Uno straccio di pace
Trenta giorni dall'inizio della guerra
24 marzo 2022
24 marzo 2022
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LA SCUOLA SECONDARIA DI 1^ GRADO "E. DE AMICIS" DI LOMAZZO DICE NO ALLA GUERRA ATTRAVERSO LA VOCE DEGLI ALUNNI…
Classe 1^ A – Pensieri e riflessioni contro la guerra
LISA
Penso ad un mio coetaneo o coetanea che sta vivendo l’ingiustizia, la crudeltà e l’orrore della guerra, vorrei dirgli coraggio, resisti, tifa per la pace, cerca aiuto, non combattere mai il fuoco con il fuoco. Non capirò mai in fondo quello che stai vivendo veramente, poiché io non conosco la guerra e spero che qui non arrivi mai, e spero che, dove c’è guerra, finisca in questo momento!
EMMA
Vorrei dire a tutti i miei coetanei di fuggire al più presto in un posto sicuro. Vorrei dir loro che il mondo si sta attivando per accogliere con amore tutti i profughi e anche loro presto troveranno un luogo di pace, serenità e pieno di affetto. Ricordate, cari amici, di non perdere mai la speranza.
LUCA
Dico no alla guerra perché è ingiusta. Dico sì alla pace perché non voglio vivere nell’angoscia e nella paura. Voglio crescere sereno e veder crescere intorno a me ragazzi felici.
LISA
Penso ad un mio coetaneo o coetanea che sta vivendo l’ingiustizia, la crudeltà e l’orrore della guerra, vorrei dirgli coraggio, resisti, tifa per la pace, cerca aiuto, non combattere mai il fuoco con il fuoco. Non capirò mai in fondo quello che stai vivendo veramente, poiché io non conosco la guerra e spero che qui non arrivi mai, e spero che, dove c’è guerra, finisca in questo momento!
EMMA
Vorrei dire a tutti i miei coetanei di fuggire al più presto in un posto sicuro. Vorrei dir loro che il mondo si sta attivando per accogliere con amore tutti i profughi e anche loro presto troveranno un luogo di pace, serenità e pieno di affetto. Ricordate, cari amici, di non perdere mai la speranza.
LUCA
Dico no alla guerra perché è ingiusta. Dico sì alla pace perché non voglio vivere nell’angoscia e nella paura. Voglio crescere sereno e veder crescere intorno a me ragazzi felici.
MATILDA
Dico no alla guerra perché la guerra sottrae. Dico sì alla pace perché la pace arricchisce.
AYOUB
Dico no alla guerra, perché la guerra causa non solo morte, ma anche distruzione dei nostri progetti, dei nostri desideri, dei nostri sogni. Dico sì alla pace, perché la pace significa tranquillità e gentilezza, ma non solo, anche il rifugio dei nostri coetanei che stanno morendo senza una ragione.
Dico no alla guerra perché la guerra sottrae. Dico sì alla pace perché la pace arricchisce.
AYOUB
Dico no alla guerra, perché la guerra causa non solo morte, ma anche distruzione dei nostri progetti, dei nostri desideri, dei nostri sogni. Dico sì alla pace, perché la pace significa tranquillità e gentilezza, ma non solo, anche il rifugio dei nostri coetanei che stanno morendo senza una ragione.
Classe 2^ A - Da “Pappagalli verdi – Cronache di un chirurgo di guerra”
di Gino Strada
Per descrivere un massacro durante la guerra in Ruanda, nel 1994 Emergency ha preferito pubblicare, invece di una foto, solo un rettangolo tutto nero, con questo titolo: “I medici di Emergency, quello che vedono te lo risparmiano”. Quando le immagini sono troppo violente possono davvero disturbare, creando emozioni o reazioni istintive, e infine compromettono la possibilità di capire; si può anche ottenere, come unico effetto, che la gente volti la testa dall’altra parte e rimuova il problema!
Ogni venti minuti, in qualche parte del mondo, si ripete il rito macabro: scoppia una mina, un altro ferito, un altro mutilato, non di rado un altro morto. C’è chi sta camminando in un prato, chi gioca nel cortile di casa, chi sta raccogliendo i frutti della terra. Poi lo scoppio.
Abdurahman ha detto di aver sentito la terra esplodergli dentro. Djamila ha sentito un clic metallico sotto il piede e ha avuto una frazione di secondo per pensare, prima che la sua gamba sinistra si disintegrasse. Molti altri, come Esfandyar, non ricordano nulla. Un rumore assordante, e sono stati scaraventati a terra, in una strana poltiglia di polvere, sangue e carne bruciata.
Il detonatore è un piccolo oggetto, grande come il cappuccio di una biro, che fa esplodere la carica principale. Con essa è esploso Esfandyar, bambino di dodici anni.
Proverò a descriverla, una ferita da mina. Il piede si disintegra, le ossa diventano frammenti, i muscoli si spappolano, la carne brucia. Sassi, terra ed erba, e fango se ha piovuto di recente, si mescolano con pezzi della scarpa, con i chiodi delle suola con brandelli di calza e dei pantaloni, e tutto penetra nella carne, sparato ad altissima velocità.
