopra mano, sono stati i miei compagni di gioco per molti anni, mentre intorno a me, chi si divertiva veramente erano le mie amiche. Loro incuranti di me che ero costretta a stare seduta per fare i segni, cioè i punti lenti, che sono delle cuciture molto lente dov’è si lascia tanto cotone,in questo modo, siccome la stoffa viene messa doppia si può tagliare e allargare la stoffa con le forbici, in modo da lasciare i segni del cotone, anche sulla stoffa di sotto.

Posti in piedi ‘Sbrigati’ , disse zia Angelina a mia madre. Domenica al cinema Vittoria danno ‘I figli di nessuno ‘ , con Amedeo Nazzari e non possiamo perdercelo, La domenica noi andavamo a pranzo da mia nonna Grazia e non ci si poteva alzare e andarsene quando si voleva. Erano altri tempi 60 anni fa , le suocere bisognava rispettarle. Si mangiava e si cucinava insieme. Poi non c’era la lavastoviglie, bisognava lavare i piatti con l’acqua presa alla fontana. La zia Angelina aveva la stessa età di mia madre, erano zia e nipote. Non erano le sole ad avere questa anomalia, perché era normale avere tanti figli, e quindi poteva capitare di essere zia e nipote e giocare e crescere insieme, perché si aveva la stessa età. Si erano sposate nello stesso periodo. La zia qualche anno prima e poi , si era sposata mia madre. Zia Angelina aveva avuto due figli Alfredo e Paola. Mia madre io e Aldo. La domenica, mio padre e zio Colino, marito di Angelina, portavano la famiglia al cinema ‘Vittoria’.

che era italiana e diede il nome del figlio ,che arrivò in breve tempo nell’ufficio dei vigili, dove era stata portata mia nonna.Mio zio spiegò in tedesco che in Italia i bambini neonati venivano vestiti in quel modo. A questo punto la nonna fu “liberata” e mio zio le spiegò che nella civile Svizzera quel tipo di abito era proibito, la nonna disse” ora capisco perché in Svizzera tutti hanno le gambe storte."

Colori e Odori Che bello vedere la campagna all’inizio dell’autunno. Sono stata in campagna stamattina, tutto era a colori. Il verde e il giallo con spruzzi arancioni e marroni, coloravano la campagna, come se un pittore impressionista, si fosse fermato lì, per caso e avesse dipinto il mio campo e tutto quello che c’era intorno. La casa è stata dipinta da poco ed è giallo Siena e bianca e insieme creava una bella armonia con tutti questi colori. Mi sono addentrata nella vigna, c’erano attaccati piccoli grappoli di uva, lasciati lì durante la vendemmia, alcuni li ho raccolti per portarli a casa, in questo periodo sono molto dolci. La terra finalmente era bagnata, a causa della pioggia, che questi giorni sta cadendo all’improvviso e sta abbassando la temperatura , donandoci i primi brividi , dovuti al fatto che non siamo ancora preparati a lasciare l’estate. Questa pioggia ha dato un po’ di respiro alle piante e alla terra, si sentiva il profumo dell’autunno. Alcuni alberi, ospitavano già i frutti di colore giallo il melocotogno, di colore arancione i due alberi di cachi. I

Quindi con tutta questa gente le case bianche sul mare con spiaggia quasi privata erano tutte nostre per un mese e anche più , visto che se il tempo era bello a settembre restavamo per una settimana in più. Non c’erano mobili in queste case e tutto quello che serviva veniva trasportato da mio padre in ogni casa con il suo camion. Sugli scogli di fronte , era stato scavato uno scivolo, per permettere alle barche in legno dei pescatori di approdare. Ogni mattina verso le sei, i pescatori tornavano con il pescato e compravamo il pesce fresco che si agitava ancora vivo nelle reti e nei secchi . Dopo l’acquisto andavamo con mio padre e gli altri a Torre Canne a bere l’acqua detta di”Cristo”, che ci faceva tanto bene, a cosa ancora oggi me lo chiedo. Era acqua appena salina e di doveva berne, almeno un bicchiere grande, mia madre diceva che stimolava l’aperitivo.. Poi si tornava a casa a fare colazione con latte , pane e biscotti. La giornata era speciale dalle dieci la mattina alle 7 di sera sempre sulla spiaggia , con piccole toccate e fuga dalle case che si affacciavano sulla spiaggia.

