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IL GIOVANE FAVOLOSO
Giacomo Leopardi a Recanati nel 1798 in una famiglia aristocratica, figlio del conte Monaldo Leopardi e della marchesa Adelaide Antici. Riceve fin da bambino un'educazione approfondita in diversi campi del sapere dalle lettere classiche alla scienza, avvalendosi anche della grande biblioteca paterna
Già dal 1819 incomincia a raccogliere i suoi pensieri e le sue annotazioni in quello che diventerà noto come Zibaldone di pensieri, carte che raccoglieranno le sue considerazioni più profonde sulla poesia, sulla letteratura e sulla filosofia e che rimarranno inedite fino alla fine del secolo. Negli anni venti dell'Ottocento pubblica le sue prime raccolte, gli Idilli (1819-1821) e le Canzoni (1820-1823). In questo stesso periodo Leopardi lascia Recanati, recandosi in viaggio a Roma. Nel 1824 la prima produzione poetica di Leopardi entra in crisi, e il giovane poeta si dedica a un'opera in prosa, le Operette Morali. Nel 1828 è costretto a tornare a Recanati, a causa di un grave disturbo agli occhi, e rimarrà nel paese natale fino al 1830. In questi due anni Leopardi compose i cosiddetti Grandi idilli, alcune delle sue poesie più conosciute: A Silvia,Il passero solitario, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Dal 1830 al 1833 si trova a Firenze, dove conosce Antonio Ranieri, giovane napoletano a cui rimarrà legato fino alla sua morte. Si innamora di una giovane nobile, Fanny Targioni Tozzetti. Passione che si conclude in una delusione, ma che gli ispira le poesie del cosiddetto Ciclo di Aspasia. Nel 1833 Giacomo Leopardi è a Napoli con Ranieri, in questa città compone i suoi ultimi Canti tra cui La ginestra o il fiore del deserto. Nel 1837 le sue già precarie condizioni di salute si aggravano ulteriormente e il 14 giugno 1837 muore a trentanove anni.
Giacomo Leopardi a Recanati nel 1798 in una famiglia aristocratica, figlio del conte Monaldo Leopardi e della marchesa Adelaide Antici. Riceve fin da bambino un'educazione approfondita in diversi campi del sapere dalle lettere classiche alla scienza, avvalendosi anche della grande biblioteca paterna
Già dal 1819 incomincia a raccogliere i suoi pensieri e le sue annotazioni in quello che diventerà noto come Zibaldone di pensieri, carte che raccoglieranno le sue considerazioni più profonde sulla poesia, sulla letteratura e sulla filosofia e che rimarranno inedite fino alla fine del secolo. Negli anni venti dell'Ottocento pubblica le sue prime raccolte, gli Idilli (1819-1821) e le Canzoni (1820-1823). In questo stesso periodo Leopardi lascia Recanati, recandosi in viaggio a Roma. Nel 1824 la prima produzione poetica di Leopardi entra in crisi, e il giovane poeta si dedica a un'opera in prosa, le Operette Morali. Nel 1828 è costretto a tornare a Recanati, a causa di un grave disturbo agli occhi, e rimarrà nel paese natale fino al 1830. In questi due anni Leopardi compose i cosiddetti Grandi idilli, alcune delle sue poesie più conosciute: A Silvia,Il passero solitario, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Dal 1830 al 1833 si trova a Firenze, dove conosce Antonio Ranieri, giovane napoletano a cui rimarrà legato fino alla sua morte. Si innamora di una giovane nobile, Fanny Targioni Tozzetti. Passione che si conclude in una delusione, ma che gli ispira le poesie del cosiddetto Ciclo di Aspasia. Nel 1833 Giacomo Leopardi è a Napoli con Ranieri, in questa città compone i suoi ultimi Canti tra cui La ginestra o il fiore del deserto. Nel 1837 le sue già precarie condizioni di salute si aggravano ulteriormente e il 14 giugno 1837 muore a trentanove anni.
