Una traccia d'inchiostro per dare voce agli umili

I casi erano in discesa, la speranza era che questa pandemia potesse passare velocemente. Intanto si era scoperto che il&nbsp;desametasone, un vecchio farmaco antinfiammatorio, era l'unica molecola ad aver avuto grandi effetti nel ridurre il numero di decessi nei casi più gravi di Covid-19 . Finalmente Marco era tornato a lavoro dopo essere scomparso per un mese. Ero veramente felice che lui si fosse ripreso e ho deciso di concedermi una vacanza per trascorrere un mese intero con i miei figli.

La scuola era finita, insieme alla DAD, e noi siamo potuti andare al mare a Rimini, dalla nonna a Bologna e da mio fratello a Parigi per una settimana. Ma le cose belle non durano per sempre. I casi sono aumentati di nuovo ed io sono dovuto tornare a lavoro. «Oh, buongiorno Marco» esclamai felice. «Buongiorno dottore, bentornato!» «Cosa ha fatto di bello durante le vacanze?» «Ho deciso di visitare nuovi posti, per non pensare sempre a mio fratello». «Bene, Bene, è pronto per tornare al lavoro?» «Prontissimo» rispose. La seconda ondata è stata più forte della prima, non pensavamo che i casi dei contagiati sarebbero potuti crescere così tanto.

la gente sembra impazzita pensa Federico, tutti che corrono al supermercato a fare le scorte di cibo con mascherina e guanti, sembra un film di fantascienza! I casi e i morti aumentano sempre di più, alla tv fanno vedere sfilate di camion che trasportano i corpi delle persone morte. «Che tristezza, sono morte da sole in ospedale!», esclama Federico. Tutte le sere prima di addormentarsi pensa: speriamo che non muoia nessuno delle persone a cui voglio bene. Il lockdown inizia! Tutti chiusi in casa, non sì può uscire. Federico deve trovare qualcosa da fare, così nel tempo libero chiama i suoi amici: «Ciao Pietro, stiamo in chiamata?» oppure «Ciao Luca, giochiamo a FIFA?» Per fortuna ci sono gli amici. La scuola ricomincia, ma a distanza, che strano vedere i miei compagni e i professori attraverso un monitor, pensa Federico.

Stare chiusi in casa permette a Federico di fare tante cose con la sua famiglia, guardare serie tv, giocare a giochi di società e fare pizza e torte, questo per lui è una gioia. Spesso Federico dice a sua mamma: «Mi sembra di essere in un brutto sogno» «Vedrai, amore mio, finirà tutto presto e torneremo alla normalità», lo rassicura la mamma. Siamo a Marzo 2020 e purtroppo è solo l’inizio! ll papà di Federico, Roberto, è un medico di famiglia. Il dott. Roberto Cataldi è molto bravo, tutti nel quartiere lo conoscono e quando lo incontrano per strada spesso lo fermano per chiedere consigli. Ogni mattina alle 8.00 in punto indossa il suo cappotto blu, prende la sua valigetta e si reca nel suo studio. Non torna mai a casa prima delle 20.00. Quando è in studio risponde a tutte le mail che gli inviano i pazienti e quando ha finito va a casa dei malati per visitarli.

Editrice Scuola Secondaria I Grado "Colombo" 3A

"Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci domani. Fermiamoci oggi per correre più veloci domani..." Giuseppe Conte

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LA QUARANTENA

2022 Editrice Scuola Secondaria di I Grado "Colombo" 3A

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Capitolo 17 Ce la posso fare&nbsp; Alle sette del mattino, come al solito, mia madre mi stava svegliando. Dovevo&nbsp;prepararmi&nbsp;per seguire&nbsp;le mie lezioni.&nbsp;Invaso da noia e&nbsp;stanchezza&nbsp;accesi&nbsp;il computer e&nbsp;iniziai. Ormai non potevo&nbsp;permettermi di assentarmi perché era già aprile 2020 e tra due mesi&nbsp;avrei dovuto&nbsp;sostenere&nbsp;gli esami di quinta&nbsp;liceo. Quel periodo&nbsp;fu&nbsp;molto difficile per tutti. Vedendo i numeri di positivi che aumentavano ogni giorno, tutti avevano paura di essere contagiati a loro&nbsp;volta. Non si poteva uscire&nbsp;per andare&nbsp;da nessuna parte, neanche a scuola. Tutti i negozi erano chiusi tranne i supermercati in cui poteva entrare solo un certo numero di persone&nbsp;per volta.