Alcune mattine all’alba, o alcune sere si cenava sugli scogli. Portavamo tavolini, sedie e mezzi di fortuna esiste dava inizio alla cena che finiva sempre con qualche canzone , cantata dal cugino di mio padre Rocco Caliolo, che aveva avuto una discreta carriera con molte apparizioni in televisione e a richiesta ci cantava Pezzi di Gimmi Fontana e Gianni Morandi, dagli altri scogli si faceva una piccola folla e tutto insieme applaudivamo felici di condividere piattipieni di pesce fritto, peperoni con sugo di pomodoro e pezzi di formaggio piccantino . La cena finiva sempre con un’anguria messa a rinfrescare nell’acqua del mare, poi dritto a nanna per essere pronti per un’altra giornata di sole e di felicità.

Intanto il treno correva , mia nonna mi fece sedere vicino al finestrino, con lei vicino mi rasserenai e insieme vedemmo passare dal finestrino la primavera, piena di prati in fiore e mare azzurro, che verso Torre Canne si vedeva molto bene. Mio fratello Aldo più piccolo di me , si addormentò. Io aspettai con mia nonna , mentre tutto diventava scuro, dato che cominciava la sera, di arrivare a Bari per poter finalmente cenare. A Bari furono attaccati i vagoni letto e io presi posto nel letto inferiore, perché mia madre aveva paura che durante la notte , potessimo cadere io e mio fratello. Poi il treno si mosse. Mia nonna apri’ la borsa dei viveri( così la chiamava lei) e tirò fuori delle belle cosce di pollo fritto, tante polpette e le sue famose cotolette. Le mise in mezzo a due fette di pane , fatto con le sue mani nel forno del trullo di Santa Lucia e finalmente la cena ebbe inizio.

Molti ci guardavano in modo strano. Alcuni,quelli delle cuccette vicine , furono invitati ad assaggiare. Io cominciavo a rassegnarmi, in fondo il viaggio cominciava a piacermi. Il cuccettista dopo aver assaggiato anche lui i viveri ci diede : coperte lenzuola e cuscini tutto a doppio., ed io mi addormentai in una nuvola di polpette, pollo e cotolette. Si andava verso l’ignoto, si andava a Torino.

Io dopo un po’ di tempo, non ne potevo più, così avevo imparato un sistema pe uscire, che consisteva nel prendere il rullino del cotone e con le forbici fare tanti tagli . In questo modo , quando la sarta maestra usava la macchina da cucire, si interrompeva sempre il cucito e bisognava infilare di nuovo la macchina, finché si spazientiva e mi mandava a comprare un nuovo rullino di cotone. Allora le mie amiche, vedendomi uscire, capivano che ero libera, per almeno un quarto d’ora, si spostavano nella strada parallela e io mi prendevo il mio quarto d’ora d’aria in buona compagnia. Altre volte mi faceva andare a fare i bottoni di stoffa ,sulla piazzetta , nella bottega di Pompea di Graziecchia. Allora mi divertivo ancora di più, perché Pompea mi faceva assistere alla preparazione del bottone di stoffa. Lei prendeva le forbici e tagliava un piccolo pezzo di stoffa, poi ci metteva l’anima di alluminio del bottone di forma rotonda e tirava fuori la macchina che fissava con una vite al bancone di vendita. La macchina per fare i bottoni era di ferro o forse di alluminio pesante , con una vite molto grande al centro ,

che serviva per assemblare i bottoni che venivano posizionati sotto la macchina ,poi si avvitava il tutto con forza e infine si estraeva il bottone. Io dicevo “ per pagare poi passa la mestr’(maestra)”. Quando tornavo c’era l’interrogatorio : “come mai così tardi?” Io rispondevo:”c’era gente”. “Allora prendi, ti ho lasciato il sopramano da fare”. Povera me , pensavo e poi ancora , da grande tutto posso fare, ma non la sarta. Intanto il tempo passava e a fine luglio, si consegnavano già i primi vestiti per la festa di San Michele, che in genere cadeva l’ultima settimana di luglio. Poi finalmente partivamo per il mare, la mia liberazione da punti lenti e sopramano.