IL GIOVANE FAVOLOSO
Giacomo Leopardi a Recanati nel 1798 in una famiglia aristocratica, figlio del conte Monaldo Leopardi e della marchesa Adelaide Antici. Riceve fin da bambino un'educazione approfondita in diversi campi del sapere dalle lettere classiche alla scienza, avvalendosi anche della grande biblioteca paterna
Già dal 1819 incomincia a raccogliere i suoi pensieri e le sue annotazioni in quello che diventerà noto come Zibaldone di pensieri, carte che raccoglieranno le sue considerazioni più profonde sulla poesia, sulla letteratura e sulla filosofia e che rimarranno inedite fino alla fine del secolo. Negli anni venti dell'Ottocento pubblica le sue prime raccolte, gli Idilli (1819-1821) e le Canzoni (1820-1823). In questo stesso periodo Leopardi lascia Recanati, recandosi in viaggio a Roma. Nel 1824 la prima produzione poetica di Leopardi entra in crisi, e il giovane poeta si dedica a un'opera in prosa, le Operette Morali. Nel 1828 è costretto a tornare a Recanati, a causa di un grave disturbo agli occhi, e rimarrà nel paese natale fino al 1830. In questi due anni Leopardi compose i cosiddetti Grandi idilli, alcune delle sue poesie più conosciute: A Silvia,Il passero solitario, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Dal 1830 al 1833 si trova a Firenze, dove conosce Antonio Ranieri, giovane napoletano a cui rimarrà legato fino alla sua morte. Si innamora di una giovane nobile, Fanny Targioni Tozzetti. Passione che si conclude in una delusione, ma che gli ispira le poesie del cosiddetto Ciclo di Aspasia. Nel 1833 Giacomo Leopardi è a Napoli con Ranieri, in questa città compone i suoi ultimi Canti tra cui La ginestra o il fiore del deserto. Nel 1837 le sue già precarie condizioni di salute si aggravano ulteriormente e il 14 giugno 1837 muore a trentanove anni.
Giacomo Leopardi a Recanati nel 1798 in una famiglia aristocratica, figlio del conte Monaldo Leopardi e della marchesa Adelaide Antici. Riceve fin da bambino un'educazione approfondita in diversi campi del sapere dalle lettere classiche alla scienza, avvalendosi anche della grande biblioteca paterna
Già dal 1819 incomincia a raccogliere i suoi pensieri e le sue annotazioni in quello che diventerà noto come Zibaldone di pensieri, carte che raccoglieranno le sue considerazioni più profonde sulla poesia, sulla letteratura e sulla filosofia e che rimarranno inedite fino alla fine del secolo. Negli anni venti dell'Ottocento pubblica le sue prime raccolte, gli Idilli (1819-1821) e le Canzoni (1820-1823). In questo stesso periodo Leopardi lascia Recanati, recandosi in viaggio a Roma. Nel 1824 la prima produzione poetica di Leopardi entra in crisi, e il giovane poeta si dedica a un'opera in prosa, le Operette Morali. Nel 1828 è costretto a tornare a Recanati, a causa di un grave disturbo agli occhi, e rimarrà nel paese natale fino al 1830. In questi due anni Leopardi compose i cosiddetti Grandi idilli, alcune delle sue poesie più conosciute: A Silvia,Il passero solitario, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Dal 1830 al 1833 si trova a Firenze, dove conosce Antonio Ranieri, giovane napoletano a cui rimarrà legato fino alla sua morte. Si innamora di una giovane nobile, Fanny Targioni Tozzetti. Passione che si conclude in una delusione, ma che gli ispira le poesie del cosiddetto Ciclo di Aspasia. Nel 1833 Giacomo Leopardi è a Napoli con Ranieri, in questa città compone i suoi ultimi Canti tra cui La ginestra o il fiore del deserto. Nel 1837 le sue già precarie condizioni di salute si aggravano ulteriormente e il 14 giugno 1837 muore a trentanove anni.
Puoi leggere una biografia approfondita di Leopardi qui (Wikipedia) o qui (Weeschool)
Qui trovi informazioni sul film "Il giovane favoloso" di Mario Martone, incentrato sulla vita di Leopardi
Filosofia e frammento
Il frammento come scelta filosofica prima che stilistica.
Leopardi rifiuta i grandi sistemi filosofici. Infatti sarebbe possibile costruire un sistema filosofico compiuto solo se ci fosse una verità da rivelare sull’ordine del mondo. Ma l’unica verità è che il mondo è caos, quindi tutto è frammento.
