Mediterraneo_3A

Chalkboard

L’agguato al villaggio è andato avanti per diverse ore: le abitazioni sono state attaccate, danneggiate e date alle fiamme. All’arrivo degli aggressori, gli abitanti del villaggio hanno tentato di scappare cercando di portare con loro più averi possibile. La maggior parte degli animali allevati da quei poveri contadini sono morti, solo i più fortunati sono riusciti a salvarsi perché qualche padrone è riuscito a portarli con sé e la propria famiglia.

Paper texture

passato i Paesi occidentali hanno sfruttato e impoverito l'Africa a causa di colonialismo e schiavitù, e tuttora vendono le armi con cui si combattono le guerre in Africa; il secondo atto egoistico è l’indifferenza con cui troppe volte si sente parlare al telegiornale dei lati più oscuri del Mar Mediterraneo, senza indicarne le cause.&nbsp; Sono diversi anni che i giornali e le redazioni televisive ci fanno vedere immagini di barconi che si stanno dirigendo verso i porti italiani oppure verso altri porti stracariche di migranti che affrontano il viaggio della salvezza in condizioni pessime. Queste persone, che vengono indistintamente definite “immigrati”, sono costrette a vivere in condizioni misere e ai limiti dell’umanità nella loro patria. Perciò scappano e cercano un Paese più accogliente del proprio: emigrano verso un altro Stato, un’altra cultura, un’altra casa. Se qualcuno di noi prima di leggere questa storia pensava che il problema delle migrazioni non ci riguardasse poi molto, con questo lavoro abbiamo potuto capire che non è così, perché sono i Paesi occidentali (di cui noi siamo cittadini) a fornire agli altri Stati, come ad esempio quelli africani, le armi per poter attaccare i piccoli villaggi e costringere le persone ad andarsene, emigrare in un altro luogo, attraversando deserti, mari, oceani, senza cibo, acqua, forza e assistenza sanitaria. Dunque siamo anche noi, abitanti dei cosiddetti Paesi ricchi, i colpevoli della morte di milioni di profughi: noi, che finanziamo le guerre a causa

Disegno di Chiara G., libera interpretazione dei versi della poesia "I migranti" di Edmondo De Amicis.

Gli animali però si fanno sempre più minacciosi e il mare da calmo diventa inquietante; appena il cadavere tocca il fondale quegli esseri famelici si fiondano su di lui e in pochi secondi gli mangiano gli occhi ed entrano nel corpo per cibarsi dei suoi organi interni. Protetti dall’oscurità, un secondo gruppo di pesci gli si getta addosso strappandogli la pelle ormai in decomposizione con i loro denti a seghetta, lasciando solo lo scheletro. Quando non c’è più nulla da mangiare si sparpagliano nel mare profondo da dove erano venuti.

- Il nostro “Mediterraneo” è ancora più originale: 21 alunni, divisi in gruppi, hanno creato un vero e proprio libretto! Ciò che lo rende unico è il fatto che siano state tante persone a collaborare per creare una descrizione ad un libro già esistente. Sinceramente non avrei mai pensato che uscisse una cosa così ricca di descrizioni: è un lavoro che ti fa provare delle emozioni. La parte del pescivendolo mi ha colpito particolarmente, per gli aggettivi, adeguati per quella precisa situazione.

- Rileggendo più volte il risultato del nostro libro mi sento fiera del lavoro che abbiamo svolto tutti insieme. Mi ha entusiasmata molto la prima parte, la descrizione del corpo in mare e i pesci famelici: nella lettura ho trovato quel paragrafo molto interessante e secondo me spingerà le persone a leggere l’intera storia.

- Il testo sembra scritto da uno scrittore professionista, perché credo veramente che sia bellissimo e pieno di significato. 

- Scrivere questo libro mi ha fatto pensare e riflettere su un argomento su cui non mi ero mai soffermato e sono stato entusiasta del nostro lavoro e di come siamo riusciti a raccontare una storia pur non essendo "scrittori", ma comunque interpretandola bene e a modo nostro.