Per chi è fortunato, l’altra gamba ha solo qualche grande ferita profonda piena di sporcizia, ma è ancora lì.
di Gino Strada
Per descrivere un massacro durante la guerra in Ruanda, nel 1994 Emergency ha preferito pubblicare, invece di una foto, solo un rettangolo tutto nero, con questo titolo: “I medici di Emergency, quello che vedono te lo risparmiano”. Quando le immagini sono troppo violente possono davvero disturbare, creando emozioni o reazioni istintive, e infine compromettono la possibilità di capire; si può anche ottenere, come unico effetto, che la gente volti la testa dall’altra parte e rimuova il problema!
Ogni venti minuti, in qualche parte del mondo, si ripete il rito macabro: scoppia una mina, un altro ferito, un altro mutilato, non di rado un altro morto. C’è chi sta camminando in un prato, chi gioca nel cortile di casa, chi sta raccogliendo i frutti della terra. Poi lo scoppio.
Abdurahman ha detto di aver sentito la terra esplodergli dentro. Djamila ha sentito un clic metallico sotto il piede e ha avuto una frazione di secondo per pensare, prima che la sua gamba sinistra si disintegrasse. Molti altri, come Esfandyar, non ricordano nulla. Un rumore assordante, e sono stati scaraventati a terra, in una strana poltiglia di polvere, sangue e carne bruciata.
Il detonatore è un piccolo oggetto, grande come il cappuccio di una biro, che fa esplodere la carica principale. Con essa è esploso Esfandyar, bambino di dodici anni.
Proverò a descriverla, una ferita da mina. Il piede si disintegra, le ossa diventano frammenti, i muscoli si spappolano, la carne brucia. Sassi, terra ed erba, e fango se ha piovuto di recente, si mescolano con pezzi della scarpa, con i chiodi delle suola con brandelli di calza e dei pantaloni, e tutto penetra nella carne, sparato ad altissima velocità.
Per chi è fortunato, l’altra gamba ha solo qualche grande ferita profonda piena di sporcizia, ma è ancora lì.
Il padre di Esfandyar ha sentito il botto e ha capito subito. Di corsa giù per il pendio a prendere il figlio. Gli ha fasciato la gamba col turbante, in braccio lo ha riportato a casa, urlando a chiamare aiuto. Hanno avvolto Esfandyar in un grande lenzuolo, subito diventato rosso e l’hanno caricato sul retro di un automezzo agricolo, un mezzo lento. Che cosa avrà pensato suo padre, durante quell’interminabile viaggio di diverse ore per l’ospedale?
Esfandyar non si è lamentato, era come addormentato, non ha visto il proprio corpo straziato, braccio e gamba destra completamente spappolati. Ha aperto gli occhi solo per un attimo, ma quasi subito l’anestesia ha fatto effetto.
Si è svegliato diverso, Esfandyar, senza un braccio e senza una gamba, e resterà diverso, giovane handicappato in un paese così povero da non poter badare a lui. Gli faranno l’elemosina, certo, ma ben difficilmente potranno dargli speranze, progetti, sogni. Per lui il peggio non è ancora passato, il difficile comincia adesso.
E quel ragazzo smilzo, che ora cammina nel cortile dell’ospedale con stampelle un po’ speciali, ha davvero bisogno di futuro, di sognare qualcosa di diverso da assordanti esplosioni.
In marzo è stata aperta una nuova sezione dell’ospedale. Esfandyar ha tenuto il discorso di inaugurazione, di fronte a tanta gente e alle autorità. Ha detto di star bene, di essere felice in questo ospedale, ha ringraziato tutti, ha lanciato in aria una colomba bianca.
Abbiamo tante foto di quel giorno. Queste si possono far vedere, perché racchiudono in sé la speranza…la speranza…la speranza…
Esfandyar non si è lamentato, era come addormentato, non ha visto il proprio corpo straziato, braccio e gamba destra completamente spappolati. Ha aperto gli occhi solo per un attimo, ma quasi subito l’anestesia ha fatto effetto.
Si è svegliato diverso, Esfandyar, senza un braccio e senza una gamba, e resterà diverso, giovane handicappato in un paese così povero da non poter badare a lui. Gli faranno l’elemosina, certo, ma ben difficilmente potranno dargli speranze, progetti, sogni. Per lui il peggio non è ancora passato, il difficile comincia adesso.
E quel ragazzo smilzo, che ora cammina nel cortile dell’ospedale con stampelle un po’ speciali, ha davvero bisogno di futuro, di sognare qualcosa di diverso da assordanti esplosioni.
In marzo è stata aperta una nuova sezione dell’ospedale. Esfandyar ha tenuto il discorso di inaugurazione, di fronte a tanta gente e alle autorità. Ha detto di star bene, di essere felice in questo ospedale, ha ringraziato tutti, ha lanciato in aria una colomba bianca.
Abbiamo tante foto di quel giorno. Queste si possono far vedere, perché racchiudono in sé la speranza…la speranza…la speranza…