L’italiano e la storia, ci piacevano tanto, perché lei aveva capito i nostri limiti e faceva le sue spiegazioni con molta chiarezza. Prima della fine del primo anno ,venne fuori la notizia del suo matrimonio e rimanemmo dispiaciute del fatto che non saremmo potute andare al matrimonio, perché in estate era difficile organizzate tante ragazze tutte insieme per andare a Ostuni ,tra l’altro senza nemmeno essere state invitate, però pensammo che prima della fine dell’anno scolastico potevamo farle un regalo, anzi un grande regalo. La professoressa Laura ( che nome leggiadro), era molto aggraziata, non era una donna appariscente, era bionda, non molto alta e magra, ma era molto gentile e preparata, perciò per noi era bellissima. A volte raccoglieva i capelli in una pettinatura che in quegli anni si usava molto, tutti all’indietro a formare una banana, con qualche ciuffo, che le ricadeva sulla fronte e sugli occhi neri truccati con righino e noi eravamo pronte a copiarla in tutto, ci presentavamo a scuola tutte con i capelli a banana,frutto della pazienza delle nostre mamme che fino a poco tempo prima ci riempivano di trecce e codini laterali o code di cavallo, ma poi ci accontentavano e imparavano a fare questo tipo di pettinatura. Torniamo a quando decidemmo di farle il regalo di nozze. Facemmo in classe una colletta, oggi si chiama raccolta fondi, ma allora si diceva colletta,tutti parteciparono e così cominciò la scelta del regalo. Chiaramente si spaziava dalle pentole ai fiori ai soprammobili ai centrini e via discorrendo, finché una ragazza della classe disse che forse si poteva andare nel negozio di stoffe della madre, che vendeva anche altra merce per trovare qualcosa di adatto. Tutte fummo d’accordo. La signora Uccia ci piacque subito, perché era di Ostuni, lo stesso paese della professoressa. Aveva il negozio in via Parini e così ci presentammo in massa nel suo negozio, ma non ci piaceva niente, a un certo punto tirò fuori una scatola di cartone bianca con scritte in oro con dentro una “parure” formata da tre pezzi: vestaglia da camera, sottoveste e mutandoni il tutto taglia 56, però era una cosa molto bella da regalare perché era di colore celeste molto chiaro e delicato, con bordo in pizzo, che avvolgeva scollatura , maniche e mutande ed era di organza trasparente. Chiaramente i soldi non erano sufficienti, ma pur di vederci andare via, dopo tanta caciara disse che andava bene così e comunque si dovevano coinvolgere anche le mamme, che forse sapevano più di noi. L’ultimo giorno di scuola, non stavamo più nella pelle, abbiamo chiamato la professoressa e le abbiamo consegnato il regalo. Lei rimase molto colpita da questo nostro gesto e ci assicurò che dopo l’estate ci avrebbe portato i confetti. Col senno di poi, ripenso a questo episodio e a come ci aveva colpito questa professoressa, non so’ il suo stupore quando apri’ il regalo, che sicuramente era inadatto , dato che si trattava di biancheria intima e poi ragazzi taglia ......56, lei al malapena aveva una taglia 42. Sarebbe bello sapere se c’è ancora e cosa fa.

L’albero aveva come base un cubo, lo portammo a casa mia con la figlia Maria e mia madre il giorno dopo comperò le decorazioni e invitò la piccola Maria a fare l’albero. Oggi il mio albero è grandissimo ,se riesco a sbrigarmi da stasera farò il presepe.

Una storia di famiglia Era aprile e c’era la guerra, però nella campagna tra Ceglie e San Michele la Guerra non l’avevamo ancora vista, ma ci veniva raccontata dai paesani che tornavano a casa , per una licenza o peggio ancora da qualcuno che tornava in una bara. Io mi chiamo Caterina e sto per sposarmi .Vivo in campagna e posso considerarmi una privilegiata perché ho frequentato la scuola fino alla quinta elementare.Abbiamo dei terreni che conduciamo con la mia famiglia, ma mia madre, non mi permette di andare nei campi. Dice che ho studiato e devo solo controllare che non ci imbroglino quando vendiamo il raccolto. Il mio promesso sposo , si chiama Michele.Ci vediamo solo la domenica in chiesa e poi, il pomeriggio, in presenza dei miei genitori. Oggi è sabato, e sono contenta, domani è domenica e vedo il mio Michele.I miei lo hanno invitato a pranzo, insieme alla sua famiglia, per decisioni importanti che riguardano il nostro matrimonio. Mia nonna che è brava con ago e filo, mi sta cucendo un bellissimo abito da sposa. Stasera, dopo aver sparecchiato la tavola e lavato i piatti, scriverò una lettera al mio Michele e gliela darò se riusciamo a restare da soli per pochi minuti. . Mio padre è sceso in paese e per onorare i miei futuri suoceri ha comprato la carne di vitello. Però non dice una parola. Io e mia madre, gli abbiamo chiesto, “ È successo qualcosa?”

Ha alzato la testa, ha guardato prima mia madre, poi me, e con un movimento delle mani, che voleva essere forse una carezza, mi ha detto” Michele deve partire , va alla guerra è stato chiamato dai carabinieri insieme ad altri tre giovani.” Io mi sono alzata e mi sono rifugiata tra le braccia di mia madre e Insieme abbiamo pianto. Domani è domenica,ha detto mia madre, vedremo il da farsi.

