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L'ADDIO DI FENOGLIO

by Valentina La Mantia

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L'ADDIO
Di B.Fenoglio
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Di B.Fenoglio
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L’ADDIO
di Fenoglio


Dopo la terza elementare suo padre lo tolse da scuola, inutilmente il vecchio maestro Alliani venne su fino alla Collera per dire a suo padre che era un peccato, che a continuare le scuole quel suo figlio poteva riuscire maestro, o veterinario o speziale. Poteva avere tutto quel pane nelle mani, ma suo padre non poteva dargli il lievito per cominciarlo. Disse al maestro Alliani che sapeva far la firma, scrivere una lettera ai parenti se in casa fosse mancato qualcuno, e per contare sapeva contare fino a una cifra che non avrebbe mai avuta in soldi.
E poi gli disse: «Come volete che lo tenga agli studi, se non posso nemmeno passarvi il caffè a voi che per l'interessamento avete montata una collina, alla vostra età!» Suo padre aveva in testa di metterlo subito da servitore su una qualche langa, e dovè ringraziare una pleurite che gli venne nell'autunno se il servizio venne procrastinato. Durante la malattia sua madre fece una pratica per farlo entrare nel seminario di Mondovì, padrone poi lui di prendere la veste o di tornare nella vita con un'istruzione.
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L’ADDIO
di Fenoglio