All’alba si udivano ancora le urla delle persone rimaste ferite, gli spari dei soldati e le esplosioni delle case che erano devastate dagli incendi. Un gruppo di persone stava fuggendo, ma non sapevano dove andare, erano terrorizzate. Correvano freneticamente, trascinando con sé tutto quello che avevano: pentole, animali, sacchi con cibo e vestiti… Si&nbsp; precipitavano verso un posto lontano, ma non sapevano per quanto tempo avrebbero dovuto camminare.&nbsp; I loro sguardi erano disperati: qualcuno piangeva, qualcuno proteggeva i figli, mentre altri urlavano nel panico. Lasciavano vagare i loro occhi sbarrati da tutte le parti, cercando disperatamente un riparo dove rifugiarsi; continuavano a voltarsi indietro con la paura che qualcuno li inseguisse. L’aria era squarciata dalle loro urla: “Aiuto! Scappiamo! Veloci! Correte! Non fermatevi!”.

- Mi è piaciuto molto aver dato vita insieme ai miei compagni ad un libro illustrato. L’ho trovato bello, interessante e creativo ed è stato emozionante dar voce ai personaggi e&nbsp;inventare la storia.

- Non avevo mai letto un silent book fino ad ora e credo che dovrei “leggerne” più spesso; mi piacciono perchè con una sola immagine danno un grandissimo significato, ti fanno comprendere e capire degli argomenti seri e poi con i silent book, a differenza che con i libri scritti normalmente, puoi “inventarti” una storia con la tua immaginazione.

- Mi è piaciuto molto scrivere qualcosa con solo la mia immaginazione e delle semplici immagini, per non parlare del lavorare in gruppo: si potevano condividere le idee di varie persone e poi metterle assieme in un unico testo. Credo sia uscito un bel racconto. 

- Il racconto che abbiamo creato noi è molto coinvolgente e fa capire quello che una persona penserebbe guardando le tavole. 

- Questo è stato il primo silent book che io abbia letto: mi è piaciuto parecchio perchè non pensavo che da delle semplici immagini potesse uscire un racconto che fa riflettere parecchio sulla vita di persone che non hanno fatto nulla per meritarsi ciò che è capitato loro.

E’ una serena notte estiva. Il cielo stellato si riflette su un’acqua ormai gelida. Le risate dei bagnanti e dei turisti si sono spente con il tramonto del sole, lasciando al mare la sua tranquillità, troppa tranquillità. Ma qualcosa increspa il lento movimento delle onde… In lontananza si intravede una massa uniforme scendere piano piano nell'oscurità del fondale marino, dopo che l’acqua si è impossessata del suo corpo ed ha posto fine alla sua vita. Più il tempo passa più il suo colore diventa sempre meno definito a causa delle acque gelide che lo invadono. La sua pelle è ormai raggrinzita e il suo corpo si fa trasportare dalla corrente del mare, avvicinandosi sempre di più al fondale. Il mare ha inzuppato e schiarito i suoi vestiti, rendendoli stracci. Sarà stato un marinaio o una persona qualunque? Chi lo sa? Il viso non è chiaramente visibile, ma si capisce che non era questo il modo in cui voleva morire.&nbsp; Attorno a lui ora c’è solo nero, un nero infinito, l’acqua gelida e i pesci che gli passano a fianco come se niente fosse.

L’accordo era stato raggiunto e il generale, alle prime luci dell’alba, aiutato dai suoi uomini, aveva caricato le casse piene di armi e munizioni su un transatlantico diretto in Africa.&nbsp;&nbsp; Le casse erano parecchie e molto pesanti, dato ciò che contenevano, e gli uomini le avevano caricate più in fretta possibile per non dare troppo nell’occhio.

Quando finalmente sono arrivati al porto, erano tutti stremati, ma non c’era tempo di riposare, il viaggio non era giunto ancora alla meta. Era necessario trovare subito l’uomo giusto. Eccolo: un trafficante di vite, un uomo senza scrupoli cui interessa solo il guadagno. Una vita è una somma di denaro da pagare se si vuole passare oltre, andare via dalla guerra e dalla miseria, attraversare il mare. Le donne ascoltavano mentre gli uomini parlavano, urlavano, discutevano, contrattavano. La somma da pagare era alta, i risparmi di una vita intera. Ma quale prezzo ha la salvezza? Quanto si può pagare una speranza? Quanto vale la libertà che una mamma vuole regalare al figlio che porta in braccio? Alla fine sono saliti tutti e la barca aveva lasciato il porto, lasciato l’Africa.

