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Il Fiore delle Emozioni

by Classe 5°A Primaria

Pages 2 and 3 of 25

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"Il Fiore delle Emozioni"
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un racconto creato dai bambini della 5°A

edizione e revisione: Andrea Scaravonati (docente)
copertina: Nicolò Brioschi (docente)
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Era il 3027 quando sul pianeta Nikorma, un mondo dai colori vivaci, sgargianti e stracolmo di gioia, in un ospedale per maghi, Jimmy venne alla luce. Il giorno della sua nascita la madre e il padre si spaventarono un sacco: la carnagione del bambino era completamente grigia, aveva gli occhi e i capelli neri come la pece, mentre le unghie e i denti erano bianchi come un foglio di carta. I genitori maghi si chiedevano come fosse possibile che il loro Jimmy fosse nato con questo aspetto e provarono ogni incantesimo in loro potere per farlo diventare come loro, ma il mago-medico disse loro che, a parte questa variazione cromatica, il loro bebè era assolutamente normale e sano come un pesce. Il giorno seguente alla sua nascita, cinque fate si recarono a fargli visita, intrufolandosi nel reparto neonati dell’ospedale, e gli praticarono un tatuaggio sulla mano destra, apponendogli una marchiatura a forma di fiore, con cinque petali. Il disegno non era colorato, bensì erano presenti solo i contorni neri. 
Crescendo, Jimmy era diventato un bambino con una buona costituzione e perfettamente in salute, ma il suo grigiore non sparì col passare degli anni, anzi anche il suo carattere si rivelò tanto grigio quanto il suo aspetto: non amava trascorrere il tempo con altri bambini e creare legami all’infuori della famiglia per lui era difficile, se non addirittura impossibile. 
Aveva una corporatura slanciata come la madre ed era alto come il padre. Essendo un maschietto, Jimmy si vergognava del tatuaggio floreale che le fate gli avevano praticato e lo voleva nascondere in tutti i modi possibili ed immaginabili, soprattutto nei momenti di gioco, anche se, per via del suo carattere introverso e spento, limitava questi momenti quanto più possibile: era difficile capire gli altri e passare del tempo con loro.
La sua passione era infatti qualcosa che poteva coltivare in solitudine, in cui poteva immergersi a capofitto senza essere disturbato, in cui non c’era il bisogno di capirsi, di fare amicizia o di avere a che fare con altre persone, in cui poteva compensare il grigiore della sua carnagione: l’arte. Il bambino disegnava da mattina a sera coccinelle, spesso inventandosi i colori: una volta aveva disegnato una coccinella verde e blu sopra un albero di colore rosso con le foglie porpora, un’altra ancora aveva disegnato un cespuglio di more pieno di fiori arancioni con la sua immancabile coccinella che faceva capolino sui frutti, questa volta di colore indaco e pervinca con i pois verdi. Il suo colore preferito era il verde acqua e lo inseriva ad ogni costo all’interno delle sue creazioni.
Il padre, un mago-ingegnere, gli aveva costruito un cavalletto in legno di quercia rossa, con sotto un cassetto per riporci colori, pennelli e tavolozza. La madre, anche lei una maga, era pasticciera, e il suo negozio si trovava nel pieno centro della città. Ogni giorno portava a casa deliziosi dolci sfornati a lavoro, come torte al limone, biscotti alla menta e brioche al miele.