Dopo la lettura, tutti applaudivano , dicevano bravo e ognuno dava delle monete al piccolo scrittore, che felice ringraziava tutti. Alcuni sulla letterina scrivevano una poesia natalizia e la recitavano a memoria, sempre in piedi sulla sedia. Era un modo molto semplice di fare teatro,i genitori erano fieri di far vedere e sentire a tutti , quanto erano bravi i loro figli nel decantare le poesie. Con i soldini , ci si poteva comprare qualcosa di utile, oppure un piccolo gioco, il resto veniva conservato , magari nel salvadanaio,così si riempiva più in fretta. Io ero una bambina molto timida ,scrivevo sempre la letterina, ma leggerla era un problema, specie se c’erano estranei a tavola, ma poi tutti mi dicevano che la letterina era bella,anche perché, oltre al disegno stampato, nella pagina finale io facevo il disegno e mi applicavo molto, così salivo sulla sedia e leggevo la letterina, poi prendevo coraggio e continuavo con poesie e illustrazioni dei miei disegni natalizi. Così passavamo il Natale noi bambini in Famiglia tanti anni fa’.

Quelli buoni , venivano tagliati a metà e messi ad essiccare al sole sulle ‘sciaie’. Le sciaie erano dei contenitori rettangolari, molto grandi, fatto con le canne, che venivano assemblate con un filo di ferro o di alluminio. La sera le sciaie , per preservare i fichi dall’ umidità della notte, venivano accavallate le une sulle altre si’cannizzavano’ e sopra la sciaie finale si metteva una coperta di plastica. La mattina si faceva il lavoro al contrario si ‘scannizzavano’. Tutto questo lavoro si faceva fino alla fine dell’estate, quando arrivavano i ‘Mediatori’ che compravano i fichi . Contemporaneamente , si bacchettavano le mandorle , che cadevano a terra sotto gli alberi e noi bambini aiutavamo nella raccolta. Le mandorle venivano sbucciate dalla prima buccia ed essiccate al sole. Venivano vendute allo stesso mediatore dei fichi, che a sua volta, li vendeva nei magazzini che erano sorti nel circondario di San Michele.

Si facevano fichi con le mandorle e dolci di mandorle. Ma, le famiglie non vendevano tutto il raccolto,una parte veniva lasciata e i fichi venivano conservati in casa, nei recipienti di Creta detto’ pitali’. Servivano come companatico per l’inverno, dato che erano molto energetiche. Dopo un po’ di tempo, si rivestivano di un velo naturale bianco di zucchero( fruttosio). Quante bocche hanno sfamato i fichi. Nel nostro paese, sono tornati in ‘auge ‘, con la festa del fico mandorlato, che si svolge ogni anno a fine agosto.

Una Foto Oggi finalmente dopo mesi di ricerche, ho ritrovato due vecchi album, di foto di famiglia, che mi ero portata a casa, chiedendole a mia madre durante il loockdawn. Non riuscivo più a trovarli, pensavo di averli lasciati sulle scale , che portano al terrazzo, ma erano spariti, inghiottiti con tutti i buoni propositi che non sono riuscita a mantenere. Oggi pomeriggio però mi sono dedicata , solo ed esclusivamente alla ricerca degli album e finalmente li ho trovati, erano finiti sotto il piumone invernale nell’armadio. Chiaramente li ho sfogliati, anche se conoscevo già tutte le foto, mi sono soffermata su una foto in particolare , che ci ritraeva con dietro un campo di tabacco, almeno così mi è sembrato. Ho preso la foto e sono andata a casa di mia madre( la donna giovane in piedi) e mi ha confermato che si trattava di tabacco. Veniva piantato al trullo di Santa Lucia, dietro la rimessa, quando era pronto, i miei nonni (la signora anziana mia nonna), infilavano le foglie in un filo e ne facevamo delle corone, che appendevano all’ombra, perché doveva essiccarsi al fresco, questo per non sciupare le foglie.