“Mediterraneo” di Armin Greder è un silent book, un libro fatto solo di immagini in cui non ci sono scritte, parole o frasi, solo figure. Molte persone potrebbero pensare che un libro così non possa essere molto significativo, perchè di solito i libri così sono quelli per i bambini.&nbsp; La storia che vi è raccontata, però, è diversa e sconvolgente. Se pensiamo al Mar Mediterraneo, ci vengono in mente l’estate, il caldo, le vacanze che trascorriamo quando andiamo al mare; pensiamo a noi e alle nostre famiglie che ci facciamo il bagno e alle passeggiate sulla spiaggia vicino a quell’acqua. Ma non pensiamo al fatto che in quella stessa acqua navigano le navi dei migranti in fuga dalle guerre e dalle persecuzioni e che qualcuna di quelle barche è affondata, facendo annegare le persone che trasportava, corpi che sono stati risucchiati da quello stesso Mediterraneo dove noi facciamo il bagno ogni estate.&nbsp; Il racconto porta il lettore a riflettere sul business del traffico d’armi e il coinvolgimento occidentale. In primo piano ci sono i trafficanti, sia di armi che di vite, persone senza scrupoli che,&nbsp;pur di guadagnare, mettono a rischio l’esistenza delle persone negando loro la serenità. In secondo piano ci siamo noi, persone comuni, che compiamo in particolare due atti egoistici: il primo è l’intolleranza verso chi emigra, pur sapendo che in

Erano riusciti anche a trovare un mezzo di trasporto che li ha condotti attraverso il Sahara: un vecchio camion stracarico di persone e di ricordi che si muoveva veloce sulle piste sabbiose del deserto. Dietro di sé lasciava solo una nuvola di polvere che si era posata lenta su qualcosa che era sfuggito a qualcuno del gruppo. Non si poteva fermarsi per raccoglierlo.

Il viaggio sarebbe dovuto durare solo qualche giorno, poi sarebbero dovuti arrivare nella terra dei loro sogni, ma quella terra non la vedranno mai. Poche ore dopo, infatti, ecco che al largo si notano i resti di una barca trascinati dalle onde; delle persone nemmeno l’ombra. Il cielo iniziava a lacrimare per quelle povere vite innocenti che ora giacciono sui fondali marini. Sotto il pelo dell’acqua, un cimitero di corpi: cibo per i pesci.

Era arrivato il tempo di attaccare.&nbsp; I soldati armati si erano lanciati verso il villaggio di notte, in modo da cogliere gli abitanti di sorpresa. Avevano cercato di camminare silenziosamente, tutti insieme, in modo da non fare troppo rumore e non allarmare le persone. L’espressione sul volto dei soldati diceva tutto: si sentivano sicuri e sapevano che avrebbero avuto la meglio, sapevano come agire e come assaltare il villaggio. Un uomo con il fucile alzato aveva incitato i suoi all’attacco. Parlava con il tono autoritario di chi era abituato a dare ordini che non era possibile rifiutare.

delle quali ogni giorno delle persone rischiano il tutto per tutto lasciando la loro casa tra le fiamme, con la minima speranza di poter arrivare in un Paese che li accolga.&nbsp; Di questo racconto ci ha colpito la cattiveria e l’egoismo che l’essere umano può avere e quanto poco gli possano importare tutte le vittime che le sue azioni causano. I Paesi che diventano terra di immigrazione, infatti, vedono questi flussi solo come un problema da risolvere: non ne analizzano le cause e non ne accettano le conseguenze. Potremmo pensare che sia “furbo” guadagnare vendendo le armi e dopo “lavarsene le mani”. Questa è sicuramente la via più semplice, ma a volte ciò porta alla nascita di questioni più complicate, perciò forse è meglio scegliere la via più difficile ed essere responsabili, sforzarsi un po’, per dopo ottenere risultati migliori per tutti.&nbsp; La realtà, infatti, è che molte volte questi barconi carichi di persone affondano nel mare e purtroppo diventano cibo per i pesci che poi finiscono sulle nostre tavole, nei piatti dei Paesi occidentali.&nbsp; “Mediterraneo” è un libro che fa emergere questo ciclo, il fatto che le azioni che fai, buone o cattive, tornano sempre indietro prima o poi: come il trafficante di armi, che era la causa di tutte quelle vittime, alla fine si è cibato inconsapevolmente di una di quelle. Ed è una cosa orribile sapere che magari andiamo al ristorante e forse mangiamo un pesce che pochi giorni prima potrebbe aver mangiato un essere umano.

