Davide Pop
CAMBIA TUTTO
Editrice Scuola Secondaria I Grado "Colombo" 3A
Davide Pop
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CAMBIA TUTTO
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2022 Editrice Scuola Secondaria I Grado "Colombo" 3A
Editrice Scuola Secondaria I Grado "Colombo" 3A
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CAMBIA TUTTO
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Questo libro è dedicato a tutti i medici e le persone che ci hanno aiutato in questo periodo di pandemia per ringraziarli degli sforzi che hanno fatto per aiutarci.Capitolo I
Pandemia
Pandemia
Wuhan, se qualche anno fa ci avessero chiesto dove si trovasse questa città, pochissimi di noi avrebbero saputo rispondere, ma dalla fine di dicembre del 2019, tutto il mondo l’ha conosciuta. No, non per un premio, per un guinnes, ma per un virus, uno di quelli sconosciuti, scappato, sembra, ma non si sa in che modo, da un laboratorio, il suo nome: SARS COV 2 o meglio conosciuto come Coronavirus.
Tutto è partito da questa cittadina, e, come accade spesso, non pensavamo potesse turbare in qualche modo le nostre vite. Tutto cambiò in brevissimo tempo, quando a febbraio, verso la fine del mese, al telegiornale annunciarono che in Italia era stato individuato il paziente zero. Da lì io e i miei colleghi abbiamo cominciato a preoccuparci seriamente, perchè, sì, siamo abituati a lottare contro virus, ma sono tutti conosciuti, il Coronavirus, invece, è misterioso e sembra espandersi velocemente; non riusciamo a fermarlo.
Tutto è partito da questa cittadina, e, come accade spesso, non pensavamo potesse turbare in qualche modo le nostre vite. Tutto cambiò in brevissimo tempo, quando a febbraio, verso la fine del mese, al telegiornale annunciarono che in Italia era stato individuato il paziente zero. Da lì io e i miei colleghi abbiamo cominciato a preoccuparci seriamente, perchè, sì, siamo abituati a lottare contro virus, ma sono tutti conosciuti, il Coronavirus, invece, è misterioso e sembra espandersi velocemente; non riusciamo a fermarlo.
Il Covid è una malattia infettiva, che colpisce in vari modi, i sintomi più comuni sono: febbre, tosse, astenia, cioè debolezza muscolare, perdita del gusto e dell’olfatto, mal di gola, mal di testa, dissenteria. Possono presentarsi sintomi meno comuni come macchie sulla pelle, scolorimento delle dita delle mani o dei piedi, occhi arrossati o irritati. Purtroppo abbiamo assistito anche alla manifestazione di sintomi gravi: difficoltà respiratoria o fiato corto, afasia, difficoltà di movimento o confusione, dolore al petto.
Solitamente chi ha preso il virus manifesta i sintomi 5 o 6 giorni dopo, ma il periodo di incubazione può durare fino a 14 giorni.
Sono state varate varie misure di protezione, per cercare di arginare il contagio. Risulta utile e necessario indossare tutti, e non solo noi medici, mascherine, evitare strette di mano e abbracci, tenere la distanza di almeno 1,5 metri dalle persone, entrare in piccoli gruppi nei negozi e soprattutto evitare feste e luoghi affollati. Tutti devono disinfettarsi le mani con l’amuchina o comunque gel a base alcolica, evitare di toccarsi occhi, naso e bocca con le mani.
Solitamente chi ha preso il virus manifesta i sintomi 5 o 6 giorni dopo, ma il periodo di incubazione può durare fino a 14 giorni.
Sono state varate varie misure di protezione, per cercare di arginare il contagio. Risulta utile e necessario indossare tutti, e non solo noi medici, mascherine, evitare strette di mano e abbracci, tenere la distanza di almeno 1,5 metri dalle persone, entrare in piccoli gruppi nei negozi e soprattutto evitare feste e luoghi affollati. Tutti devono disinfettarsi le mani con l’amuchina o comunque gel a base alcolica, evitare di toccarsi occhi, naso e bocca con le mani.
E’ tutto cambiato da quel giorno, noi siamo cambiati, anche l’ospedale e i suoi reparti non sono piu’ gli stessi: c’è aria di morte, tristezza e solitudine.