Leopardi definisce infatti “dannosissimo al vero”, “l’amor di sistema”, poiché “i particolari si tirano per forza ad accomodarsi al sistema formato prima della considerazione di essi particolari, dalla quale il sistema dovea derivare ed a cui dovea esso accomodarsi. Allora le cose si travisano, i rapporti si sognano, si considerano i particolari in quell’aspetto solo che favorisce il sistema, insomma le cose servono al sistema e non il sistema alle cose, come dovrebb’essere”. [Zibaldone 948]
La costruzione di grandi sistemi è quindi dannosa sia perché illude l’uomo prospettandogli un ordine, un senso del mondo, che invece che non esiste, sia perché impedisce anche la conoscenza dei fenomeni particolari, gli unici sui quali ci si può pronunciare.
Frammentarietà non significa però contraddittorietà. Vi è infatti nella riflessione di Leopardi un’unità rigorosa e potente che tiene insieme Zibaldone, Operette e produzione poetica
Il frammento come scelta filosofica prima che stilistica.
Leopardi rifiuta i grandi sistemi filosofici. Infatti sarebbe possibile costruire un sistema filosofico compiuto solo se ci fosse una verità da rivelare sull’ordine del mondo. Ma l’unica verità è che il mondo è caos, quindi tutto è frammento.
Leopardi definisce infatti “dannosissimo al vero”, “l’amor di sistema”, poiché “i particolari si tirano per forza ad accomodarsi al sistema formato prima della considerazione di essi particolari, dalla quale il sistema dovea derivare ed a cui dovea esso accomodarsi. Allora le cose si travisano, i rapporti si sognano, si considerano i particolari in quell’aspetto solo che favorisce il sistema, insomma le cose servono al sistema e non il sistema alle cose, come dovrebb’essere”. [Zibaldone 948]
La costruzione di grandi sistemi è quindi dannosa sia perché illude l’uomo prospettandogli un ordine, un senso del mondo, che invece che non esiste, sia perché impedisce anche la conoscenza dei fenomeni particolari, gli unici sui quali ci si può pronunciare.
Frammentarietà non significa però contraddittorietà. Vi è infatti nella riflessione di Leopardi un’unità rigorosa e potente che tiene insieme Zibaldone, Operette e produzione poetica
Tutto è nulla
Tutto è nulla perché tutto è destinato a dissolversi nel nulla:
“Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi segno né fama alcuna; parimente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi” [Cantico del Gallo silvestre]
Anche dolore umano e disperazione sono nulla e sono destinati a cessare.
“Tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione, della quale ogni uomo anche savio, ma più tranquillo, ed io stesso certamente in un'ora più quieta conoscerò, la vanità e l'irragionevolezza e l'immaginario. Misero me, è vano, è un nulla anche questo mio dolore, che in un certo tempo passerà e s'annullerà, lasciandomi in un vôto universale, e in un'indo- lenza terribile che mi farà incapace anche di dolermi”. [Zibaldone 72]
Tutto è nulla perché tutto è destinato a dissolversi nel nulla:
“Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta. E nel modo che di grandissimi regni ed imperi umani, e loro maravigliosi moti, che furono famosissimi in altre età, non resta oggi segno né fama alcuna; parimente del mondo intero, e delle infinite vicende e calamità delle cose create, non rimarrà pure un vestigio; ma un silenzio nudo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso. Così questo arcano mirabile e spaventoso dell’esistenza universale, innanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e perderassi” [Cantico del Gallo silvestre]
Anche dolore umano e disperazione sono nulla e sono destinati a cessare.
“Tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione, della quale ogni uomo anche savio, ma più tranquillo, ed io stesso certamente in un'ora più quieta conoscerò, la vanità e l'irragionevolezza e l'immaginario. Misero me, è vano, è un nulla anche questo mio dolore, che in un certo tempo passerà e s'annullerà, lasciandomi in un vôto universale, e in un'indo- lenza terribile che mi farà incapace anche di dolermi”. [Zibaldone 72]
2) Tutto è nulla in quanto la vita è un perenne ciclo di produzione e distruzione:
“La vita di questo universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera che ciascheduna serve continuamente all’altra , ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento” [Dialogo della Natura e di un islandese]
3) Tutto è nulla nel senso che non esiste “archè”, non esiste
principio ordinante
. E se anche questo principio esistesse l’uomo non potrebbe conoscerlo (Vedi le tre tesi di Gorgia: “Nulla è, se anche qualcosa fosse non sarebbe conoscibile, se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile”)
“Vale a dire che un primo ed universale principio delle cose, o non esiste, nè mai fu, o se esiste o esistè, non lo possia- mo in niun modo conoscere, non avendo noi nè potendo avere il menomo dato per giudicare delle cose avanti le cose, e conoscerle al di là del puro fatto reale. [Zibaldone 1341]
4) Nulla è nel senso che non vi è nulla di necessario. Le cose sono un «puro fatto» senza perché: non si può conoscere nulla delle cose, prima che si presenti il puro fatto della loro esistenza.
“In somma il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla. Giacchè nessuna cosa è assolutamente necessaria, cioè non v'è ragione assoluta perch'ella non possa non essere, o non essere in quel tal modo ec. E tutte le cose sono possibili, cioè non v'è ragione assoluta perché una cosa qualunque, non possa essere, o essere in questo o quel modo ec. E non v'è divario alcuno assoluto fra tutte le possibilità, nè differenza assoluta fra tutte le bontà e perfezioni possibili”. [Zibaldone 1341]
“La vita di questo universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera che ciascheduna serve continuamente all’altra , ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento” [Dialogo della Natura e di un islandese]
3) Tutto è nulla nel senso che non esiste “archè”, non esiste
principio ordinante
. E se anche questo principio esistesse l’uomo non potrebbe conoscerlo (Vedi le tre tesi di Gorgia: “Nulla è, se anche qualcosa fosse non sarebbe conoscibile, se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile”)
“Vale a dire che un primo ed universale principio delle cose, o non esiste, nè mai fu, o se esiste o esistè, non lo possia- mo in niun modo conoscere, non avendo noi nè potendo avere il menomo dato per giudicare delle cose avanti le cose, e conoscerle al di là del puro fatto reale. [Zibaldone 1341]
4) Nulla è nel senso che non vi è nulla di necessario. Le cose sono un «puro fatto» senza perché: non si può conoscere nulla delle cose, prima che si presenti il puro fatto della loro esistenza.
“In somma il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla. Giacchè nessuna cosa è assolutamente necessaria, cioè non v'è ragione assoluta perch'ella non possa non essere, o non essere in quel tal modo ec. E tutte le cose sono possibili, cioè non v'è ragione assoluta perché una cosa qualunque, non possa essere, o essere in questo o quel modo ec. E non v'è divario alcuno assoluto fra tutte le possibilità, nè differenza assoluta fra tutte le bontà e perfezioni possibili”. [Zibaldone 1341]
Se “nulla è”, non può esistere, quindi, nessuna verità assoluta, immutabile, eterna, definitiva. La continua produzione e distruzione è il “gioco” arbitrario della natura.
Il vulcano de La ginestra è l’immagine di questo gioco. Ignara dell’uomo, dei tempi, dei regni, che vengono e vanno, sta natura ognor verde
Il vulcano de La ginestra è l’immagine di questo gioco. Ignara dell’uomo, dei tempi, dei regni, che vengono e vanno, sta natura ognor verde
2) Tutto è nulla in quanto la vita è un perenne ciclo di produzione e distruzione:
“La vita di questo universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera che ciascheduna serve continuamente all’altra , ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento” [Dialogo della Natura e di un islandese]
3) Tutto è nulla nel senso che non esiste “archè”, non esiste
principio ordinante
. E se anche questo principio esistesse l’uomo non potrebbe conoscerlo (Vedi le tre tesi di Gorgia: “Nulla è, se anche qualcosa fosse non sarebbe conoscibile, se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile”)
“Vale a dire che un primo ed universale principio delle cose, o non esiste, nè mai fu, o se esiste o esistè, non lo possia- mo in niun modo conoscere, non avendo noi nè potendo avere il menomo dato per giudicare delle cose avanti le cose, e conoscerle al di là del puro fatto reale. [Zibaldone 1341]
4) Nulla è nel senso che non vi è nulla di necessario. Le cose sono un «puro fatto» senza perché: non si può conoscere nulla delle cose, prima che si presenti il puro fatto della loro esistenza.
