IL FILONE DELLA MEMORIA
classe 3° A
Scuola Secondaria I grado "Umberto Nobile"
a.s. 2021-2022
classe 3° A
Scuola Secondaria I grado "Umberto Nobile"
a.s. 2021-2022
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"L'amavo senza averlo conosciuto.Fuori di te nessuno lo ricordava.
Non ho fatto ricerche: ora è inutile.
Dopo di te sono rimasto il solo
per cui egli è esistito. Ma è possibile,
lo sai, amare un'ombra, ombre noi stessi".
(Eugenio Montale)
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I racconti, composti dagli alunni e dalle alunne della classe 3°A, nell'ambito del Laboratorio "Il filone della memoria" proposto dall'Associazione LIBERA, sono liberamente ispirati alla vicenda di Giuseppe Di Matteo.Loading...
Muore giovane chi è caro agli dei (Menandro)Loading...
In memoria di GIUSEPPE DI MATTEOLoading...
INDICE
- LENZINI Arianna, Tuo Giuseppe
- AULETTA Maria Sole, Diario di un padre
- GIORDANO Gabriella, Firmato: Giuseppe Di Matteo
- CORTES Sara, Non esistevo più
- MERULLI Elisa - disegno
- RICCHIUTI Andrea, Il mio migliore amico
- GARGIULO Davide, Papà mio
- ACCALAI Elisa, Caro diario
- NARDOVINO Francesco, A chiunque legga questa lettera
- ALECSE Rares George - disegno
- PETRILLI Claudio, Una terribile vendetta
- POMENTE Sofia, Un invito mancato
- CORTES Alessia, Non si parla mai abbastanza di mafia
- GENTILE Mattia, Una storia disumana
- VILLEGGIA Pietro, Deposizione in procura
- AULETTA Maria Sole, Diario di un padre
- GIORDANO Gabriella, Firmato: Giuseppe Di Matteo
- CORTES Sara, Non esistevo più
- MERULLI Elisa - disegno
- RICCHIUTI Andrea, Il mio migliore amico
- GARGIULO Davide, Papà mio
- ACCALAI Elisa, Caro diario
- NARDOVINO Francesco, A chiunque legga questa lettera
- ALECSE Rares George - disegno
- PETRILLI Claudio, Una terribile vendetta
- POMENTE Sofia, Un invito mancato
- CORTES Alessia, Non si parla mai abbastanza di mafia
- GENTILE Mattia, Una storia disumana
- VILLEGGIA Pietro, Deposizione in procura
TUO GIUSEPPE di Arianna Lenzini
Parlare degli altri è sempre molto difficile, soprattutto se alla persona di cui si parla ci si è stati davvero affezionati. Forse perché i ricordi ti rimbombano in testa, e in fondo in fondo non riesci a trovare nulla di buono neanche in quelli.
Io mi chiamo Margherita, e Giuseppe lo conoscevo bene, meglio di molti altri. Adesso è il 1997, ed è passato quasi un’anno da quando Giuseppe è stato ucciso, per l’unica “colpa”, se così si può chiamare, di essere il figlio di un pentito. Sono passati tre anni e mezzo dall’ultima volta che l’ho visto, e pochi giorni dall’inizio del processo, da cui sono sicura usciranno ben presto molte verità.
Io ero la migliore amica di Giuseppe, ma non voglio usare l’imperfetto perché lui sarà mio amico fino a quando ne avrò memoria, e fino a quando continuerò a trovare lo stesso coraggio che ho avuto qualche anno fa per andare a cercarlo, in qualcosa simile ad una caccia al tesoro senza indizi, solo silenzio e complicità.
Di Giuseppe non mi è rimasto molto: qualche regalo di compleanno, qualche foto, tanti ricordi e una lettera. La lettera è ciò che mi ha effettivamente lasciato. Gliene scrivevo tante io, perché a me piace molto scrivere, ma lui quasi mai. Diceva che non era bravo, e lo diceva dalla prima elementare, da quando l’ho conosciuto, e si vergognava sempre di leggere i propri temi alla classe. Infatti la lettera non l’ha spedita. La lettera l’ha tenuta nascosta, in un piccolo spiraglio del muro, forse sperando che io la venissi a prendere. Me la portarono dopo aver scoperto il posto in cui lo tenevano, e ricordarlo con le sue parole, è meglio che farlo con le mie.