Proprio dove comincia il bosco, c’è una piccola stradina , che lo costeggia con il suo muretto a secco ,una parte di questa strada è in discesa e sotto si possono anche vedere i giochi in legno naturale per i bambini. Da questa strada girando sulla destra ecco che ci appare una piccola discarica che ci mette molta malinconia, il bene comune è il bene di tutti, quindi dobbiamo averne cura. Più avanti sulla sinistra all’incrocio troviamo l’acquaro oramai in abbandono, si riesce a vedere la bocca del pozzo se si entra nel campo. Andando sempre a sinistra lasciamo il bosco e possiamo ammirare la campagna di San Michele, con alberi secolari di olivi in pericolo di estinzione(xylella), noci, orti di proprietà private con piccoli trulli e una bella vigna sulla destra. Il ritorno lo facciamo andando a sinistra del secondo incrocio, qui la strada si presenta asfaltata e va’ bene così, oramai siamo stanchi, ci fermiamo vicino a una piccola cappella votiva e dopo un po’ ci appare San Michele, ma prima ecco un bellissimo trullo abbandonato, in altura con una grande quercia maestosa. Siamo arrivati al quartiere Lamone, bisogna sbrigarsi, siamo in ritardo.

Tutto questo percorso lo immaginavo durante la pandemia, con il compleanno di mio marito e il mio chiusi in casa e il televisore sempre acceso, per essere aggiornati sull’andamento della pandemia. Ricordo il personale sanitario, l’infermiera che riposava con la testa sul tavolo, i figli che non sapevano più niente dei propri genitori, le ambulanze viste per fortuna solo in televisione. Il ricordo di questi giorni non si può cancellare , cammina con noi. Allora cerchiamo di amare tanto la natura, il nostro paese e il Santo Protettore, che con la sua spada ci ha protetti.

che contrastava con i mattoni neri del salone e aveva una parete rotonda ,a me piaceva molto questa casa e ci passavo dentro intere giornate, a giocare con la figlia dei proprietari. La casa oltre alla parte padronale aveva una rimessa molto grande, anzi grandissima, dal lato destro c’erano dei gradini per l’accesso alla casa e davanti c’era un grande camino, dove si cuoceva il cibo e dove si bolliva il latte per fare il formaggio. Di fronte al camino c’era un grandissimo palmento, di forma quasi quadrangolare, ben delimitato da un muretto , che serviva per contenere il mosto, dentro c’erano le bocche delle cisterne(vucchl) sotterranee costruite per custodire il mosto ,che poi veniva messo nei capasoni (contenitori di Creta)e diventava vino. Mentre i grandi pensavano all’uva, noi bambini aspettavamo impazienti davanti al palmento, in attesa di poterci divertire con la pigiatura, tutti in pantaloncini corti saltavamo sull’uva, per schiacciare i chicchi con i piedi, incuranti delle raccomandazioni dei genitori. Intanto che il mosto cominciava a colare nelle cisterne, veniva riempito il torchio

con l’uva pigiata e si stringeva fino a faruscire tutto il liquido. Con una ulteriore spremitura dell’uva rimasta nel torchio e con aggiunta di acqua si ricavava un vinello leggero (lu pet). Contemporaneamente alla pigiatura, parte del mosto veniva messo nel calderone per concentrare il mosto e aumentare così il tasso alcolico del vino. Il calderone veniva inserito in una fornacetta, costruita appositamente per contenerlo. Quando il contenuto del calderone diventava la metà del mosto veniva versato nei capasoni. Noi bambini, ci mettevamo intorno al calderone, al caldo del fuoco che ci riscaldava ,stanchi dopo una giornata cominciata all’alba, ma condivisa con tutto il vicinato e i parenti , eravamo felici e mettevamo le mani vicino al fuoco per riscaldarci e ci prendevamo per mano per fare il girotondo intorno al calderone che intanto ribolliva ignaro della sua importanza nella preparazione del vino.

Il pranzo della Domenica Non so se vi ricordate come era il pranzo della domenica a San Michele. Se non vi ricordate , vi invito a fare un giro per la strade del paese, la domenica mattina . Se passate da via Badoglio , angolo via Fiori c’è una casa da dove, alle 10 di mattina, fuoriesce un profumo di polpette fritte, e allora con l’immaginazione ti viene da pensare”saranno solo di pane o sono con la carne”? Camminando per via Badoglio poco più avanti c’è la casa di mio zio, dove il ragù della domenica non manca mai, fatto con carne mista di vitello e maiale, e sono sicura che un pezzo di agnello non manca mai. Anche a casa mia sempre in via Badoglio il ragù con carne mista , non mancava mai la domenica, quando c’era ancora mio padre. La variante al ragù di carne mista era il sugo con le braciole fatte con carne tipo fettine farcite con formaggio piccante, peperoncino, sedano e cipolla a pezzi, poi si arrotolava e si fissava con un filo di cotone spesso, sostituito dagli stecchini di legno in tempi recenti. Si faceva cuocere per un bel po’ a fuoco lento. Intanto si preparava la pasta, rigorosamente fatta in casa, orecchiette belle grandi, oppure piccole a coppetta, miste con maccheroncini.