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Era il 3027 quando sul pianeta Nikorma, un mondo dai colori vivaci, sgargianti e stracolmo di gioia, in un ospedale per maghi, Jimmy venne alla luce. Il giorno della sua nascita la madre e il padre si spaventarono un sacco: la carnagione del bambino era completamente grigia, aveva gli occhi e i capelli neri come la pece, mentre le unghie e i denti erano bianchi come un foglio di carta. I genitori maghi si chiedevano come fosse possibile che il loro Jimmy fosse nato con questo aspetto e provarono ogni incantesimo in loro potere per farlo diventare come loro, ma il mago-medico disse loro che, a parte questa variazione cromatica, il loro bebè era assolutamente normale e sano come un pesce. Il giorno seguente alla sua nascita, cinque fate si recarono a fargli visita, intrufolandosi nel reparto neonati dell’ospedale, e gli praticarono un tatuaggio sulla mano destra, apponendogli una marchiatura a forma di fiore, con cinque petali. Il disegno non era colorato, bensì erano presenti solo i contorni neri. 
Crescendo, Jimmy era diventato un bambino con una buona costituzione e perfettamente in salute, ma il suo grigiore non sparì col passare degli anni, anzi anche il suo carattere si rivelò tanto grigio quanto il suo aspetto: non amava trascorrere il tempo con altri bambini e creare legami all’infuori della famiglia per lui era difficile, se non addirittura impossibile. 
Aveva una corporatura slanciata come la madre ed era alto come il padre. Essendo un maschietto, Jimmy si vergognava del tatuaggio floreale che le fate gli avevano praticato e lo voleva nascondere in tutti i modi possibili ed immaginabili, soprattutto nei momenti di gioco, anche se, per via del suo carattere introverso e spento, limitava questi momenti quanto più possibile: era difficile capire gli altri e passare del tempo con loro.
La sua passione era infatti qualcosa che poteva coltivare in solitudine, in cui poteva immergersi a capofitto senza essere disturbato, in cui non c’era il bisogno di capirsi, di fare amicizia o di avere a che fare con altre persone, in cui poteva compensare il grigiore della sua carnagione: l’arte. Il bambino disegnava da mattina a sera coccinelle, spesso inventandosi i colori: una volta aveva disegnato una coccinella verde e blu sopra un albero di colore rosso con le foglie porpora, un’altra ancora aveva disegnato un cespuglio di more pieno di fiori arancioni con la sua immancabile coccinella che faceva capolino sui frutti, questa volta di colore indaco e pervinca con i pois verdi. Il suo colore preferito era il verde acqua e lo inseriva ad ogni costo all’interno delle sue creazioni.
Il padre, un mago-ingegnere, gli aveva costruito un cavalletto in legno di quercia rossa, con sotto un cassetto per riporci colori, pennelli e tavolozza. La madre, anche lei una maga, era pasticciera, e il suo negozio si trovava nel pieno centro della città. Ogni giorno portava a casa deliziosi dolci sfornati a lavoro, come torte al limone, biscotti alla menta e brioche al miele.
Quando iniziò a frequentare la scuola elementare per maghi, all’età di sei anni, le maghe-maestre si accorsero fin da subito dell’innata dote artistica di Jimmy, mentre osservavano come in altre discipline fosse più carente, nonostante il bimbo ce la mettesse tutta: pozioni magiche, incantesimologia, astronomia e animalologia erano materie difficilissime per Jimmy e, nonostante il suo impegno, egli otteneva scarsi risultati, che lo demoralizzavano sempre più. Durante una lezione sull’impugnatura della bacchetta del secondo anno, Jimmy, non riuscendo a svolgere correttamente l’esercizio, lanciò violentemente la bacchetta a terra e corse fuori dalla classe, in lacrime. Gli altri non potevano capire la sua frustrazione, le maestre pensavano che lui non si impegnasse abbastanza e i suoi compagni lo prendevano in giro. Nessuno lo capiva, d’altronde era un maghetto grigio.