Io mi chiamo Margherita, e Giuseppe lo conoscevo bene, meglio di molti altri. Adesso è il 1997, ed è passato quasi un’anno da quando Giuseppe è stato ucciso, per l’unica “colpa”, se così si può chiamare, di essere il figlio di un pentito. Sono passati tre anni e mezzo dall’ultima volta che l’ho visto, e pochi giorni dall’inizio del processo, da cui sono sicura usciranno ben presto molte verità.
Io ero la migliore amica di Giuseppe, ma non voglio usare l’imperfetto perché lui sarà mio amico fino a quando ne avrò memoria, e fino a quando continuerò a trovare lo stesso coraggio che ho avuto qualche anno fa per andare a cercarlo, in qualcosa simile ad una caccia al tesoro senza indizi, solo silenzio e complicità.
Di Giuseppe non mi è rimasto molto: qualche regalo di compleanno, qualche foto, tanti ricordi e una lettera. La lettera è ciò che mi ha effettivamente lasciato. Gliene scrivevo tante io, perché a me piace molto scrivere, ma lui quasi mai. Diceva che non era bravo, e lo diceva dalla prima elementare, da quando l’ho conosciuto, e si vergognava sempre di leggere i propri temi alla classe. Infatti la lettera non l’ha spedita. La lettera l’ha tenuta nascosta, in un piccolo spiraglio del muro, forse sperando che io la venissi a prendere. Me la portarono dopo aver scoperto il posto in cui lo tenevano, e ricordarlo con le sue parole, è meglio che farlo con le mie.
*
San Giuseppe Jato(?), Novembre 1995(?)
Cara Margherita,
innanzitutto tu come stai? Spero molto bene, o almeno meglio di me.
Spero che la data e il luogo non siano sbagliati, ma qui non ho molte informazioni. Il luogo l’ho sentito tempo fa, in un furgone, chiuso dietro un posto buio, mentre mi portavano qui, a San Giuseppe, o almeno questo ho capito. Sulla data anche non sono molto informato, ma i mesi li riesco a contare più o meno, e se mi perdo li chiedo, ma non amo parlare con loro. Non so i nomi e conosco a stento il viso, ma so che mi hanno portato qui, quando faceva ancora molto caldo, e prima di qui, in altri luoghi squallidi quanto questo, anche se il motivo è ancora molto vago sia dalle loro descrizioni che dalle indagini che mi sto facendo in mente. Ti ricordi le nostre indagini? Amavamo cercare di capire chi avesse mangiato l’ultimo bignè oppure chi avesse ributtato le nostre conchiglie in mare quando ci andavamo d’estate. Qui non c’è molto da indagare e non c’è stato nemmeno nell’ultimo lunghissimo tempo che mi hanno tenuto con loro. Forse ti starai chiedendo: Chi sono loro? Beh, neanche io so molto, anzi niente direi, come ti ho detto prima, di alcuni non ho visto nemmeno la faccia. Ricordo solo che “loro” nell’ultimo giorno in cui ho cavalcato, e l’ultimo giorno in cui ti ho vista, mi hanno preso e portato lontano dalla mia vita, da te e da tutti.
Ricordo che quel giorno ero al maneggio, e tu eri lì a guardarmi mentre giravo intorno e mi chiedevi: “Ma a te, oltre ad andare a cavallo, cosa piace?” Non ricordo cosa risposi, ma sono sicuro che avrei voluto dirti: “Il Sole e l’aria aperta”, e non pensavo che me l’avrebbero tolta così facilmente.
San Giuseppe Jato(?), Novembre 1995(?)
Cara Margherita,
innanzitutto tu come stai? Spero molto bene, o almeno meglio di me.