A volte quando ho voglia di tuffarmi nel passato , la domenica rifaccio il pranzo dei nostri nonni e dei nostri genitori. Oppure se ho programmato qualcosa di diverso , mi accontento mentre vado da casa mia a quella di mia madre di sentire questi profumi che mi riportano indietro , e la domenica dopo mi organizzo per un pranzo domenicale sammichelano.

OIL DAY In tempi non sospetti, quando non c’era la xylella e gli alberi di olivo erano verdi e argentei , insieme a mio marito, siamo stati invitati a Brindisi a casa di amici , per una cena. Mentre, si parlava di calcio di politica e di vacanze, venne fuori, che avevamo un campo con una casetta in campagna coltivata dai nostri avi ad olive e facevamo ogni anno un ottimo olio,perché si trattava di alberi secolari . Il discorso si spostò sulla possibilità di fare una giornata in campagna da noi,dall’alba al tramonto e così “oil day” ebbe inizio e durò per parecchi anni. Il giorno della raccolta delle olive intorno alle 7 del mattino, arrivava lo scuotitore, che faceva cadere le olive sulle reti, noi prendevamo le reti e le versavamo nelle cassette, dopo aver raccolto una quantità sufficiente di olive, partivamo per il frantoio, che si trovava sulla via Ceglie-Martina, qui le olive venivano subito lavate e poi subivano il processo di trasformazione che durava parecchie ore. Nel frattempo, arrivavamo fino alla vicina Martina Franca e facevamo colazione con brioche e cappuccino, seduti tranquillamente in attesa di ritornare al frantoio.

Diario 55 anni fa, esattamente il 24 maggio del 1965, fu inaugurato il monumento ai caduti di tutte le guerre, sulla piazzetta di San Michele “piazza Dante”. Il monumento con la scritta “ESEMPIO E MONITO” e le sue cinque colonne che rappresentano i cinque continenti , occupa ancora oggi la piazza , che è sede anche della chiesa Madre. All’inaugurazione, alla presenza di tutte le autorità politiche e religiose, il dott. Bartolo Robaud, allora medico condotto di San Michele ,declamò le sue poesie dal palco allestito davanti alla chiesa Madre. Tutte le scolaresche con grembiulini, bianchi per le bambine e azzurri per i maschietti, applaudivano festosi e la banda del paese intonava la canzone del PIAVE che “ mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio “....... Noi ragazzi tutti insieme cantavamo seguendo la banda . La canzone era molto popolare , tanto che per molti anni era stata confusa con l’Inno Nazionale di Mameli.

Si andava per incontrare il fidanzato o si andava per trovare il fidanzato. Nel trullo di Santa Lucia, quando pioveva, si aspettava un po’, per far scorrere l’acqua, proprio come si fa ora quando si apre un rubinetto, poi si portavano fuori i recipienti: limmi, secchi ecc. e si aspettava che la generosa pioggia li riempisse. Intanto si riempiva anche la cisterna di casa alimentata dall’acqua che scorreva dal tetto Fuori c’era un altro pozzo con un’aia tutta intorno, che serviva per irrorare la vigna e abbeverare gli animali. L’acqua di queste cisterne non era limpida, perché si trovavano nella terra o sulla strada, e raccoglievano l’acqua che arrivava dalla strada, e quindi non era molto pulita. Le cisterne venivano scavate a mano, con tanta pazienza perseveranza e forza di volontà. Alcuni sapevano usare la polvere da sparo, allora si facevano degli ordigni rudimentali, che servivano a rendere più piccole le grosse pietre che si trovavano nel sottosuolo. Saper fare una cisterna era un’arte, perché le volte delle cisterne erano a botte.

Poi la cisterna si stagnava, cioè la si rendeva impermeabile. Infine si faceva la bocca, dove si immergeva il secchio, legato con una corda o una catenella in metallo.L’acqua veniva fuori freschissima, dentro al secchio, a volte, si vedevano nuotare dei piccoli vermetti, non erano altro che le larve delle zanzare, allora si inserivano le mani nel secchio a conchetta si tirava fuori l’acqua, si soffiava dentro , per allontanare le larve e si beveva tranquillamente, senza pensare che poteva essere dannoso per la salute. Oppure l’acqua veniva versata sulle mani dal secchio, che veniva messo sulla bocca della cisterna, per non sprecare l’acqua e da sotto con le mani si portava alla bocca la fresca , chiara e dolce acqua.