Finite le lezioni,&nbsp;andai&nbsp;sul balcone per respirare un po’ d’aria&nbsp;pensando&nbsp;a quando&nbsp;saremmo potuti&nbsp;uscire&nbsp;di nuovo. Quando arrivò mia sorella Emma mi&nbsp;chiese: «com’è andata?» io&nbsp;risposi: «niente di nuovo» ma lei&nbsp;con entusiasmo e tutto d’un fiato urlò: «invece sì, la prossima settimana potremo finalmente&nbsp;uscire e vedere i nostri amici!» All’inizio non ci credevo che dopo tutto quel periodo di prigionia a casa saremmo potuti ritornare alla quasi normalità. Sono passati i giorni e siamo potuti uscire ed andava tutto benissimo ma, a fine maggio,&nbsp;Napoli&nbsp;diventò&nbsp;di nuovo zona rossa:&nbsp;siamo dovuti rimanere di nuovo a casa. Dopo qualche giorno&nbsp;mi&nbsp;svegliai&nbsp;con difficoltà a respirare. Col passare delle ore&nbsp;il fastidio&nbsp;diventò&nbsp;sempre&nbsp;maggiore.

Tuttavia, alcune persone sviluppano una forma di malattia grave e necessitano di assistenza sanitaria. O almeno, questo adesso, dopo 3 mesi dall'inizio. Le prime settimane furono devastanti. Le persone che contraevano il virus morivano come mosche e, non avendo una cura, non potevamo farci niente. Era il caos più totale. Il virus può diffondersi in piccole particelle liquide che fuoriescono dalla bocca o dal naso di una persona infetta, ad esempio tossendo, starnutendo, parlando, cantando o semplicemente respirando. Si può contrarre l'infezione respirando il virus se ci si trova nelle vicinanze di una persona affetta da covid-19, oppure toccando una superficie contaminata e poi toccandosi gli occhi, il naso o la bocca.

Il virus si diffonde più facilmente al chiuso o in ambienti affollati. E anche se il mondo andò in lockdown, la vita di noi medici dovette continuare. Dormivamo nelle ambulanze, abbandonati sulle scrivanie, imprigionati nelle tute protettive, con i segni degli occhiali che non andavano via neanche una volta tolti. Eravamo sottoposti a turni massacranti, eravamo pochi, o comunque meno di quanti ne sarebbero serviti, con meno letti e strumenti del necessario. Oltre che medico ero anche ricercatrice, quindi il mio primo pensiero fu un ipotetico vaccino. Ci lavoravo giorno e notte insieme ad Emily e Daniel. Una ragazza e un ragazzo di 27 anni che avevano dimostrato prestazioni eccellenti durante il tirocinio.

informazioni». I giorni erano tutti uguali e noiosi, insomma mi sembrava di rivivere lo stesso incubo ogni giorno. Per un lungo periodo non riuscimmo più ad avere informazioni sullo zio Alberto, finché un giorno andammo in ospedale e ricevemmo la notizia che ha cambiato la mia vita: «Signori Morello, le mie più sentite condoglianze, Alberto è venuto a mancare» disse il dottore rivolgendosi a noi. «Oh mio Dio! non ci posso credere! perché tutto ciò? perché?» disse mia madre scoppiando in lacrime. «Signora, Alberto soffriva di problemi respiratori, questo ha contribuito a farlo stare male, ci dispiace veramente» spiegò il dottore. La morte di mio zio mi ha cambiato la vita, con lui ho passato gli anni più importanti, ho imparato a credere in me stesso, a confidarmi e soprattutto a non giudicare niente e nessuno, tutto questo grazie a lui, ed ora che non c'è più vorrei davvero distruggere con tutte le mie forze questo virus.

&nbsp;«Quanto vorrei che quell’ambulanza smettesse di suonare!»&nbsp;disse l’infermiera fra sé e sé. Una sera, le fu concesso il permesso di tornare a casa per vedere sua figlia che appariva molto turbata. La bambina non era più la stessa, era triste e pensierosa ma, allo stesso tempo, preoccupata. Temeva di essersi comportata male e che questo fosse il motivo per cui la madre stava tanto fuori casa. Appena la vide rientrare fece un gran respiro e munitasi di coraggio tutta d’un fiato disse: «Mamma perché mi tratti così? Per caso ti ho fatta arrabbiare?» ma la madre le rispose: «No tesoro, non è così, il problema è che la situazione in ospedale non va tanto bene, ma tranquilla è solo una cosa momentanea». Tutte parole che non rispecchiavano per niente la triste verità da cui voleva proteggerla. Infermieri e dottori stavano vivendo un inferno terrestre.