Nei momenti di ricreazione le maestre lo spronavano sempre a giocare coi suoi compagnetti maghi, ma lui non voleva: preferiva starsene in disparte a disegnare le sue amate coccinelle. 

Un giorno un suo compagno di classe si avvicinò per chiedergli di unirsi alla sua squadra di fantapalla avvelenata. Jimmy, senza staccare gli occhi dal suo disegno, rispose di no, allora il suo compagno, per fargli un dispetto, gli strappò il foglio dalle mani.
«Ridammelo!» urlò Jimmy, tendendo la mano destra, per riappropriarsi del suo disegno. 
Fu così che il compagnetto di Jimmy notò il tatuaggio a forma di fiore e iniziò a cantilenare: «Guardate! Jimmy ha un fiore sulla mano! Femminuccia, femminuccia, feminuccia!» e tutti i compagni di classe scoppiarono a ridere.
Da quel giorno Jimmy iniziò ad essere preso in giro per via del tatuaggio che le fate gli avevano fatto sul palmo della sua mano e nessuno gli chiese mai più di giocare insieme. Questo a Jimmy in realtà non dava tanto fastidio, ma erano le prese in giro che, divenendo col tempo sempre più insostenibili, facevano sentire il piccolo maghetto sempre più isolato.

Un giorno Jimmy, sulla strada di ritorno da scuola, stava entrando nel negozio di caramelle, quando un bambino, figlio del proprietario del negozio, notando il tatuaggio che aveva sul palmo della mano mentre Jimmy impugnava la maniglia della porta, gli si avvicinò e disse: «Sai che hai un tatuaggio a forma di fiore? È un disegno più adatto ad una bambina o sbaglio? E poi… perché sei grigio?». Jimmy rispose con voce tremante: «Lo so, non ho bisogno che tu me lo dica… Fatti gli affari tuoi!»
Jimmy, molto turbato, decise di non entrare nel negozio di dolciumi e si incamminò per tornarsene a casa.
Mentre camminava sul lungo viale alberato del centro città, pensò di dirigersi verso la casa della maga Carmela, indovina molto rinomata in città, per farsi predire come sarebbe andato il giorno del suo dodicesimo compleanno, che sarebbe stato di lì a poco.
La casa dell’indovina era enorme, realizzata con legno di quercia pregiatissimo, era adornata da dei rampicanti che scendevano dal comignolo fino alla porta d’ingresso, che era maestosa, con un’enorme maniglia d’argento. Accanto alla casa si trovava un albero gigantesco, un melo secolare; Le mele erano variopinte e rispecchiavano perfettamente la gioiosa varietà di colori presente in tutto il pianeta Nikorma. Jimmy era meravigliato, non aveva mai visto un albero così imponente e bello.
La maga Carmela era un’amorevole vecchina, aveva circa 197 anni; alta poco più di un metro e mezzo, era una donnina gracile ed esile. Aveva una faccia allungata, il mento a punta e un enorme naso a patata che divertiva molto i bambini. I suoi occhi erano a forma di mandorla e di colore verde, la bocca fine e il suo vestito era di colore viola con dei fiori ricamati; le scarpe erano di cuoio. Fece accomodare Jimmy nel salotto e gli offrì da bere il suo celebre intruglio millesapori, una pregiatissima tisana ottenuta dalle bellissime mele variopinte, sapientemente prodotta dalla maga stessa.
Il soggiorno aveva un tappeto realizzato con la pelliccia di un orso bruno, un confortevole divano e una piccola poltroncina, dove Carmela lavorava a maglia tutte le sere. Al centro della sala stava un massiccio camino di mattoni che scaldava e illuminava l’ambiente.
Jimmy, sorseggiando l’intruglio millesapori, chiese a Carmela di mostrarli gli avvenimenti del giorno del suo compleanno e la maga lo accontentò. «Vedo acqua, lacrime per la precisione. Tante, tante, tante lacrime. Per la barba di Merlino! Le lacrime sono le tue! Sento voci, commenti… no, aspetta! Sento dei bambini sghignazzare, parlano di un fiore, parlano del grigio. Ah, caro Jimmy, non sento buone vibrazioni…» Carmela, illustrò nel dettaglio che il giorno del compleanno di Jimmy tutti lo avrebbero preso in giro per il tatuaggio e per il suo aspetto. Sconsolato, il bimbo ringraziò la maga; Jimmy decise che avrebbe trascorso il giorno del suo dodicesimo compleanno in casa da solo, immerso nei suoi disegni.