Dopo la terza elementare suo padre lo tolse da scuola, inutilmente il vecchio maestro Alliani venne su fino alla Collera per dire a suo padre che era un peccato, che a continuare le scuole quel suo figlio poteva riuscire maestro, o veterinario o speziale. Poteva avere tutto quel pane nelle mani, ma suo padre non poteva dargli il lievito per cominciarlo. Disse al maestro Alliani che sapeva far la firma, scrivere una lettera ai parenti se in casa fosse mancato qualcuno, e per contare sapeva contare fino a una cifra che non avrebbe mai avuta in soldi.
E poi gli disse: «Come volete che lo tenga agli studi, se non posso nemmeno passarvi il caffè a voi che per l'interessamento avete montata una collina, alla vostra età!» Suo padre aveva in testa di metterlo subito da servitore su una qualche langa, e dovè ringraziare una pleurite che gli venne nell'autunno se il servizio venne procrastinato. Durante la malattia sua madre fece una pratica per farlo entrare nel seminario di Mondovì, padrone poi lui di prendere la veste o di tornare nella vita con un'istruzione.
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Ma avevano da offrire troppo poco per venire in qualcosa almeno pari e del seminario non si parlò più. Mentre si aspettava che lui si rimettesse dalla pleurite, faceva le solite cose di quando andava a scuola: tagliar legna, tirar l'acqua al pozzo e soprattutto pascolare.
Pascolare gli piaceva, a differenza degli altri ragazzi che ci pativano tra bestie, erba e nuvole, e passavano il tempo pensando alle mattinate di festa che potevano giocare al pallone ai tetti od alle sere nelle stalle che potevano giocare a carte, con la posta di bottoni, ai pericolosi giochi dei padri. Gli altri ragazzi si chiamavano, da bricco a bricco, con grida selvagge, col solo nome facevano tutto un discorso. Lui, il ragazzo della Collera, non chiamava mai, non sentiva il bisogno di discorrere con nessuno. Il suo stroppo era il più piccolo di tutti, e le pecore erano disciplinate da non richiedere nemmeno una guardata di tanto in tanto, e lui da quando veniva a quando sentiva l'Ave al campanile di Murazzano pensava e girava gli occhi tutt'intorno. Guardava su a Mombarcaro e giù a San Benedetto, e poi Niella e Bossolasco e la punta del campanile di Serravalle, guardando lungo e profondo nella valle di Belbo, arrivava con gli occhi fin dove per la lontananza le ultime colline non eran più che una nuvola d'incenso in chiesa. . E gli faceva effetto pensare che andar da servitore voleva dire anzitutto lasciar questi posti e tutti i giorni se li imprimeva bene negli occhi, era arrivato al punto che chiudeva gli occhi e puntava il dito e riaperti gli occhi il dito era puntato sul campanile del paese fissato per il gioco. E c'era sempre un silenzio che lui poteva sentire l'uggiolo del suo cane dalla Collera lontana, legato alla catena trecentosessantacinque giorni dell'anno.
A un ragazzo al pascolo non succede mai niente, ma lui non ne soffriva perché proprio mentre era al pascolo si faceva succedere nella testa tutto quel che voleva. Ma un giorno, successe proprio qualcosa. Per la strada della langa, dritto sul suo prato, vennero un cinque o sei ragazze delle cascine tutt'intorno a Murazzano, che lui conosceva solo di vista. Andavano certo per funghi e portavano arrotolato alla vita il gran grembiale delle loro madri, come per una raccolta mai vista. Lui s'era appiattito sull'erba, come aveva visto spuntar le loro teste per l'erta, ma le ragazze si fermarono proprio sul fosso del suo prato e una gli mandò una voce.
Ma avevano da offrire troppo poco per venire in qualcosa almeno pari e del seminario non si parlò più. Mentre si aspettava che lui si rimettesse dalla pleurite, faceva le solite cose di quando andava a scuola: tagliar legna, tirar l'acqua al pozzo e soprattutto pascolare.
Pascolare gli piaceva, a differenza degli altri ragazzi che ci pativano tra bestie, erba e nuvole, e passavano il tempo pensando alle mattinate di festa che potevano giocare al pallone ai tetti od alle sere nelle stalle che potevano giocare a carte, con la posta di bottoni, ai pericolosi giochi dei padri. Gli altri ragazzi si chiamavano, da bricco a bricco, con grida selvagge, col solo nome facevano tutto un discorso. Lui, il ragazzo della Collera, non chiamava mai, non sentiva il bisogno di discorrere con nessuno. Il suo stroppo era il più piccolo di tutti, e le pecore erano disciplinate da non richiedere nemmeno una guardata di tanto in tanto, e lui da quando veniva a quando sentiva l'Ave al campanile di Murazzano pensava e girava gli occhi tutt'intorno. Guardava su a Mombarcaro e giù a San Benedetto, e poi Niella e Bossolasco e la punta del campanile di Serravalle, guardando lungo e profondo nella valle di Belbo, arrivava con gli occhi fin dove per la lontananza le ultime colline non eran più che una nuvola d'incenso in chiesa. . E gli faceva effetto pensare che andar da servitore voleva dire anzitutto lasciar questi posti e tutti i giorni se li imprimeva bene negli occhi, era arrivato al punto che chiudeva gli occhi e puntava il dito e riaperti gli occhi il dito era puntato sul campanile del paese fissato per il gioco. E c'era sempre un silenzio che lui poteva sentire l'uggiolo del suo cane dalla Collera lontana, legato alla catena trecentosessantacinque giorni dell'anno.
A un ragazzo al pascolo non succede mai niente, ma lui non ne soffriva perché proprio mentre era al pascolo si faceva succedere nella testa tutto quel che voleva. Ma un giorno, successe proprio qualcosa. Per la strada della langa, dritto sul suo prato, vennero un cinque o sei ragazze delle cascine tutt'intorno a Murazzano, che lui conosceva solo di vista. Andavano certo per funghi e portavano arrotolato alla vita il gran grembiale delle loro madri, come per una raccolta mai vista. Lui s'era appiattito sull'erba, come aveva visto spuntar le loro teste per l'erta, ma le ragazze si fermarono proprio sul fosso del suo prato e una gli mandò una voce.
Una forza oscura lo teneva contro la terra e per alzarsi fece uno sforzo che anche a lui diede la sensazione di quanto era stato goffo. Venne incontro al fosso, ma non poteva sopportare lo sguardo fisso di quelle cinque ragazze, e pensò bene di girarsi un paio di volte a guardare indietro le sue bestie.
«Tu sei il ragazzo della Collera,» gli fece una di quelle.
«Son proprio io,» disse lui con la voce che gli mancava.
«Tu che sei pratico di questi posti più alti dei nostri, dicci dove vengono meglio i funghi.» Lui parlò, checchezzando, dei boschi sotto Costalunga, e mostrò loro la strada. Le ragazze accennarono della testa, ma non si muovevano. Forse volevano solo prender fiato dopo l'erta di Monte Borico, ma lui perse la testa e senza fare o dire scappò giù per il suo prato, oltre le bestie, fino in fondo e si intanò nel castagneto. Gli arrivò dietro una sola alta e lunga risata da una di quelle ragazze, e quando lui sentì i loro passi lontanare alzò la testa e tornò sul prato. Era spaventato e umiliato come se gli fosse capitato qualcosa di vergognoso e che purtroppo non sarebbe finito lì, si rimise giù a sedere col petto premuto da un qualcosa. Di quelle cinque ragazze lui ne aveva notata, pur col suo sguardo spaventato, una: aveva i capelli biondi e quando girò la testa per seguire il suo dito che segnava Costalunga lui vide che li aveva riuniti dietro in un'unica treccia. Le altre avevano le calze di lana nera, lei invece era a gambe nude, e le sue gambe erano dritte e sottili quasi senza ginocchio, come quelle dei capretti. Ripensandoci, trovò che le aveva preso anche gli occhi, o forse era solo una sua invenzione di dopo, e che erano più profondi e più vecchi di quelli delle altre ragazze. Non doveva mangiare più di quel che mangiava lui. Cominciò a pensarla, da quello stesso giorno, e tutti i giorni aggiungeva un pezzo alla figura di lei: non poteva pensare più a nient'altro, e questo nuovo motivo gli faceva più ricca e curiosa la vita, lo faceva svegliar più presto ed addormentarsi più tardi. Seppe chi era e il suo nome la domenica dopo: lei era in chiesa e passò poi con le altre alla dottrina. Chiedere gli costò molto, ma il ragazzo di cui si fidò gli disse tutto quel che voleva sapere: si chiamava Nella ed era detta Nella della Melica perché i suoi avevano in mezzadria la cascina della Melica, che era la più povera di tutto il territorio di Murazzano.
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