Spero che la data e il luogo non siano sbagliati, ma qui non ho molte informazioni. Il luogo l’ho sentito tempo fa, in un furgone, chiuso dietro un posto buio, mentre mi portavano qui, a San Giuseppe, o almeno questo ho capito. Sulla data anche non sono molto informato, ma i mesi li riesco a contare più o meno, e se mi perdo li chiedo, ma non amo parlare con loro. Non so i nomi e conosco a stento il viso, ma so che mi hanno portato qui, quando faceva ancora molto caldo, e prima di qui, in altri luoghi squallidi quanto questo, anche se il motivo è ancora molto vago sia dalle loro descrizioni che dalle indagini che mi sto facendo in mente. Ti ricordi le nostre indagini? Amavamo cercare di capire chi avesse mangiato l’ultimo bignè oppure chi avesse ributtato le nostre conchiglie in mare quando ci andavamo d’estate. Qui non c’è molto da indagare e non c’è stato nemmeno nell’ultimo lunghissimo tempo che mi hanno tenuto con loro. Forse ti starai chiedendo: Chi sono loro? Beh, neanche io so molto, anzi niente direi, come ti ho detto prima, di alcuni non ho visto nemmeno la faccia. Ricordo solo che “loro” nell’ultimo giorno in cui ho cavalcato, e l’ultimo giorno in cui ti ho vista, mi hanno preso e portato lontano dalla mia vita, da te e da tutti.
Ricordo che quel giorno ero al maneggio, e tu eri lì a guardarmi mentre giravo intorno e mi chiedevi: “Ma a te, oltre ad andare a cavallo, cosa piace?” Non ricordo cosa risposi, ma sono sicuro che avrei voluto dirti: “Il Sole e l’aria aperta”, e non pensavo che me l’avrebbero tolta così facilmente.
Dopo che te ne sei andata, anche io stavo tornando a casa, e due uomini mi si sono presentati davanti, pensavo che mi volessero far vedere papà. Sembravano buoni, mi sono fidato e poi ricordo soltanto di essermi ritrovato in mano ad altri uomini, ed ad altri ancora, fino a qui, da dove spero di non muovermi più!
Mi piacerebbe tanto avere la tua fantasia, quello con cui scrivi tutti quei bei racconti che mi leggevi. Mi manca molto ascoltarli, ma non mi sono dimenticato la tua voce, e ogni tanto, con quel briciolo di immaginazioni, cerco di ricordarmi. Qui però è difficile, anzi difficilissimo. Sono in un luogo sottoterra, uno scantinato lo definirei. Ci si arriva da una scala che parte da sotto una botola, buia e grigia, come il resto della stanza. C’è una porta grande e pesante, che fai fatica anche solo guardandola, e da lì, ogni tanto, come gocce che tintinnano sulla ringhiera di un balcone provengono dei passi. Passi pesanti e duri, cattivi oserei dire. Passi che ti entrano in testa e che ti fanno sentire a disagio, facendoti chiedere che cosa potrebbe succedere da un momento all’altro. E allora entrano. Entrano Loro. A guardarli, se non avessero dei passamontagna, sembrerebbero delle persone come noi, ma poi vedi i loro atteggiamenti, il modo quasi spregevole in cui mi posano quella poca quantità di cibo vecchio sul tavolo e se ne vanno. Prima, però, mi levano la catena. Quella maledetta catena che mi stringe sulla caviglia e lascia dei segni che a volte sanguinano. Fa abbastanza male ma io non voglio fargli vedere le mie debolezze. Allora mi alzo, mi siedo sul vecchio tavolo color marrone scuro, scurito dal tempo, le botte e la poca luce che entra dentro questa specie di stanza.