E così fece. I genitori di Jimmy insisterono così tanto per organizzargli una festa: la mamma pasticciera preparò delle gustose torte per celebrare il suo compleanno, il papà ingegnere costruì un’altalena magica per far divertire Jimmy e i suoi compagni di classe, ma il bambino non ne volle sapere.
Nel pomeriggio, dopo aver passato l’intera mattinata a fare disegni, decise di fare una passeggiata. Durante il cammino, Jimmy notò che, al centro di un enorme prato, si trovava qualcosa di gigantesco e molto insolito: un possente portale di colore viola si trovava davanti a lui, emanava potenti bagliori. 
Mentre camminava sul lungo viale alberato del centro città, pensò di dirigersi verso la casa della maga Carmela, indovina molto rinomata in città, per farsi predire come sarebbe andato il giorno del suo dodicesimo compleanno, che sarebbe stato di lì a poco.
La casa dell’indovina era enorme, realizzata con legno di quercia pregiatissimo, era adornata da dei rampicanti che scendevano dal comignolo fino alla porta d’ingresso, che era maestosa, con un’enorme maniglia d’argento. Accanto alla casa si trovava un albero gigantesco, un melo secolare; Le mele erano variopinte e rispecchiavano perfettamente la gioiosa varietà di colori presente in tutto il pianeta Nikorma. Jimmy era meravigliato, non aveva mai visto un albero così imponente e bello.
La maga Carmela era un’amorevole vecchina, aveva circa 197 anni; alta poco più di un metro e mezzo, era una donnina gracile ed esile. Aveva una faccia allungata, il mento a punta e un enorme naso a patata che divertiva molto i bambini. I suoi occhi erano a forma di mandorla e di colore verde, la bocca fine e il suo vestito era di colore viola con dei fiori ricamati; le scarpe erano di cuoio. Fece accomodare Jimmy nel salotto e gli offrì da bere il suo celebre intruglio millesapori, una pregiatissima tisana ottenuta dalle bellissime mele variopinte, sapientemente prodotta dalla maga stessa.
Il soggiorno aveva un tappeto realizzato con la pelliccia di un orso bruno, un confortevole divano e una piccola poltroncina, dove Carmela lavorava a maglia tutte le sere. Al centro della sala stava un massiccio camino di mattoni che scaldava e illuminava l’ambiente.
Jimmy, sorseggiando l’intruglio millesapori, chiese a Carmela di mostrarli gli avvenimenti del giorno del suo compleanno e la maga lo accontentò. «Vedo acqua, lacrime per la precisione. Tante, tante, tante lacrime. Per la barba di Merlino! Le lacrime sono le tue! Sento voci, commenti… no, aspetta! Sento dei bambini sghignazzare, parlano di un fiore, parlano del grigio. Ah, caro Jimmy, non sento buone vibrazioni…» Carmela, illustrò nel dettaglio che il giorno del compleanno di Jimmy tutti lo avrebbero preso in giro per il tatuaggio e per il suo aspetto. Sconsolato, il bimbo ringraziò la maga; Jimmy decise che avrebbe trascorso il giorno del suo dodicesimo compleanno in casa da solo, immerso nei suoi disegni.

E così fece. I genitori di Jimmy insisterono così tanto per organizzargli una festa: la mamma pasticciera preparò delle gustose torte per celebrare il suo compleanno, il papà ingegnere costruì un’altalena magica per far divertire Jimmy e i suoi compagni di classe, ma il bambino non ne volle sapere.
Nel pomeriggio, dopo aver passato l’intera mattinata a fare disegni, decise di fare una passeggiata. Durante il cammino, Jimmy notò che, al centro di un enorme prato, si trovava qualcosa di gigantesco e molto insolito: un possente portale di colore viola si trovava davanti a lui, emanava potenti bagliori. 
Jimmy, incuriosito da ciò che poteva trovarsi al suo interno, decise di entrarci. Il portale si chiuse immediatamente dietro Jimmy e intorno a lui tutto si fece buio: era come essere nel nulla, sospeso nell’aria, ma poi iniziò a vedere un fioco luccichio, che presto divenne un forte bagliore. Jimmy chiuse gli occhi per via dell’intensa luce. Come per incanto, si ritrovò catapultato su un pianeta minuscolo, in un’altra dimensione, chissà dove nell’immensità dell’Universo. Era giunto sul pianeta Karnaby. 