“In somma il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla. Giacchè nessuna cosa è assolutamente necessaria, cioè non v'è ragione assoluta perch'ella non possa non essere, o non essere in quel tal modo ec. E tutte le cose sono possibili, cioè non v'è ragione assoluta perché una cosa qualunque, non possa essere, o essere in questo o quel modo ec. E non v'è divario alcuno assoluto fra tutte le possibilità, nè differenza assoluta fra tutte le bontà e perfezioni possibili”. [Zibaldone 1341]
“La vita di questo universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera che ciascheduna serve continuamente all’altra , ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento” [Dialogo della Natura e di un islandese]
3) Tutto è nulla nel senso che non esiste “archè”, non esiste
principio ordinante
. E se anche questo principio esistesse l’uomo non potrebbe conoscerlo (Vedi le tre tesi di Gorgia: “Nulla è, se anche qualcosa fosse non sarebbe conoscibile, se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile”)
“Vale a dire che un primo ed universale principio delle cose, o non esiste, nè mai fu, o se esiste o esistè, non lo possia- mo in niun modo conoscere, non avendo noi nè potendo avere il menomo dato per giudicare delle cose avanti le cose, e conoscerle al di là del puro fatto reale. [Zibaldone 1341]
4) Nulla è nel senso che non vi è nulla di necessario. Le cose sono un «puro fatto» senza perché: non si può conoscere nulla delle cose, prima che si presenti il puro fatto della loro esistenza.
“In somma il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla. Giacchè nessuna cosa è assolutamente necessaria, cioè non v'è ragione assoluta perch'ella non possa non essere, o non essere in quel tal modo ec. E tutte le cose sono possibili, cioè non v'è ragione assoluta perché una cosa qualunque, non possa essere, o essere in questo o quel modo ec. E non v'è divario alcuno assoluto fra tutte le possibilità, nè differenza assoluta fra tutte le bontà e perfezioni possibili”. [Zibaldone 1341]
Se “nulla è”, non può esistere, quindi, nessuna verità assoluta, immutabile, eterna, definitiva. La continua produzione e distruzione è il “gioco” arbitrario della natura.
Il vulcano de La ginestra è l’immagine di questo gioco. Ignara dell’uomo, dei tempi, dei regni, che vengono e vanno, sta natura ognor verde
Il vulcano de La ginestra è l’immagine di questo gioco. Ignara dell’uomo, dei tempi, dei regni, che vengono e vanno, sta natura ognor verde
Verità e dolore
Secondo una tradizione consolidata la filosofia nasce per lenire il dolore dell’uomo. Nasce cioè da “Thàuma”, l’angosciato stupore provocato all’uomo dal mistero della vita. Quando il mito non basta più a rassicurarlo nasce la filosofia che con la sua verità innegabile lo rassicura. La verità filosofica è rimedio per il dolore. Leopardi è il primo ad affermare, invece, che l’unica verità è l’annientamento della vita e delle cose, e che quindi la verità non può essere il rimedio del dolore. La verità è dolore.
Per l’uomo sarebbe molto meglio non conoscere la verità.
“L'uomo non doveva per nessun conto accorgersi della sua assoluta e necessaria infelicità in questa vita, ma solamente delle accidentali (come i fanciulli e le bestie)”. [Zibaldone 66]
Ma vedi anche il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia:
O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d’affanno
Quasi libera vai;
ch’ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi;
ma più che giammai tedio non provi....
Il dolore, però, non negato o temuto, né allontanato, bensì accettato come essenza più vera e piena dell’uomo
Secondo una tradizione consolidata la filosofia nasce per lenire il dolore dell’uomo. Nasce cioè da “Thàuma”, l’angosciato stupore provocato all’uomo dal mistero della vita. Quando il mito non basta più a rassicurarlo nasce la filosofia che con la sua verità innegabile lo rassicura. La verità filosofica è rimedio per il dolore. Leopardi è il primo ad affermare, invece, che l’unica verità è l’annientamento della vita e delle cose, e che quindi la verità non può essere il rimedio del dolore. La verità è dolore.
