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francescobaldassarreIl secolo delle rivoluzioni
Ci sono molte buone ragioni per definire il Settecento un secolo rivoluzionario. Gli storici vi hanno infatti individuato una moltitudine di “rivoluzioni”: una rivoluzione demografica, una agricola, una industriale, una intellettuale e culturale – l’Illuminismo – oltre naturalmente le due classiche rivoluzioni politiche, quella americana e quella francese.
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Ci sono molte buone ragioni per definire il Settecento un secolo rivoluzionario. Gli storici vi hanno infatti individuato una moltitudine di “rivoluzioni”: una rivoluzione demografica, una agricola, una industriale, una intellettuale e culturale – l’Illuminismo – oltre naturalmente le due classiche rivoluzioni politiche, quella americana e quella francese.
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L'illuminismo
L’Illuminismo è un movimento culturale e filosofico che si sviluppa in particolare in Francia e in generale tutta Europa nel XVIII secolo, e che propugna i valori della ragione, dello spirito critico e della circolazione democratica del sapere. Per gli illuministi, la ragione è lo strumento principe di cui la filosofia deve servirsi come guida in tutti i campi del sapere e della conoscenza, con il fine ultimo di un miglioramento della vita associata degli uomini.
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L’Illuminismo è un movimento culturale e filosofico che si sviluppa in particolare in Francia e in generale tutta Europa nel XVIII secolo, e che propugna i valori della ragione, dello spirito critico e della circolazione democratica del sapere. Per gli illuministi, la ragione è lo strumento principe di cui la filosofia deve servirsi come guida in tutti i campi del sapere e della conoscenza, con il fine ultimo di un miglioramento della vita associata degli uomini.
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Per approfondire puoi guardare anche questi due video, uno sui caratteri generali dell'Illuminismo e uno sull'Enciclopédie
Introduzione
Il secolo delle rivoluzioni
Ci sono molte buone ragioni per definire il Settecento un secolo rivoluzionario. Gli storici vi hanno infatti individuato una moltitudine di “rivoluzioni”: una rivoluzione demografica, una agricola, una industriale, una intellettuale e culturale – l’Illuminismo – oltre naturalmente le due classiche rivoluzioni politiche, quella americana e quella francese.
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Ci sono molte buone ragioni per definire il Settecento un secolo rivoluzionario. Gli storici vi hanno infatti individuato una moltitudine di “rivoluzioni”: una rivoluzione demografica, una agricola, una industriale, una intellettuale e culturale – l’Illuminismo – oltre naturalmente le due classiche rivoluzioni politiche, quella americana e quella francese.
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L'illuminismo
L’Illuminismo è un movimento culturale e filosofico che si sviluppa in particolare in Francia e in generale tutta Europa nel XVIII secolo, e che propugna i valori della ragione, dello spirito critico e della circolazione democratica del sapere. Per gli illuministi, la ragione è lo strumento principe di cui la filosofia deve servirsi come guida in tutti i campi del sapere e della conoscenza, con il fine ultimo di un miglioramento della vita associata degli uomini.
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L’Illuminismo è un movimento culturale e filosofico che si sviluppa in particolare in Francia e in generale tutta Europa nel XVIII secolo, e che propugna i valori della ragione, dello spirito critico e della circolazione democratica del sapere. Per gli illuministi, la ragione è lo strumento principe di cui la filosofia deve servirsi come guida in tutti i campi del sapere e della conoscenza, con il fine ultimo di un miglioramento della vita associata degli uomini.
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Demografia e economia
A partire dalla fine del Seicento l'Europa conobbe una progressiva crescita demografica, favorita anche da un aumento della produzione agricola.
Importanti trasformazioni si ebbero anche in campo manifatturiero e commerciale, con un progressivo aumento dei capitali investiti in entrambi i settori.
Una immediata conseguenza di tali trasformazioni fu il superamento delle vecchie dottrine economiche mercantilistiche a vantaggio di nuove teorie incentrate sul libero scambio.
Sul tuo manuale: pagine 5 - 14
Importanti trasformazioni si ebbero anche in campo manifatturiero e commerciale, con un progressivo aumento dei capitali investiti in entrambi i settori.
Una immediata conseguenza di tali trasformazioni fu il superamento delle vecchie dottrine economiche mercantilistiche a vantaggio di nuove teorie incentrate sul libero scambio.
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L'aumento demografico
Nel Settecento il sistema demografico europeo si modifica profondamente. Soprattutto a partire dalla metà del secolo la popolazione europea aumenta rapidamente, passando da 125 milioni di abitanti nel 1700 a 195 milioni alla fine del secolo. Il fatto più rilevante è che la crescita non sarà più interrotta dalle ricorrenti crisi tipiche del sistema demografico precedente.
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Nel Settecento il sistema demografico europeo si modifica profondamente. Soprattutto a partire dalla metà del secolo la popolazione europea aumenta rapidamente, passando da 125 milioni di abitanti nel 1700 a 195 milioni alla fine del secolo. Il fatto più rilevante è che la crescita non sarà più interrotta dalle ricorrenti crisi tipiche del sistema demografico precedente.