Karnaby era tutto grigio, bianco e nero, sembrava di essere in un film d’epoca. Esso era completamente disabitato, anche se c’era un piccolo cimitero, costituito da delle lapidi in marmo grigio disposte ordinatamente in fila e circondato da una cinta di mura di pietra, a testimonianza del fatto che altre persone ci avevano vissuto nel passato. Anche se il pianeta non aveva colori né abitanti, erano presenti molti animali. Tra essi vi erano ricci, lupi, volpi, cavalli, conigli, scoiattoli e insetti di tutti i tipi. Le piante presenti erano per la maggior parte secche e il cielo era ricoperto da una coltre di nuvoloni neri e minacciosi. Sul pianeta c’era una casa enorme, ben arredata e dotata di tutti i confort, ma in tinta col resto del mondo: il pavimento era di mattoni in pietra grigia, c’era un enorme bagno con una sauna, una camera con un letto galleggiante del colore dell’ebano, cucina con un bancone in carbone. Era circondata da un ampio giardino con tulipani, margherite, rose, gigli, papaveri, denti di leone, soffioni e chi più ne ha più ne metta, peccato che fossero tutti grigi, bianchi o neri. Nel misterioso pianeta Karnaby c’era anche una lunghissima funivia magica che collegava la pianura alla cima del monte Kompa, la cima più alta del pianeta, su cui era presente una cascata, la cui acqua saliva al posto di scendere, procedendo dal lago situato ai piedi del monte Kompa fino alla sorgente. 
Per quanto Jimmy fosse abituato al variopinto mondo di Nikorma, questa nuova dimensione non gli dispiaceva più di tanto, in fondo sarebbe finalmente rimasto da solo senza che nessuno potesse più prenderlo in giro per via del suo aspetto grigio, del suo carattere grigio o del suo tatuaggio… E il bello è che, finalmente, sentì di aver trovato un mondo, rigorosamente grigio, compatibile con lui. Jimmy, per quanto fosse lontano da casa, si sentì a suo agio, per la prima volta dopo dodici anni, finalmente si sentiva in di non stonare con l’ambiente circostante. Decise quindi che, mentre avrebbe cercato il modo per tornare a casa, sarebbe rimasto lì, che forse non sarebbe stato neanche poi così male.

Passarono i giorni, i giorni divennero mesi, e i mesi divennero anni. 

Ogni mattina il maghetto si svegliava e ripeteva la sua routine, in modo robotico: si alzava, si preparava la colazione sul piano di carbone della cucina, si vestiva e faceva la sua solita passeggiata, durante la quale, con il suo sguardo rivolto verso il basso, inciampava sempre nello stesso punto, un masso posto a pochi metri dalla sua casa.
Finito il suo giretto, inciampando nel solito sasso anche sulla strada di ritorno; tornato a casa, si sdraiava sul divano e guardava un po’ di TV, che trasmetteva solo documentari scientifici in bianco e nero. All’ora di pranzo si scaldava nel microonde - peraltro non funzionante - il suo pasto, mangiava il suo piatto freddo e beveva dell’acqua con un retrogusto erbaceo, che lui definiva una tisana, dopodiché si recava di nuovo sul divano, accasciandosi senza forze. 
Jimmy aveva una stanza in cui preparava le sue pozioni. Lì passava la maggior parte del tempo cercando di creare intrugli che gli permettessero di insaporire il cibo o di far funzionare il microonde - ed ogni tentativo si rivelava sempre e comunque un fiasco - oppure cercava di creare medicine per alleviare il dolore che si causava ogni giorno inciampando nel masso durante la passeggiata mattutina.