Ogni giorno, l’infermiera Salerno si precipitava verso l’ospedale perché c’erano numerosi pazienti da assistere, ma gli infermieri non erano abbastanza e il tempo sembrava non bastare mai. Fra i pazienti c’era Selton, un piccolo bambino, che aveva contratto il virus in una forma molto grave e aveva bisogno di cure costanti per sopravvivere. Selton era un bambino di 10 anni che probabilmente stava frequentando la quarta elementare. Il piccolo aveva un altezza adeguata alla sua età, aveva un naso regolare ma che sembrava sempre tappato, la bocca piccola e sottile, i capelli ricci, gli occhi azzurri.&nbsp;Molto spesso indossava una semplice maglietta che ritraeva una mascherina, dei jeans e delle

Era quasi una guerra, non riuscivo neanche a vedere la mia famiglia, non sapevo nemmeno se fossero ancora vivi o meno, ma&nbsp;quello che sapevo era che mi mancavano tanto. Ogni sera guardavo la loro foto ed ero sicuro che anche io mancavo a loro. Desideravo andare a vederli ma non potevo. Se anche mi avessero dato il permesso io non avrei mai potuto lasciare questi poveri pazienti che stavano morendo qui. Quello che so è che ogni guerra ha una fine e sempre vince il bene sul male. Ecco di nuovo le sirene.&nbsp;

«Dr. Miller, Dr. Miller!» «Sì Sironi, lo so, mandatelo nella camera 1195» «Sì dottore, subito» «Ma dov’è Marco?» «Il Dr. Marco è nella stanza 987, ma è molto strano. Sta urlando e non fa entrare nessuno». Marco in questi giorni era molto strano, dovevo andare a vedere cosa stava succedendo. Una settimana fa mi aveva&nbsp;chiesto di tornare alle

Lui rispose: «tesoro stai tranquilla, papà sta bene e ha una missione: salvare più gente possibile da questo virus». La madre e Michele provarono a rassicurarla poiché aveva un rapporto molto stretto con il padre. Serena disse: «Andrà tutto bene, basta crederci. Papà ritornerà». Laura provò comunque a calmarsi sperando fortemente nel fatto che suo padre sarebbe tornato sano e salvo. Serena chiamò ogni giorno Marco, il marito, per essere sicura che lui veramente stesse bene. Lui continuò sempre a stare in ospedale in prima linea, pronto ad aiutare le persone contagiate dal Covid-19. Il dottor Marco era sempre più stanco ma nonostante ciò continuò, per il bene di tutti.

Dedico questo romanzo a tutte le persone che hanno lottato per vivere e per far vivere le persone che amano. Questo romanzo è anche un ringraziamento per tutti gli infermieri che ci hanno aiutato molto. GRAZIE!!!

Ringrazio tutti i medici per l'impegno che hanno dedicato per cercare di porre fine a questa pandemia.

Questo libro è dedicato a tutte le persone che ogni giorno cercano di salvare più vite possibili finendo anche per essere criticate: i medici

l’ospedale, in grado di affrontare una situazione del genere. Non aveva un’altezza adeguata alla sua età. Aveva un naso piccolino, una piccola bocca e degli occhi azzurri che trasmettevano il coraggio e la forza con cui stava affrontando questa situazione meschina. Di solito indossava dei jeans, una semplice maglietta e delle scarpe da ginnastica, ma in questo periodo era difficile vederla così. Lei era molto generosa e molto empatica, infatti capitava che qualcuno in ospedale le andasse a parlare dei propri problemi o a chiedere qualche consiglio e lei era sempre pronta ad ascoltare tutti. «Quando tutto questo finirà?» disse l’infermiera Salerno guardando il cielo. «Vorrei tanto tornare alla normalità, vorrei tanto vedere questa città grigia un po’ colorata, vorrei tanto vedere mia figlia e stare

con lei, vorrei tanto vedere mamma e papà e sapere come stanno, vorrei tanto ricevere un semplicissimo “TI VOGLIO BENE”, vorrei tanto ricevere un abbraccio…».&nbsp;Tutti desideri che a un tempo potevano pure risultare banali, ma che in situazioni come queste rappresentavano delle vere necessità primarie, di cui tutti hanno bisogno per non sentirsi soli. In ospedale c’erano persone con tosse, mal di gola e febbre che superava i 37.5 °C, tutti i sintomi del Covid-19, ma anche pazienti che dovevano essere sottoposti ad interventi chirurgici urgenti e tanti altri con problemi differenti.&nbsp;Era proprio in quella situazione che l’infermiera Salerno, munita di doppia mascherina, tuta anti-Covid e scarpe rivestite da calzari monouso, era pronta per la sua missione: aiutare tutti, compresi i nuovi pazienti che arrivavano in ambulanza.