Per l’uomo sarebbe molto meglio non conoscere la verità.
“L'uomo non doveva per nessun conto accorgersi della sua assoluta e necessaria infelicità in questa vita, ma solamente delle accidentali (come i fanciulli e le bestie)”. [Zibaldone 66]
Ma vedi anche il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia:
O greggia mia che posi, oh te beata,
che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perché d’affanno
Quasi libera vai;
ch’ogni stento, ogni danno,
ogni estremo timor subito scordi;
ma più che giammai tedio non provi....
Il dolore, però, non negato o temuto, né allontanato, bensì accettato come essenza più vera e piena dell’uomo
Le opere di genio
“Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l'inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un'anima grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e scoraggimento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione, raccendono l'entusiasmo, e non trattando nè rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta. E così quello che veduto nella realtà delle cose, accora e uccide l'anima, veduto nell'imitazione o in qualunque altro modo nelle opere di genio (come p.e. nella lirica che non è propriamente imitazione), apre il cuore e ravviva”. [Zibaldone 262]
“Hanno questo di proprio le opere di genio, che quando anche rappresentino al vivo la nullità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente e facciano sentire l'inevitabile infelicità della vita, quando anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad un'anima grande che si trovi anche in uno stato di estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e scoraggimento della vita, o nelle più acerbe e mortifere disgrazie (sia che appartengano alle alte e forti passioni, sia a qualunque altra cosa); servono sempre di consolazione, raccendono l'entusiasmo, e non trattando nè rappresentando altro che la morte, le rendono, almeno momentaneamente, quella vita che aveva perduta. E così quello che veduto nella realtà delle cose, accora e uccide l'anima, veduto nell'imitazione o in qualunque altro modo nelle opere di genio (come p.e. nella lirica che non è propriamente imitazione), apre il cuore e ravviva”. [Zibaldone 262]
L’opera del genio è la perfetta fusione di filosofia e poesia.
Poesia e filosofia: illusione, lucidità, consolazione
Quello di Leopardi è un “pensiero poetante”. Filosofia e Poesia sono costantemente e consapevolmente unite.
Leopardi teorizza l’unione di filosofia e poesia in diversi passi dello Zibaldone e poi, ovviamente, la pratica nelle sue opere.
Su un primo versante la filosofia ha bisogno della poesia, poiché la ragione senza immaginazione non è in grado di conoscere compiutamente la realtà. Per Leopardi non è possibile fare filosofia senza confrontarsi con immaginazione e sentimento e la poesia è lo strumento fondamentale per accedere a questa dimensione dell’uomo.
“Chi non ha o non ha mai avuto immaginazione, sentimento, capacità di entusiasmo, di eroismo, d'illusioni vive e grandi, di forti e varie passioni, chi non conosce l'immenso sistema del bello, chi non legge o non sente, o non ha mai letto o sentito i poeti, non può assolutamente essere un grande, vero e perfetto filosofo, anzi non sarà mai se non un filosofo dimezzato, di corta vista, di colpo d'occhio assai debole, di penetrazione scarsa, per diligente, paziente, e sottile, e dialettico e matematico ch'ei possa essere; non conoscerà mai il vero, si persuaderà e proverà colla possibile evidenza cose falsissime ec. ec. Non già perché il cuore e la fantasia dicano sovente più vero della fredda ragione, come si afferma, nel che non entro a discorrere, ma perchè la stessa freddissima ragione ha bisogno di conoscere tutte queste cose, se vuol penetrare nel sistema della natura, e svilupparlo. L'analisi delle idee, dell'uomo, del sistema universale degli esseri, deve necessariamente cadere in grandissima e principalissima parte, sulla immaginazione sulle illusioni naturali, sul bello, sulle passioni, su tutto ciò che v'ha di poetico nell'intero sistema della natura. Questa parte della natura, non solo è utile, ma necessaria per conoscer l'altra, anzi l'una dall'altra non si può staccare nelle meditazioni filosofiche, perché la natura è fatta così. La detta analisi in ordine alla filosofia, dev'esser fatta non già dall'immaginazione o dal cuore, bensì dalla fredda ragione che entri ne' più riposti segreti dell'uno e dell'altra”. [Zibaldone 1834]
“Il filosofo non è perfetto, s'egli non è che filosofo, e se impiega la sua vita e se stesso al solo perfezionamento della sua filosofia, della sua ragione, al puro ritrovamento del vero, che è pur l'unico e puro fine del perfetto filosofo. La ragione ha bisogno dell'immaginazione e delle illusioni ch'ella distrugge; il vero del falso; il sostanziale dell'apparente; l'insensibilità la più perfetta della sensibilità la più viva; il ghiaccio del fuoco; la pazienza dell'impazienza; l'impotenza della somma potenza; il piccolissimo del grandissimo; la geometria e l'algebra, della poesia. ec. Tutto ciò conferma quello che altrove ho detto della necessità dell'immaginazione al gran filosofo”. [Zibaldone 1840]
La ragione senza immaginazione produce grandi sistemi filosofici che però non contengono nessuna reale conoscenza, anzi illudono l’uomo prospettandogli un ordine dove vi è solo caos
Quello di Leopardi è un “pensiero poetante”. Filosofia e Poesia sono costantemente e consapevolmente unite.