Per l’ora di cena ripeteva la stessa routine del pranzo. A pasto terminato, si faceva una doccia nel cupo bagno che si trovava al piano superiore. Una volta entrato nel bagno, si chiudeva la porta alle spalle e si toglieva i vestiti, appallottolandoli e gettandoli in terra. A doccia terminata, indossava un accappatoio nero e si sedeva su uno sgabello. Dopo aver tentato di asciugarsi i capelli con un phon non funzionante, si metteva il suo solito profumo inodore e indossava gli stessi vestiti sporchi che aveva tolto prima di lavarsi. Provava nuovamente ad azionare l’asciugacapelli, ma tanto non funzionava lo stesso. La porta del bagno, una volta chiusa, non poteva essere più riaperta dall’interno, ma Jimmy se lo dimenticava sempre e così, come ogni sera, doveva calarsi dalla finestra: se solo si ricordasse della porta difettosa… o quantomeno di portarsi dietro la bacchetta magica per aprirla!
Uscendo dalla finestra cadeva sempre di faccia sull’aiuola delle rose, che fortunatamente attutivano il suo atterraggio imbranato, ma in compenso lo sporcavano di terra e costellavano i suoi vestiti di fili d’erba, oltre che riempirlo di punture e graffi per via delle spine. Si incamminava poi sul selciato ma, visto che i piedi erano bagnati, Jimmy scivolava sempre, cadendo nuovamente di muso. Quando finalmente riusciva ad entrare in casa era più sporco di prima, più stanco che mai e pieno di lividi. A questo punto la sua giornata poteva così concludersi in bellezza, nello stesso letto galleggiante in cui tutto era cominciato, in cui cadeva a peso morto, consumato dalle fatiche della giornata.

Purtroppo l’arte non era più parte della sua quotidianità, forse perché il mondo attorno a lui non aveva i colori di Nikorma: non disegnava più le sue amate coccinelle, perché erano troppo allegre e colorate per i suoi gusti. Quando non era impegnato a guardare i noiosi documentari scientifici in bianco e nero, per divertirsi fissava la parete di casa, ovviamente grigia come lui, con cui intratteneva discussioni.
Finito il suo giretto, inciampando nel solito sasso anche sulla strada di ritorno; tornato a casa, si sdraiava sul divano e guardava un po’ di TV, che trasmetteva solo documentari scientifici in bianco e nero. All’ora di pranzo si scaldava nel microonde - peraltro non funzionante - il suo pasto, mangiava il suo piatto freddo e beveva dell’acqua con un retrogusto erbaceo, che lui definiva una tisana, dopodiché si recava di nuovo sul divano, accasciandosi senza forze. 
Jimmy aveva una stanza in cui preparava le sue pozioni. Lì passava la maggior parte del tempo cercando di creare intrugli che gli permettessero di insaporire il cibo o di far funzionare il microonde - ed ogni tentativo si rivelava sempre e comunque un fiasco - oppure cercava di creare medicine per alleviare il dolore che si causava ogni giorno inciampando nel masso durante la passeggiata mattutina.