Non si fece nulla, si fece solo una valigia di viveri che mio padre regalo’ a Michele. Restammo soli, io gli promisi che avrei scritto tutti i giorni una lettera per lui. Lui mi diede un bacio. Gli consegnai la lettera che gli avevo scritto la sera prima, era piena di promesse e di progetti per il futuro. . Tornerò mi promise. Tornò, è vero, ma in una bara. La guerra non l’avevo vista ,ma l’avevamo vissuta sulla nostra pelle, sulle nostre vite. Sulle vite di due ragazzi che volevano costruire un futuro insieme. Maria Grazia Chiese.

Ritorno a scuola A tutte le mamma che hanno più o meno gli anni della mia. L’estate stava trascorrendo in fretta, tutti aspettavamo il ritorno di mio padre, che in autunno arrivò in tempo, per comprarci quello che serviva per andare a scuola. I quaderni per noi erano inesistenti, mia madre per risparmiare, ci dava un foglio a testa, con quello facevamo tutte la materie del giorno, che consistevano sempre nel leggere, scrivere e fare di conto. A volte facevamo storia e geografia. Andammo avanti così per tre anni. Mio padre d’inverno lavorava i nostri campi, intrecciava cesti e andava a caccia. D’estate partiva per il tavoliere e ci portava i soldi per la scuola e qualche piccolo capo di abbigliamento più decoroso, che nosta madre ci faceva togliere ,appena mettevamo piede nel trullo, per non farlo rovinare. Purtroppo il terzo anno di scuola elementare mio padre si ammalò di una tosse terribile, tossiva giorno e notte. Quando si riprese, non fu’ possibile andare a mietere il grano nel tavoliere, quindi il problema scuola venne fuori all’improvviso. Ci aiutò il maestro Cosimo Balestra, nostro vicino,che ci forni’ penne e matite per tutto l’anno scolastico! A mia madre , che mi ha raccontato questo episodio, per farmi capire come era importante per lei che oggi ha 90 anni saper leggere e scrivere 32 Tu, Rosaria Gasparro, Gianna Pugliese&nbsp;e&nbsp;altri 29 Commenti: 18 Love Commenta

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&nbsp;"Le Memorie saranno sempre vive finché qualcuno le racconta”... “Noi siamo la nostra memoria, noi siamo questo museo chimerico di forme incostanti, questo mucchio di specchi rotti”....(Borges)

Dott.ssa Mariagrazia Chiese

Venne a mancare prematuramente, la sua dipartita dispiacque a tutta la comunità e anche a noi tre, in fondo ci aveva aperto le porte del suo sapere.

Fonte <a href="http://www.midiesis.it/midiesis/wp-content/uploads/2011/10/sgrigne3.jpg">http://www.midiesis.it/midiesis/wp-content/uploads/2011/10/sgrigne3.jpg</a>

Taglia 56 Dopo le elementari, che si trovavano in piazza Marconi,tutta la classe si iscrisse alle neonate scuole medie, erano state istituite da pochi anni a San Michele, si trattava di due padiglioni prefabricati, uno molto grande, dove c’era la Presidenza e uno più piccolo, dove avevano creato tre classi tutte femminili. In una di queste classi, ho frequentato i tre anni di scuola media. Un bel giorno, perché di giorno bello si può parlare, varcò la soglia della nostra classe, una creatura , che a noi parve divina: la professoressa di italiano e storia Laura Greco. Veniva dalla vicina Ostuni, città molto avanti rispetto al nostro piccolo paese rurale e a noi povere ragazze di paese parve che arrivasse da una metropoli grande almeno quanto Milano. Era molto gentile con tutte noi, aveva modi molto signorili, si muoveva con grazia e ci piaceva tanto vederla arrivare, perché era moderna nel vestire, tutte cominciavano a diventare grandi e copiavamo i suoi vestiti, minigonne, magliette corte, stivali bianchi, che io mi feci comprare a San Vito, perché erano quasi come quelli della professoressa.