Mi piacerebbe tanto avere la tua fantasia, quello con cui scrivi tutti quei bei racconti che mi leggevi. Mi manca molto ascoltarli, ma non mi sono dimenticato la tua voce, e ogni tanto, con quel briciolo di immaginazioni, cerco di ricordarmi. Qui però è difficile, anzi difficilissimo. Sono in un luogo sottoterra, uno scantinato lo definirei. Ci si arriva da una scala che parte da sotto una botola, buia e grigia, come il resto della stanza. C’è una porta grande e pesante, che fai fatica anche solo guardandola, e da lì, ogni tanto, come gocce che tintinnano sulla ringhiera di un balcone provengono dei passi. Passi pesanti e duri, cattivi oserei dire. Passi che ti entrano in testa e che ti fanno sentire a disagio, facendoti chiedere che cosa potrebbe succedere da un momento all’altro. E allora entrano. Entrano Loro. A guardarli, se non avessero dei passamontagna, sembrerebbero delle persone come noi, ma poi vedi i loro atteggiamenti, il modo quasi spregevole in cui mi posano quella poca quantità di cibo vecchio sul tavolo e se ne vanno. Prima, però, mi levano la catena. Quella maledetta catena che mi stringe sulla caviglia e lascia dei segni che a volte sanguinano. Fa abbastanza male ma io non voglio fargli vedere le mie debolezze. Allora mi alzo, mi siedo sul vecchio tavolo color marrone scuro, scurito dal tempo, le botte e la poca luce che entra dentro questa specie di stanza.
E mentre mangio, solitamente, mi guardo intorno, ma rimango deluso. Vedo solo il grigio delle pareti e mi consola solo la finestra, che non è neanche quella un granché. Sarà della larghezza delle mie mensole, ricordi quelle in cui tenevo tutti i miei fumetti? Ecco, più o meno così. Ci sono tre sbarre che mi impediscono di uscire, anche se solo il pensiero mi fa più paura di rimanere qui. Mi hanno portato un libro, però. Un fumetto. Non mi piace molto ma almeno con quello riesco a fuggire un po' dalla realtà…da questa realtà.
Ogni tanto sento un po’ di confusione fuori da qui, oppure sento Loro litigare, ma non mi spavento più ormai, mi sdraio sul letto e cerco di dormire, ma è impossibile, oltre che per tutto il rumore di queste situazioni, anche per la scomodità del letto. Sai, non è come quello su cui ci piaceva saltare quando eravamo piccoli, assolutamente no! Questo è mille volte più piccolo e soprattutto più fragile di quello dei miei o dei tuoi genitori.
Ogni tanto sento un po’ di confusione fuori da qui, oppure sento Loro litigare, ma non mi spavento più ormai, mi sdraio sul letto e cerco di dormire, ma è impossibile, oltre che per tutto il rumore di queste situazioni, anche per la scomodità del letto. Sai, non è come quello su cui ci piaceva saltare quando eravamo piccoli, assolutamente no! Questo è mille volte più piccolo e soprattutto più fragile di quello dei miei o dei tuoi genitori. A volte sorrido pensando a quando mamma si arrabbiava con noi e ci diceva che il letto si sarebbe potuto rompere...chissà cosa direbbe di questo qui! Però qui non ho mai provato a saltare. Mi dicono di non fare rumore, ma in generale non ho le energie, l’umore e i vestiti adatti per farlo.
Ogni tanto sento un po’ di confusione fuori da qui, oppure sento Loro litigare, ma non mi spavento più ormai, mi sdraio sul letto e cerco di dormire, ma è impossibile, oltre che per tutto il rumore di queste situazioni, anche per la scomodità del letto. Sai, non è come quello su cui ci piaceva saltare quando eravamo piccoli, assolutamente no! Questo è mille volte più piccolo e soprattutto più fragile di quello dei miei o dei tuoi genitori.
Ogni tanto sento un po’ di confusione fuori da qui, oppure sento Loro litigare, ma non mi spavento più ormai, mi sdraio sul letto e cerco di dormire, ma è impossibile, oltre che per tutto il rumore di queste situazioni, anche per la scomodità del letto. Sai, non è come quello su cui ci piaceva saltare quando eravamo piccoli, assolutamente no! Questo è mille volte più piccolo e soprattutto più fragile di quello dei miei o dei tuoi genitori. A volte sorrido pensando a quando mamma si arrabbiava con noi e ci diceva che il letto si sarebbe potuto rompere...chissà cosa direbbe di questo qui! Però qui non ho mai provato a saltare. Mi dicono di non fare rumore, ma in generale non ho le energie, l’umore e i vestiti adatti per farlo.