Per l’ora di cena ripeteva la stessa routine del pranzo. A pasto terminato, si faceva una doccia nel cupo bagno che si trovava al piano superiore. Una volta entrato nel bagno, si chiudeva la porta alle spalle e si toglieva i vestiti, appallottolandoli e gettandoli in terra. A doccia terminata, indossava un accappatoio nero e si sedeva su uno sgabello. Dopo aver tentato di asciugarsi i capelli con un phon non funzionante, si metteva il suo solito profumo inodore e indossava gli stessi vestiti sporchi che aveva tolto prima di lavarsi. Provava nuovamente ad azionare l’asciugacapelli, ma tanto non funzionava lo stesso. La porta del bagno, una volta chiusa, non poteva essere più riaperta dall’interno, ma Jimmy se lo dimenticava sempre e così, come ogni sera, doveva calarsi dalla finestra: se solo si ricordasse della porta difettosa… o quantomeno di portarsi dietro la bacchetta magica per aprirla!
Uscendo dalla finestra cadeva sempre di faccia sull’aiuola delle rose, che fortunatamente attutivano il suo atterraggio imbranato, ma in compenso lo sporcavano di terra e costellavano i suoi vestiti di fili d’erba, oltre che riempirlo di punture e graffi per via delle spine. Si incamminava poi sul selciato ma, visto che i piedi erano bagnati, Jimmy scivolava sempre, cadendo nuovamente di muso. Quando finalmente riusciva ad entrare in casa era più sporco di prima, più stanco che mai e pieno di lividi. A questo punto la sua giornata poteva così concludersi in bellezza, nello stesso letto galleggiante in cui tutto era cominciato, in cui cadeva a peso morto, consumato dalle fatiche della giornata.

Purtroppo l’arte non era più parte della sua quotidianità, forse perché il mondo attorno a lui non aveva i colori di Nikorma: non disegnava più le sue amate coccinelle, perché erano troppo allegre e colorate per i suoi gusti. Quando non era impegnato a guardare i noiosi documentari scientifici in bianco e nero, per divertirsi fissava la parete di casa, ovviamente grigia come lui, con cui intratteneva discussioni.
Sentiva senz’altro la mancanza del disegno, ma tutto era così grigio che non si ricordava più come si facesse: lui era grigio, il suo carattere era grigio, il suo mondo era grigio… man mano si dimenticò totalmente dei colori e dell’arte. Si dimenticò anche del suo colore preferito, il verde acqua, il grigio aveva preso il suo posto, perché il bambino non poteva vedere altro e ormai Jimmy si era abituato ai colori di quel mondo, che erano diventati parte di lui.

Ad anni luce di distanza dal grigiore di Karnaby, sul variopinto e allegro pianeta Nirkorma, da cui lo stesso Jimmy proveniva, c’era un altro giovane maghetto che, in occasione del suo dodicesimo compleanno, si apprestava a fare due passi. Berry era il suo nome. Amava passeggiare per dei prati isolati in mezzo alla campagna; soleva fare sempre lo stesso giretto, poi, giunto nel suo punto preferito del percorso, si sedeva e guardava gli uccellini che volavano spensierati nel cielo azzurro terso. Ad un certo punto, mentre si trovava seduto sull’erba sotto le fronde di un salice, vide in lontananza un portale. Esso era interamente nero con dei puntini di un argento molto luccicante e sembrava espandersi sempre più rapidamente. Con grande curiosità, dopo averlo ammirato e ammirato per un po’ di minuti, Berry si avvicinò. Da esso svolazzò fuori una pergamena, che Berry lesse con interesse: si trattava della Fiaba del pollo variopinto.

