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Dantedì

by Elisa Mariani

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ISTITUTO COMPRENSIVO DI GUARCINO
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a cura degli alunni della Scuola Secondaria di I grado e della classe V della Scuola Primaria di Guarcino
LA VITA E LE OPERE DI DANTE ALIGHIERI
LA DIVINA COMMEDIA
La vita di Dante
a cura di Benedetta Tarittera IIA
La Divina Commedia
a cura di Francesco Tarittera IIA
LA QUESTIONE DELLA LINGUA
Le opere di Dante
a cura di Cristian Menna IIA
La lingua di Dante
a cura della classe V della Scuola Primaria
LA COSMOLOGIA DANTESCA
INFERNO
disegno realizzato da Francesca De Padova IIA
PURGATORIO
disegno realizzato da Gabriele Palombo IIA
PARADISO
disegno realizzato da Manuel Bellotti IIA
EPISODI E PERSONAGGI FAMOSI DELLA DIVINA COMMEDIA
Dante nella selva oscura
a cura di Athony Sabellico IIA
Paolo e Francesa
a cura di Cristian Sandu IIA
Il canto di Ulisse
a cura di Samuele Cherubini IIIA
Ulisse 
Ci troviamo nell’ottavo cerchio dell’Inferno, ottava bolgia. Dante e Virgilio devono attraversare un difficile sentiero fra le rocce, Dante sporgendosi verso il basso, vede che nell’oscurità risplendono moltissime fiamme in movimento, a lui Virgilio spiega che quelle sono le anime dei consiglieri fraudolenti, cioè di coloro che in vita avevano dato consigli su come organizzare inganni o frodi a danno degli altri. Dante, fra quelle fiamme, ne nota una diversa, una che sembrava dividersi sulla sommità in due punte, era quella la fiamma in cui era rinchiusi due eroi greci: Ulisse e Diomede. Il poeta, desideroso di conoscere la loro storia, attraverso Virgilio, chiede a Ulisse di raccontare le ultime vicende della sua vita. 
La punta più alta della fiamma, quella di Ulisse, cominciò ad agitarsi e poi a raccontare la sua storia. Era stato lontano dalla sua casa per 20 anni, però neppure l’amore per i suoi cari lo avevano distolto dal desiderio di viaggiare ancora e di conoscere il mondo, così con i suoi vecchi compagni d’avventura si mise di nuovo in mare. Giunti nel luogo in cui Ercole aveva posto le sue colonne e oltre cui agli uomini non era consentito andare, aveva esortato i suoi compagni a proseguire “Considerate la vostra semenza/ fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e conoscenza” “Considerate la vostra origine, non siete nati per vivere come bruti, come bestie, ma per il desiderio di conoscere e la volontà di progresso. 
Oltrepassate le Colonne d’Ercole dunque, viaggiarono per mare per cinque lunghissimi mesi, quando, ormai stanchi e delusi, una notte in lontananza videro una montagna. Non fecero in tempo a rallegrarsi che si levò una tempesta, la loro nave girò tre volte su se stessa, alla quarta la poppa andò in alto, la prua sprofondò in mare, poi il mare li inghiottì. Era quella la montagna del Purgatorio. 
Ulisse viene collocato da Dante nell’Inferno perché con la sua astuzia e i suoi consigli ha provocato diverse sciagure, ma anche perché ha osato sfidare i limiti posti da Dio (una volta si credeva che il mondo finisse dove erano poste le Colonne d’Ercole). Allo stesso tempo però Dante riconosce ad Ulisse una grande sete di conoscenza e una grande intelligenza, ai suoi occhi rappresenta l’audacia umana che osa sfidare le leggi del tempo. (IIIA)
Il Conte Ugolino 
Siamo nel IX e ultimo cerchio dell’Inferno, Dante e Virgilio incontrano le anime dannate dei traditori, anime immerse fino al collo in un lago ghiacciato chiamato Cocito. Fra queste –e precisamente fra i traditori politici- Dante ne scorge una che ha i denti conficcati nel cranio del dannato immerso accanto a lui. Curioso come sempre, chiede a quel dannato cosa mai gli abbia fatto l’altro per rosicchiargli in quel modo il cervello. 
L’anima inizia a raccontare presentandosi: è (o meglio era) Ugolino della Gherardesca, esponente di una nobile famiglia di Pisa, l’altro invece l’arcivescovo Ruggeri, uomo che lo aveva accusato di tradimento e che, con l’inganno, lo aveva imprigionato con i suoi quattro figli nella Torre della Muda. La Torre era chiamata così perché in passato vi venivano rinchiuse le aquile dal comune di Pisa durante il periodo della muta delle penne. 
Ugolino e i suoi figli avevano già trascorso diversi mesi in quella torre, quando una notte il conte sognò una battuta di caccia in cui l’arcivescovo inseguiva un lupo e i suoi piccoli (Ugolino e i suoi figli), il mattino seguente i cinque sentirono inchiodare la porta della torre. Senza acqua né cibo, senza nessuno che li aiutasse, Ugolino aveva visto i suoi figli indebolirsi e, dopo circa sei giorni, morire di stenti e di fame. Il conte, nella disperazione più profonda, continuò a chiamarli per altri due giorni poi, “più che il dolor, poté il digiuno”, cioè la fame fu più forte del dolore. 
Questa frase “Poscia, più che il dolor, poté il digiuno” fatta pronunciare da Dante ad Ugolino, viene interpretata in modi diversi dagli studiosi: c’è chi ritiene che il conte, vinto dalla fame, abbia ceduto e abbia mangiato la carne dei suoi figli ormai morti e chi invece sostiene che è stata la fame a far morire il conte. Il dubbio però ancora oggi rimane: cosa avrà voluto dire Dante?
a cura di Francesca Mariani IIIA
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