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I commerci
Nel Settecento il crescere degli scambi commerciali segnala un cambiamento più sostanziale di aree che si incontrano e si scontrano per “divorare e digerire il mondo” prima che lo facciano gli altri: inizialmente, il sistema di vasi comunicanti dell’economia mondiale disloca i propri baricentri per poter mantenere il complessivo equilibrio di produzione e consumo. Ma la dirompente azione delle Compagnie commerciali produce una rottura di equilibri e confini secolari: non si scambiano, non si trasferiscono più prodotti rari, non ottenibili in altro modo o altrove, ma, piuttosto, merci competitive o – nel disarticolarsi dei regimi alimentari e dei costumi – piccoli lussi, in un’Europa desiderosa di panacee, di novità, di segni distintivi e di accrescimento sociale e sempre più bisognosa di trovare materie prime e sbocchi ai propri manufatti. Il vero cambiamento è nei piccoli mercati, nei commerci interni agli Stati e alle regioni, nel declinare delle fiere progressivamente sostituite dall’accumularsi delle merci nei magazzini: ma è il commercio a lunga distanza quello più visibile e rumoroso perché provoca nell’immediato guerre commerciali e conflitti monopolistici e ingenera l’egemonia inglese, costruita e ottenuta con qualsiasi mezzo e sfruttando ogni opportunità possibile: dalla liberalizzazione dei commerci alle acquisizioni territoriali, dallo sviluppo tecnico e scientifico alle fonti di energia e lavoro meccaniche, animali e umane.
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Nel Settecento il crescere degli scambi commerciali segnala un cambiamento più sostanziale di aree che si incontrano e si scontrano per “divorare e digerire il mondo” prima che lo facciano gli altri: inizialmente, il sistema di vasi comunicanti dell’economia mondiale disloca i propri baricentri per poter mantenere il complessivo equilibrio di produzione e consumo. Ma la dirompente azione delle Compagnie commerciali produce una rottura di equilibri e confini secolari: non si scambiano, non si trasferiscono più prodotti rari, non ottenibili in altro modo o altrove, ma, piuttosto, merci competitive o – nel disarticolarsi dei regimi alimentari e dei costumi – piccoli lussi, in un’Europa desiderosa di panacee, di novità, di segni distintivi e di accrescimento sociale e sempre più bisognosa di trovare materie prime e sbocchi ai propri manufatti. Il vero cambiamento è nei piccoli mercati, nei commerci interni agli Stati e alle regioni, nel declinare delle fiere progressivamente sostituite dall’accumularsi delle merci nei magazzini: ma è il commercio a lunga distanza quello più visibile e rumoroso perché provoca nell’immediato guerre commerciali e conflitti monopolistici e ingenera l’egemonia inglese, costruita e ottenuta con qualsiasi mezzo e sfruttando ogni opportunità possibile: dalla liberalizzazione dei commerci alle acquisizioni territoriali, dallo sviluppo tecnico e scientifico alle fonti di energia e lavoro meccaniche, animali e umane.
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L'agricoltura europea nel '700
Durante il Settecento l’agricoltura di gran parte dell’Europa non fa registrare miglioramenti significativi, anche se l’aumento della produzione tiene sostanzialmente il passo con quello della popolazione. Fanno eccezione a questo quadro di stagnazione l’Olanda e la Gran Bretagna, dove i progressi sono molto significativi e consentono di parlare di una rivoluzione agraria stimolata dal dinamismo delle economie urbane dei rispettivi paesi e dal ruolo che essi hanno nel commercio internazionale.
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Durante il Settecento l’agricoltura di gran parte dell’Europa non fa registrare miglioramenti significativi, anche se l’aumento della produzione tiene sostanzialmente il passo con quello della popolazione. Fanno eccezione a questo quadro di stagnazione l’Olanda e la Gran Bretagna, dove i progressi sono molto significativi e consentono di parlare di una rivoluzione agraria stimolata dal dinamismo delle economie urbane dei rispettivi paesi e dal ruolo che essi hanno nel commercio internazionale.
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Adam Smith e il liberismo
Il padre del liberismo moderno è A. Smith, il quale dedusse la necessità della libertà di produzione e di scambi interni e internazionali dalla constatazione dei vantaggi economici derivanti dalla divisione del lavoro, e insieme dalla convinzione che l’individuo lasciato libero sia in grado di scegliere la via che assicuri a lui e quindi alla collettività il massimo beneficio.
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Il padre del liberismo moderno è A. Smith, il quale dedusse la necessità della libertà di produzione e di scambi interni e internazionali dalla constatazione dei vantaggi economici derivanti dalla divisione del lavoro, e insieme dalla convinzione che l’individuo lasciato libero sia in grado di scegliere la via che assicuri a lui e quindi alla collettività il massimo beneficio.