La casa era formata da un corridoio lungo(ingresso) e le stanze che si aprivano sul corridoio, vicino alla porta di casa c’era il bagno. Per andare nelle camere da letto, si passava per una porta interna da l’una all’altra stanza, con assenza di privacy. Nell’orto a ridosso del muro di confine, rigorosamente bianco di calce, c’era una aiuola particolare, che conteneva i fiori dell’epoca e cioè : dalie giganti, zinnie, l’immancabile basilico e la citronella per tenere lontano le zanzare. Nell’aiuola ad angolo c’era un albero di limone al riparo dal freddo dell’inverno. Infine alcuni vasi abbastanza grandi per piccole piante di peperoni piccanti. Nel l’orto mio nonno, oramai pensionato, seduto su una sedia bassa (siggitedda), intrecciava qualche cesto e diceva “ ai miei tempi, quando ero giovane sai quanti cesti facevo?”. Mia nonna, ogni sera innaffiava le dalie e le zinnie del suo orto, proprio come faceva quando abitava al trullo e davanti al muretto a secco , aveva piantato gli stessi fiori che ornavano il trullo di Santa Lucia, con i colori gialli, arancioni e lilla delle zinnie e le dalie bordeaux, rosso profondo e bianche.

Le api e le farfalle svolazzavano felici tutto il giorno e a mia nonna la sera veniva la nostalgia della campagna e della vita dura ma semplice e felice che avevano vissuto.

MEDICINA ALTERNATIVA Durante gli anni di università a Bari, il sabato e la domenica venivo a San Michele, alla stazione incontravo le mie amiche Angela e Maria, che come me tornavano a casa per il fine settimana, cercavamo sempre un vagone libero, e cominciavamo a chiacchierare del più e del meno , così venne fuori , che mia madre aveva ereditato un pezzo di terra ad Aieni. “Che bello,” disse Angela, sarai vicina di Peppe il Guaritore. Io avevo già sentito parlare di lui, una volta gente di fuori mi aveva chiesto informazioni per poter arrivare alla sua “ clinica”. Rimasi molto meravigliata da questa richiesta e poi anche un po’ perplessa in quanto mi avevano chiesto dove era la clinica del dottore Beppe il Guaritore, con me c’era mia madre e lei fu subito pronta a dare indicazioni precise, capii allora che si trattava di Peppe di Sgrign’ , che quasi di fronte alla nostra campagna,aveva un trullo con un bel piazzale e da poco aveva costruito una rimessa molto grande. Decidemmo con Angela e Maria di andare a vedere di cosa si trattasse e ci facemmo raccomandare dal papà di Angela. Il sabato pomeriggio ci presentammo tutte e tre in campagna, lui ci accolse in camice bianco.

Acquari e cisterne Se andiamo da San Michele verso Francavilla, a un certo punto della strada ci appare una villa da poco ristrutturata con un vigneto molto grande. In mezzo al vigneto, spiccano due colonne rosse un po’ scrostate, con al centro un pozzo circondato da uno spiazzo , che serviva a raccogliere l’acqua piovana. All’all’aquaro tutti potevano accedere per riempire di acqua i recipienti di allora: mummili, menze e secchi di latta. Mia madre abitava nel trullo di Santa Lucia e già da bambina, insieme alle sorelle più grandi , andava a piedi fino alla casina rossa, chiamata così dal colore che era stato scelto per dipingere le mura e riportavano al trullo l’acqua. L’acqua era un bene prezioso e tutti la custodivano con cura. Nel trullo di Santa Lucia la cisterna , cioè il contenitore di acqua c’era sempre stata, ma la famiglia era grande, erano in 8 e l’acqua non era mai abbastanza. Andare all’acquaro era una festa, perché quasi sempre si incontrava gente. Si poteva chiacchierare e scambiarsi le notizie, su matrimoni nascite e dipartite.

Verso le 11 si tornava al frantoio, per una occhiata alle olive, che cominciavano a subire il processo di trasformazione. Poi di corsa in campagna dove era stato acceso il forno e io avevo impastato la farina per fare il pane e le focacce ripiene come si usa da noi , con cipolla rossa e olive nere sotto sale (quelle che ti dipingono la bocca e i denti di nero), non mancavano le "pettole" e il baccalà fritto, il tutto accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso. Il giorno prima andavo in campagna e allestivo una tavola molto campagnola, con tovaglia a quadretti bianca e rossa e piatti rustici con galletto centrale comprati a Grottaglie, bicchieri misti , avanzi di servizi sparigliati che chiaramente si portavano in campagna. Fuori dato che era quasi Natale piantavo le stelle di Natale nei vasi e dentro addobbavo tutta la casa, con vecchie palle e fili argentati e dorati molto datati. Il risultato era una giornata di altri tempi anni 60-70 meravigliosa, con pranzo antico e finale di carne arrosto nel caminetto. Alla fine nel pomeriggio tardi , si tornava al frantoio dove erano pronte le lattine del prezioso liquido, che regalavamo ai nostri amici.

Per un giorno all’anno lasciavamo le nostre attività e tornavamo alle origini, questo per non dimenticate e perché siamo rimasti saldamente ancorati alla nostra terra.

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