La storia raccontata da Armin Greder è una storia difficile, un racconto di vita dura, una pagina cruda in tutta la sua reale drammaticità. Greder la rappresenta con delle tavole in bianco e nero a tutta pagina: non vi è spazio né per il colore né per la parola scritta. Il racconto, e ancora di più il suo messaggio, sono sconvolgenti e ci hanno travolto in una spirale di emozioni che ha fatto nascere in noi il desiderio di raccontare a modo nostro questa storia che ci ha colpito così tanto, che ci ha fatto riflettere sulle cause e sulle conseguenze di un fenomeno difficile da analizzare nella sua complessità e nella molteplicità delle responsabilità coinvolte: le migrazioni di popoli.

Una vecchia nave, grande poco più di una barca a remi, navigava insicura solcando le acque del Mediterraneo. Ogni volta che incontrava un'onda sembrava si spezzasse a metà. Un ammasso di gente era radunato su quella piccola nave: erano tutti ammucchiati, gomito a gomito, pelle contro pelle, il sudore che si mescolava alla salsedine e alle secrezioni di uomini, donne, vecchi e bambini. Fra loro c’era molta tensione e ansia, tutti si agitavano. Continuavano a muoversi e lamentarsi, erano disperati. L’unico pensiero che li rassicurava era la speranza di avere una nuova vita al termine di quel faticoso viaggio. Il cielo, nero e tenebroso, non aiutava gli animi della gente, e anche il mare sembrava essere contro di loro. Uno specchio oscuro che rispecchiava la paura dei viaggiatori. Il vento di tempesta soffiava forte contro quel guscio galleggiante.

Il gruppo ha camminato per giorni. Ha raggiunto le sabbie bollenti e dorate del Sahara già sapendo che il viaggio era solamente appena iniziato.&nbsp;&nbsp; Erano esausti e il sole batteva incessante sulle loro schiene; avrebbero voluto tornare a casa, ma non potevano farlo. Si muovevano lentamente, come fossero lumache, cercando di resistere al caldo, alla fatica, alla fame e alla sete. Speravano di sopravvivere alla traversata e trovare un Paese che li accogliesse, che li accettasse e che concedesse loro di vivere in buone condizioni, senza disuguaglianze.

L'immagine di copertina è un disegno di Federica P. che ha liberamente interpretato dei versi della poesia "I migranti" di Edmondo De Amicis.

Sei mesi prima, infatti, quel disonesto imprenditore europeo che siede al tavolo del ristorante aveva consegnato illegalmente delle armi a quell’uomo con le mostrine, un generale di uno dei tanti eserciti irregolari dispersi in Africa.&nbsp; L’accordo era avvenuto di notte in un magazzino nascosto in periferia.&nbsp; Era parecchio buio e i due erano circondati da casse, probabilmente piene di oggetti da contrabbandare. I due uomini hanno cercato di fare lo scambio il più velocemente possibile per non essere notati da nessuno. Si sono fissati con sguardi seri e hanno aperto bocca soltanto per contrattare il prezzo dell’artiglieria. Le loro voci e i loro sguardi fissi rivelavano crudeltà e una fredda determinazione a completare quell’importante accordo nel modo più vantaggioso.

Le armi contenute nelle casse erano state distribuite ai soldati, tutti pronti per assaltare un povero villaggio africano, che forse non aveva nessuna colpa e non aveva fatto nulla per meritarsi qualcosa di simile.&nbsp; I comandanti della truppa si trovavano sul cassone di un vecchio camion: avevano impartito gli ordini su come attaccare il povero malcapitato villaggio.&nbsp; Davanti al palco improvvisato, c’erano dei soldati: tutti attrezzati con un caschetto per proteggersi la testa e tutti quanti con la stessa uniforme. Ognuno di loro, inoltre, aveva un fucile in mano. Hanno ascoltato silenziosi e immobili il loro capo, che indossava un berretto verde scuro e le mostrine sulla divisa. Ha dato indicazioni su come procedere all’attacco; parlava con un tono arrogante, come se avesse voluto vendicarsi di qualcosa.&nbsp; Gli uomini di fronte a lui hanno risposto con cieca obbedienza: sapevano che dovevano fare quello che il capo ordinava. Si sentivano comandati a bacchetta, però erano consapevoli che dopo questo lavoro avrebbero avuto anche loro la propria parte dei soldi e dei beni che sarebbero stati saccheggiati dal villaggio.

In pochi giorni, il carico aveva raggiunto le coste dell’Africa e poi aveva continuato il suo viaggio a bordo di un camion, diretto lì dove era radunato un esercito di uomini senza scrupoli. Appena arrivato nel luogo prescelto, il generale non aveva perso tempo e aveva ordinato subito ai suoi uomini con rabbia e prepotenza di scaricare la merce:&nbsp; “Forza! Non cincischiate! Scaricate l’artiglieria! Non abbiamo tempo da perdere!” Loro lo avevano guardato indispettiti, ma avevano eseguito l’ordine senza fiatare: sapevano quali conseguenze avrebbero potuto avere anche se solo avessero osato ribattere.