“C’era una volta un vecchio pollo con le ali azzurre come il cielo, il collo rosso come le foglie di un acero, il becco giallo come le pannocchie d’estate, le zampe fucsia come un abito principesco e il corpo verde come uno smeraldo. Era tanto vecchio e, dopo una vita vissuta sentendosi strano per tutto quel tripudio di colori che portava sul corpo, era stanco di sentire i commenti di scherno degli animali della fattoria.
Un giorno un gatto randagio che faceva il giro per l’aia si imbatté nel pollo ed esclamò: «Oh, ma che strano pollo! Ho incontrato tantissimi polli nella mia lunghissima vita, ma mai cosi diversi come te»
Il pollo disse: «Sono stanco di sentirmi dire che sono strano e diverso. Pensi che io non lo sappia? Pensi che io non voglia essere come gli altri? Pensi che io non voglia un piumaggio uniforme come tutti gli altri?»
Il gatto ribatté: «L’unicità è la tua bellezza. Perché mai essere come gli altri quando puoi essere te stesso? La parte più difficile sarà imparare ad essere la versione migliore di te stesso, al meglio delle tue possibilità. Per riuscirci devi imparare a conoscerti e ad amarti, avere accanto le persone giuste ti permetterà di riscoprirti come un pollo unico e meraviglioso nella sua unicità!»
Il pollo, sentendo quelle parole, arrossì e, con un profondo respiro, allargò il petto e mostrò fiero il suo piumaggio colorato e da quel giorno non si vergognò più del suo aspetto.”
In fondo alla pergamena c’era poi una frase che Berry lesse a voce alta:
“E tu vuoi essere come il gatto randagio, che aiuta il pollo oppure come tutti gli altri animali della fattoria, che lo prendono in giro?”

E mentre pensò alla risposta, Berry venne risucchiato dallo stesso portale da cui era uscita la pergamena. In un battibaleno si ritrovò su Karnaby, il pianeta dell’infinito grigiore. Era spaventato: si trovava su un pianeta senza emozioni, grigio, spento, con un sole che non scaldava e un vento che non faceva venire i brividi di freddo. 
Lì incontrò il povero Jimmy nel bel mezzo della sua consueta passeggiata, proprio mentre inciampava nel solito masso, mentre si guardava attorno con fare annoiato. 
Berry, incuriosito, gli domandò: «Hey, tu! Bambino grigio! Cosa ci fai qua?». Il mago rispose, sbuffando: «Non vedi? Faccio una passeggiata…». Berry rifletté, perplesso, poi chiese: «Ma io intendevo dire, cosa ci fai su questo pianeta?». Per un attimo calò il silenzio, poi Jimmy rispose, svogliato: «Vivo la mia vita noiosa come sempre, ma tu, piuttosto, perché non te ne vai via?» Detto ciò, il maghetto grigio riprese la sua noiosa passeggiata, con il suo passo annoiato, nel suo noioso pianeta tutto grigio e triste.

Berry seguì Jimmy e provò a socializzare con lui, chiedendogli un po’ di curiosità sulla sua vita o sui suoi passatempo, ma non scoprì niente di particolarmente interessante, quindi cercò di invogliarlo a fare qualcosa di divertente. «Come se qui ci fosse qualcosa da fare!» brontolò Jimmy. 
Berry ricordandosi della fiaba che aveva letto, provò ad aiutare Jimmy per permettergli di vedere i suoi veri colori: con un incantesimo mostra-mondo, mostrò al maghetto il pianeta Terra. Lì, su un prato verdissimo, c’era quella cosa che gli umani chiamavano “parco giochi”: aveva uno scivolo su cui scivolare, un’altalena su cui dondolarsi - il gioco preferito di Berry - e diverse giostre, di svariate forme e dimensioni. Berry, gli mostrò i bambini che giocavano sorridenti, saltando da una parte all’altra del parco giochi, schiamazzando e ridendo come matti. Purtroppo anche questo non ebbe nessun effetto sul grigiore di Jimmy. 
«Ascolta, Jimmy, devi solo imparare a riconoscere le tue emozioni, vedrai che poi risulterà tutto più facile!»
«E che cosa sono le emozioni?» brontolò Jimmy, adocchiando Berry con uno sguardo confuso.
«Gioia, Paura, Disgusto, Rabbia e Tristezza. Queste sono le emozioni! Davvero non sai di cosa io stia parlando? Come puoi non sapere cosa sono le emozioni?»

Jimmy, a quel punto, perse la pazienza: «Allora lasciami stare e vattene, non ho bisogno di altra gente che mi ricordi che sono diverso!» e così dicendo, si incamminò senza voltarsi, sperando di essere lasciato in pace da Berry una volta per tutte.
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