Leopardi teorizza l’unione di filosofia e poesia in diversi passi dello Zibaldone e poi, ovviamente, la pratica nelle sue opere.
Su un primo versante la filosofia ha bisogno della poesia, poiché la ragione senza immaginazione non è in grado di conoscere compiutamente la realtà. Per Leopardi non è possibile fare filosofia senza confrontarsi con immaginazione e sentimento e la poesia è lo strumento fondamentale per accedere a questa dimensione dell’uomo.
“Chi non ha o non ha mai avuto immaginazione, sentimento, capacità di entusiasmo, di eroismo, d'illusioni vive e grandi, di forti e varie passioni, chi non conosce l'immenso sistema del bello, chi non legge o non sente, o non ha mai letto o sentito i poeti, non può assolutamente essere un grande, vero e perfetto filosofo, anzi non sarà mai se non un filosofo dimezzato, di corta vista, di colpo d'occhio assai debole, di penetrazione scarsa, per diligente, paziente, e sottile, e dialettico e matematico ch'ei possa essere; non conoscerà mai il vero, si persuaderà e proverà colla possibile evidenza cose falsissime ec. ec. Non già perché il cuore e la fantasia dicano sovente più vero della fredda ragione, come si afferma, nel che non entro a discorrere, ma perchè la stessa freddissima ragione ha bisogno di conoscere tutte queste cose, se vuol penetrare nel sistema della natura, e svilupparlo. L'analisi delle idee, dell'uomo, del sistema universale degli esseri, deve necessariamente cadere in grandissima e principalissima parte, sulla immaginazione sulle illusioni naturali, sul bello, sulle passioni, su tutto ciò che v'ha di poetico nell'intero sistema della natura. Questa parte della natura, non solo è utile, ma necessaria per conoscer l'altra, anzi l'una dall'altra non si può staccare nelle meditazioni filosofiche, perché la natura è fatta così. La detta analisi in ordine alla filosofia, dev'esser fatta non già dall'immaginazione o dal cuore, bensì dalla fredda ragione che entri ne' più riposti segreti dell'uno e dell'altra”. [Zibaldone 1834]
“Il filosofo non è perfetto, s'egli non è che filosofo, e se impiega la sua vita e se stesso al solo perfezionamento della sua filosofia, della sua ragione, al puro ritrovamento del vero, che è pur l'unico e puro fine del perfetto filosofo. La ragione ha bisogno dell'immaginazione e delle illusioni ch'ella distrugge; il vero del falso; il sostanziale dell'apparente; l'insensibilità la più perfetta della sensibilità la più viva; il ghiaccio del fuoco; la pazienza dell'impazienza; l'impotenza della somma potenza; il piccolissimo del grandissimo; la geometria e l'algebra, della poesia. ec. Tutto ciò conferma quello che altrove ho detto della necessità dell'immaginazione al gran filosofo”. [Zibaldone 1840]
La ragione senza immaginazione produce grandi sistemi filosofici che però non contengono nessuna reale conoscenza, anzi illudono l’uomo prospettandogli un ordine dove vi è solo caos