Infatti, entro breve, il pesce finisce al mercato, dove viene venduto a basso prezzo per la verità, ma quanto basta ai pescatori per portare il pane a casa.&nbsp; “Venga signore, guardi che bei pesci! Freschissimi! Appena pescati nel nostro bel mare! Qui si vende tutto a prezzi bassi. Noi la roba la regaliamo!”. Questa frase viene ripetuta in continuazione dal pescivendolo con la merce disposta ordinatamente su una bancarella di legno.&nbsp; A causa del sole cocente, il luogo non è tanto affollato e i pesci vengono messi nel ghiaccio affinché restino freschi. Nell’aria prevale l’odore di pesce e di altre mercanzie che diventa insopportabile a causa dell’afa.

- Scrivere “Mediterraneo” con le nostre parole è stato un'emozione fantastica ed unica: penso che abbiamo provato tutti l’emozione di essere degli scrittori.

- La mia parte preferita è stata la fine, perché era veramente descritta benissimo e mi ha colpito molto; non che le altre non mi siano piaciute, anzi erano tutte bellissime e poi, messe insieme, erano ancora meglio. E’ stato molto divertente partecipare a questa attività: è stata una nuova esperienza e quindi la prossima volta potrebbe uscire qualcosa di ancora migliore.&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;&nbsp;

- Mediterraneo è un silent book che la nostra classe ha trasformato in un bellissimo libro da leggere. A gruppi abbiamo trasformato ogni disegno in un racconto scritto. È stato molto bello fare questo lavoro.

- È la prima volta che “leggo” un silent book e mi è piaciuto molto perché le immagini, così evocative, arrivano immediatamente, a differenza talvolta delle parole. Questo libro mi è piaciuto particolarmente perché l’autore, per far riflettere il lettore, ha realizzato una storia circolare in cui la fine e l’inizio coincidono.

Il pesce che poche ore prima nuotava placido nel Mediterraneo, che si era cibato di ciò che questo mare nasconde fra le sue onde, ora viene servito da un cameriere al tavolo di due uomini in un ristorante.&nbsp; Tra il fracasso dei clienti, si sente: “L’operazione è andata a buon fine”. I due infatti si conoscono e hanno appena concluso un affare importante. Uno potrebbe essere un generale, viste le numerose mostrine attaccate alla giacca che indossa.&nbsp; Concluso l’accordo, gli uomini mangiano con molto appetito il pesce che è stato loro servito, ignari che esso nasconda al suo interno una storia macabra a cui loro stessi hanno dato inizio.

Non passa però molto tempo che quei pesci che si erano cibati del corpo vengono catturati e portati in superficie. Fuori dall’acqua i pescatori, che hanno un aspetto trasandato, li aspettano soddisfatti vedendo emergere nella loro rete un’enorme ricchezza.

Questa sorta di loop descritto nella storia c’è, esiste, nella vita reale questo circolo succede, eppure nessuno fa qualcosa per bloccarlo, non c'è nessuno che spezza la catena. Noi ragazzi della 3^A pensiamo che la storia di “Mediterraneo” dovrebbe essere conosciuta da tutti, non solo dai giovani delle nuove generazioni, ma anche da persone più grandi e, in generale, da coloro che non vogliono ospitare migranti nel proprio Paese. Nessuno infatti scappa dal proprio villaggio, dalla propria terra di origine o nella quale è cresciuto, se non è obbligato a farlo. Quindi perché rifiutare delle persone che vanno via dalla guerra, quando fuggire per “rifugiarsi” in un altro Paese potrebbe essere la loro unica speranza di vita? Prima di rifiutare queste persone, mettendole ulteriormente in pericolo, riducendo le loro speranze di sopravvivere, sarebbe meglio pensare a cosa le ha fatte scappare e a tutto ciò che sta dietro a queste guerre, perché potremmo essere stati proprio noi o il nostro Paese la causa di tutto ciò.&nbsp; Dando la parola a questo racconto, vorremmo abbattere un po’ di pregiudizi su questo argomento, il pensiero di chi giudica senza prima sapere; tutti dovremmo prima conoscere e poi eventualmente criticare.

un silent book a cui la classe 3^A di Denno ha dato la parola

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