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Scrittura creativa

by Pon Schweitzer

Pages 2 and 3 of 48

Istituto Comprensivo "Albert Schweitzer" Termoli
PON - Apprendimento e socialità
Insieme si cresce
Modulo: Forza, si riparte
Scrittura creativa
Docente esperto
Prof.ssa G. Gallina
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A.S 2021-2022
Docente 
Prof.ssa G. Cupone
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Docente tutor
Prof.ssa G. Cupone
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Christian Teo
1^B
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Emma 3^A
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Pietro 1^B
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Ludovica 1^B
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Ilaria 3^A
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Sara 2^B
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Chiara 3^A
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Giorgia 3^B
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Lorenzo 1^B
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Simona 1^A
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Gabriella 3^A
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Eliana 1^C
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Melissa 3^A
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Sofia 3^A
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Racconti ispirati dalla lettura dell'albo illustrato "La valigia"
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Samir
Lui era un semplice bambino.
Dall’esterno.
Dentro di sé scoppiava un mondo.
Andava in un pregiatissimo collegio a Londra, ma lui lo odiava.
Ogni mattina, nella villa Sanderson, alle sei e trenta in punto, suonava la sua piccola
sveglia, posta sul comodino di legno.
Apriva gli occhi e i raggi del sole, che penetravano attraverso la finestra, cadevano
sul suo letto a baldacchino.
Allora si alzava controvoglia, scostando le calde coperte bianche, come la neve
appena caduta, e si infilava le sue pantofole, che gli stavano un po’ grandi.
Varcava la porta della sua camera, che lui descriveva con l’aggettivo “triste”, e
camminava per i corridoi dell’immensa villa.
Scendeva le scale lentamente, facendo attenzione a non provocare nessun rumore che potesse svegliare la sua madrina.
Arrivava in cucina, dov’era presente solo la donna delle pulizie.
-Buongiorno, Michael- diceva con un sorriso stampato in faccia.
-Mi chiamo Samir!- le rispondeva infuriato.
La donna si limitava ad avere uno sguardo malinconico.
Sapeva che lui si chiamava Samir, ma quando era stato adottato la sua madrina aveva deciso di cambiargli il nome, perché gli ricordava suo figlio.
Dunque, finita la colazione si dirigeva nella sua camera, dove doveva vestirsi con l’uniforme della scuola.
Ecco. Un’altra cosa che Samir odiava: l’uniforme.
Il completo includeva scarpe lunghe nere, pantaloni grigissimi, cravatta, camicia bianca che solitamente copriva con il giacchetto rosso bordeaux, su cui era cucito il nome della scuola, e un bizzarro cappello nero che adagiava delicatamente sui suoi capelli neri senza scompigliarli.
Dopodiché prendeva la cartella e, prima di uscire dalla porta, si dava un’ultima sistemata guardando il suo riflesso allo specchio.
Una volta arrivato davanti all’edificio lui era solito isolarsi.
Perché?
Beh, semplicemente perché lo prendevano in giro per la sua carnagione leggermente più scura e per il suo accento diverso.
Poi tornava a casa, stanco e malinconico, e si buttava sul letto.
Dopo la scuola passava le giornate a leggere libri.
Pensava che fossero un portale magico, che lo portava in altre dimensioni, ed era così: rimaneva ore e ore col naso sui libri, che prendeva senza farsi vedere nella vasta biblioteca della villa.
La sera, dopo cena, si metteva sul letto e rifletteva.
Pensava alla sua monotona e triste vita, per poi cadere in un sonno profondo, spesso accompagnato da sogni strani, che la mattina dopo scriveva su un quaderno che teneva accuratamente nella valigia con cui aveva traslocato.
Uno di questi era proprio bizzarro, quasi reale: si era ritrovato improvvisamente dentro una valigia sulle macerie di una città. L’aveva trascinata fino a sbattere contro una porta e, aprendola, aveva visto la cucina della sua vecchia casa in Iraq.
Varcata la porta principale dell’edificio, si era accorto che la sua vecchia città era stata del tutto distrutta. Continuata la strada e arrivato davanti al campo da calcio in cui giocava con i suoi amici, vide solo un’enorme voragine.
Avvistò degli uomini armati e si nascose dietro due macchine, una volta salvo, iniziò a sentire addosso alla pelle una pioggia intensa e dovette ripararsi sotto la valigia.
Cessato il diluvio, decise di riposare, attirando l’attenzione di svariati corvi.
Si svegliò in un luogo desolato e aprì la valigia: c’era lì dentro la sua cucina intatta con tutta la famiglia che ballava, quindi decise di entrare per rivede tutti e, appena ebbe messo piede nella valigia, si ritrovò nel suo letto.
Si alzò di scatto con qualche lacrima che gli solcava il viso. Diede un’occhiata sotto il letto e la valigia era ancora lì, al solito posto.
Ilaria
Il bambino e la sua valigia

In una sera piovosa c’era una valigia sugli scogli con dentro un bambino di nome Alessandro. Era triste, stanco e impaurito, perché intorno a lui era tutto buio e non sapeva dove fosse. Uscì dalla valigia e la trasportò fino alla luce che si trovava in fondo al mare; non desiderava entrarci ma poi, senza volerlo, ci cadde dentro e si ritrovò in una casa distrutta, che portava i segni di una guerra appena combattuta.
L’abitazione era stretta, poco accogliente, sembrava la vecchia dimora dei
suoi nonni, dove andava sempre a giocare per passare il tempo.
Uscì da lì, vide tutti i palazzi con crepe enormi e macerie, il paese era
desolato e Alessandro temeva di non avere più la possibilità di restare ancora in vita. Visto che pioveva, si riparò con la sua stessa valigia e, impaurito, continuò per la sua strada: passò davanti a case abbandonate, distrutte, vicino a ghiacciai che si stavano sciogliendo, non credeva a ciò che stava vivendo, si girò e intravide soldati armati che si dirigevano verso il suo paese, alzò lo sguardo e c’erano anche degli aerei nel cielo.
Non c’erano tracce di altre persone, così si addormentò con la valigia come
cuscino e il cielo stellato come coperta. Intorno, a fargli compagnia, dei corvi gli volavano intorno, non riusciva a dormire a causa di rumori di esplosioni di bombe e per questo nel cuore della notte si svegliò, pensò di aprire la valigia e così fece.
Vi trovò una casa dove, secondo lui, già era stato ed era così, era la casa della sua infanzia ma diversa, perché c’erano i nonni che ballavano: la nonna elegante come sempre, con un vestito azzurro e dei tacchi argentati, il nonno con un maglione rosso e dei jeans e i suoi immancabili mocassini, sembrava un sogno rivederli, così decise di entrare nella valigia per passare tutta la sua vita con loro. Chissà adesso cosa starà facendo e se uscirà dalla valigia.

Ludovica, Simona, Sofia
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