Per cominciare sono tutti isolati, non si sentono più le voci dei parenti che vengono a trovare i pazienti, noi stessi non sembriamo più persone, sembra di essere in un luogo dove è appena esplosa una centrale nucleare. Indossiamo la nostra classica divisa, con ai piedi le ciabatte coperte dai calzascarpe, tipo quelle da sala operatoria, la cuffia, due paia di guanti, a volte anche tre, due mascherine, una chirurgica e una FfP2, la visiera, e la parte peggiore: la tuta doppia plastificata anti Covid, che fa stare davvero male perché ci fa sudare tantissimo. Nulla deve essere scoperto, ogni parte del corpo deve essere coperta, e quando dobbiamo cambiarci dobbiamo farlo in una stanza speciale dove possiamo buttare tutto in un bidone per rifiuti infetti. Ovviamente dobbiamo continuamente disinfettarci le mani.
Per cominciare sono tutti isolati, non si sentono più le voci dei parenti che vengono a trovare i pazienti, noi stessi non sembriamo più persone, sembra di essere in un luogo dove è appena esplosa una centrale nucleare. Indossiamo la nostra classica divisa, con ai piedi le ciabatte coperte dai calzascarpe, tipo quelle da sala operatoria, la cuffia, due paia di guanti, a volte anche tre, due mascherine, una chirurgica e una FfP2, la visiera, e la parte peggiore: la tuta doppia plastificata anti Covid, che fa stare davvero male perché ci fa sudare tantissimo. Nulla deve essere scoperto, ogni parte del corpo deve essere coperta, e quando dobbiamo cambiarci dobbiamo farlo in una stanza speciale dove possiamo buttare tutto in un bidone per rifiuti infetti. Ovviamente dobbiamo continuamente disinfettarci le mani.
Da quando tutto questo è iniziato, non vedo più la mia famiglia di persona, ma solo tramite videochiamata per non metterli a rischio e, come me, anche tutti i miei colleghi e gli infermieri.
Il nostro ospedale è diventato in breve tempo un centro Covid e io e il mio collega dottor De Luca, ci siamo subito resi conto di quanto grave fosse la situazione. Ricordo che un giorno mi disse: «Non possiamo andare avanti così, sono più i pazienti che perdiamo che quelli che riusciamo a far tornare a casa». Era vero, aveva ragione!
Tutti i reparti erano strapieni di persone che avevano problemi respiratori gravi, molti di loro venivano aiutati da caschi speciali per l’ossigeno, ma la cosa che né io, né i miei colleghi potevamo sopportare era vedere queste persone morire da sole, senza nessuno dei loro cari a tenere loro la mano.
Il nostro ospedale è diventato in breve tempo un centro Covid e io e il mio collega dottor De Luca, ci siamo subito resi conto di quanto grave fosse la situazione. Ricordo che un giorno mi disse: «Non possiamo andare avanti così, sono più i pazienti che perdiamo che quelli che riusciamo a far tornare a casa». Era vero, aveva ragione!
Tutti i reparti erano strapieni di persone che avevano problemi respiratori gravi, molti di loro venivano aiutati da caschi speciali per l’ossigeno, ma la cosa che né io, né i miei colleghi potevamo sopportare era vedere queste persone morire da sole, senza nessuno dei loro cari a tenere loro la mano.
Ogni giorno ognuno di noi doveva chiamare i parenti dei pazienti per aggiornarli sui loro cari. Quando riuscivano a parlare facevamo fare loro delle brevi videochiamate, ed era emozionante assistere alle loro piccole conversazioni spesso interrotte da lunghi pianti. Con noi era diverso, ci chiedevano: «Come sta mio padre?», «Come sta mia madre?», « Ci sono speranze?»
Ma la cosa che ci chiedevano di più era: «Vi prego salvatela/o! Fate tutto il possibile».
Per me quello era uno stress immenso, mi si spezzava il cuore, soprattutto perché anche nei casi che sembravano andare meglio, spesso le cose cambiavano velocemente e quasi mai in meglio. La parte più difficile del nostro lavoro è sempre stata quella di dover avvisare le famiglie che un loro caro non ce l’aveva fatta, ma non capitava così spesso, beh, ora, son continue quelle chiamate. Spesso quando finiamo di dare la brutta notizia a un genitore o a una figlia, un figlio, un nipote, anche noi scoppiamo a piangere.
Ma la cosa che ci chiedevano di più era: «Vi prego salvatela/o! Fate tutto il possibile».
Per me quello era uno stress immenso, mi si spezzava il cuore, soprattutto perché anche nei casi che sembravano andare meglio, spesso le cose cambiavano velocemente e quasi mai in meglio. La parte più difficile del nostro lavoro è sempre stata quella di dover avvisare le famiglie che un loro caro non ce l’aveva fatta, ma non capitava così spesso, beh, ora, son continue quelle chiamate. Spesso quando finiamo di dare la brutta notizia a un genitore o a una figlia, un figlio, un nipote, anche noi scoppiamo a piangere.