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Vedi video su Adam Smith e la nascita dell'economia politica
I commerci
Nel Settecento il crescere degli scambi commerciali segnala un cambiamento più sostanziale di aree che si incontrano e si scontrano per “divorare e digerire il mondo” prima che lo facciano gli altri: inizialmente, il sistema di vasi comunicanti dell’economia mondiale disloca i propri baricentri per poter mantenere il complessivo equilibrio di produzione e consumo. Ma la dirompente azione delle Compagnie commerciali produce una rottura di equilibri e confini secolari: non si scambiano, non si trasferiscono più prodotti rari, non ottenibili in altro modo o altrove, ma, piuttosto, merci competitive o – nel disarticolarsi dei regimi alimentari e dei costumi – piccoli lussi, in un’Europa desiderosa di panacee, di novità, di segni distintivi e di accrescimento sociale e sempre più bisognosa di trovare materie prime e sbocchi ai propri manufatti. Il vero cambiamento è nei piccoli mercati, nei commerci interni agli Stati e alle regioni, nel declinare delle fiere progressivamente sostituite dall’accumularsi delle merci nei magazzini: ma è il commercio a lunga distanza quello più visibile e rumoroso perché provoca nell’immediato guerre commerciali e conflitti monopolistici e ingenera l’egemonia inglese, costruita e ottenuta con qualsiasi mezzo e sfruttando ogni opportunità possibile: dalla liberalizzazione dei commerci alle acquisizioni territoriali, dallo sviluppo tecnico e scientifico alle fonti di energia e lavoro meccaniche, animali e umane.
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Adam Smith e il liberismo
Il padre del liberismo moderno è A. Smith, il quale dedusse la necessità della libertà di produzione e di scambi interni e internazionali dalla constatazione dei vantaggi economici derivanti dalla divisione del lavoro, e insieme dalla convinzione che l’individuo lasciato libero sia in grado di scegliere la via che assicuri a lui e quindi alla collettività il massimo beneficio.
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Il padre del liberismo moderno è A. Smith, il quale dedusse la necessità della libertà di produzione e di scambi interni e internazionali dalla constatazione dei vantaggi economici derivanti dalla divisione del lavoro, e insieme dalla convinzione che l’individuo lasciato libero sia in grado di scegliere la via che assicuri a lui e quindi alla collettività il massimo beneficio.
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Guerra ed equilibrio
Video per approfondire
Agli inizi del Settecento gran parte dell’Europa è - sia pur nei diversi regimi - un’unica comunità, con frequenti legami dinastici e identici principi politici; il sostanziale equilibrio sembra rompersi con le guerre di successione in cui Francia, Inghilterra, Impero asburgico e Spagna si scontrano e si accordano a spese degli Stati più piccoli e deboli ottenendo uno stabilizzarsi delle relazioni rotto solo dalla “guerra dei Sette anni”, che inaugura un nuovo periodo di incertezza
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Sul tuo manuale: pagine 55 - 61
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La guerra nel '700
Il Settecento perfeziona le tecniche e le istituzioni militari che si sono sviluppate nel Seicento. Sebbene i conflitti abbiano un carattere più limitato e non ideologico, almeno fino alla rivoluzione, la guerra è la principale voce nel bilancio degli Stati e rappresenta uno dei fattori di mutamento politico interno più rilevanti. La solidità finanziaria e il controllo delle rotte commerciali sono la vera arma decisiva dei conflitti fra le potenze europee.
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Il Settecento perfeziona le tecniche e le istituzioni militari che si sono sviluppate nel Seicento. Sebbene i conflitti abbiano un carattere più limitato e non ideologico, almeno fino alla rivoluzione, la guerra è la principale voce nel bilancio degli Stati e rappresenta uno dei fattori di mutamento politico interno più rilevanti. La solidità finanziaria e il controllo delle rotte commerciali sono la vera arma decisiva dei conflitti fra le potenze europee.
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L'Europa delle successioni
Il Settecento sembra aver abbandonato le aspirazioni universalistiche. O, almeno,nella prima metà del secolo queste hanno cambiato forma: c’è bisogno, intanto, di denaro per le crescenti esigenze degli Stati e dei loro apparati, da ottenere con il minor costo possibile. La lotta per l’egemonia prosegue, ma con mezzi diversi dalla guerra che divora risorse e uomini: la diplomazia si rivela meno dispendiosa, i matrimoni più convenienti, le relazioni internazionali uno scacchiere volto alla conservazione dello status quo ante e all’equilibrio.
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Il Settecento sembra aver abbandonato le aspirazioni universalistiche. O, almeno,nella prima metà del secolo queste hanno cambiato forma: c’è bisogno, intanto, di denaro per le crescenti esigenze degli Stati e dei loro apparati, da ottenere con il minor costo possibile. La lotta per l’egemonia prosegue, ma con mezzi diversi dalla guerra che divora risorse e uomini: la diplomazia si rivela meno dispendiosa, i matrimoni più convenienti, le relazioni internazionali uno scacchiere volto alla conservazione dello status quo ante e all’equilibrio.
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