Fiona Aguila ha 13 anni ed è nata il 7 febbraio 2008 nelle Filippine da dove poi si è trasferita in Italia a Milano. Qui ha frequentato la Scuola Primaria e attualmente la terza classe della Scuola Secondaria di I Grado nell'Istituto Comprensivo Console Marcello.

Marco, un ragazzo socievole e simpatico, racconta la situazione del mondo e della città in cui vive insieme al suo migliore amico Alberto che è stato infettato dal virus.

Dedicato a chi dorme per notti in ospedale per cercare di salvare le nostre vite.

Abbiamo fatto il possibile insieme a tutti gli altri medici e infermieri. A metà dicembre finalmente arrivò la notizia tanto attesa:&nbsp;l'FDA, e in seguito EMA, approvarono&nbsp;il primo vaccino della storia contro il Covid-19. Il&nbsp;27 dicembre&nbsp;fu una data storica per l'Unione Europea perché, nella mattinata, iniziarono, contemporaneamente in&nbsp;tutti gli Stati membri, ad essere iniettate le prime dosi del vaccino. Era l'inizio di una nuova era nel contrasto alla&nbsp;pandemia.

Ringrazio i dottori e gli infermieri per aver curato le persone che sono state infettate dal virus.

Il romanzo è dedicato come ringraziamento a tutte le persone che hanno avuto sempre la speranza che questa pandemia potesse finire e a tutti i medici e infermieri che hanno cercato di fare del loro meglio per trovare una soluzione.

In questo momento non si può uscire di casa neanche per andare dal dottore! La sua giornata però non finisce mai; durante la sera il suo telefono squilla come se fosse una centrale di polizia:&nbsp;«Buonasera dottore ho mal di testa e mi fa male la gola» oppure «Dottor Cataldi, sono molto spaventata è da stamattina che ho 38.5 di febbre». Una sera, mentre il dottor Cataldi sta tornando a casa riceve una telefonata: «Buonasera Dottore, sono il Dottor Pozzi, primario dell’ospedale Niguarda. La sto chiamando perché abbiamo bisogno del suo aiuto. Gli ammalati continuano ad aumentare e dottori e infermieri non bastano» «Buonasera Dottor Pozzi, certo, domani mattina alle 7.00 sarò da lei, ma i mei pazienti chi li segue?» risponde Roberto. «Non si preoccupi, se ne occuperà il collega Dottor Turci, la ringrazio ci vediamo domani» lo rassicura Pozzi.

Per Roberto è stata una notte lunghissima, non è riuscito a dormire, sapeva che avrebbe vissuto un’esperienza difficile da dimenticare. Alle 7.00 Roberto è in ospedale «Dottor Cataldi!» esclama il dottor Pozzi. Prima di accompagnarlo in reparto gli dà una un camice, guanti, visiera, mascherina e cuffia per i capelli. Dottori e infermieri sembrano tanti astronauti. La situazione in ospedale è terribile; si vedono medici e infermieri che corrono da una camera all’altra, non hanno neanche il tempo di andare in bagno, sono distrutti e hanno il viso segnato dalla mascherina che tengono per ore e ore. Ammalati nei corridoi o al pronto soccorso soli, senza persone care vicino, le terapie intensive sono piene.

Sujan Hussin, nata a Milano il 26 dicembre 2008, vive a Milano con la sua famiglia. Ha frequentato la Scuola dell'infanzia presso l'Istituto comprensivo "Sorelle Agazzi" e la Scuola Primaria all'Istituto comprensivo "Console Marcello" presso il quale adesso sta frequentando la terza media. Una delle sue passioni, oltre a quella del disegno, è immaginare ed inventare storie con le quali tessere le pagine dei suoi romanzi. Ha grandi progetti per il futuro e non vede l'ora di realizzarli.

In un ospedale situato a Milano, sono apparsi dei gravi casi dovuti al Coronavirus. Il personale dell'ospedale sta soffrendo anche più dei loro pazienti. C'è un gruppetto di medici, in particolare, che si sta scervellando per trovare una soluzione a tutto. Ora tocca a loro trovare un modo per curare i pazienti con i casi più gravi. In un modo o nell'altro ci dovrà essere almeno una soluzione per aiutarli, no? Questa è la speranza di tutto il mondo.

Biografia dell'autore George Monuir, nato il 10 aprile 2008, ha origini egiziane e vive a Milano. George ha 14 anni, frequenta il terzo anno di Scuola Secondaria di Primo Grado presso l'Istituto Comprensivo Console Marcello. E' un ragazzo simpatico ma si innervosisce facilmente. Questo è il suo primo libro scritto con la speranza che possa piacere e appassionare i suoi lettori.

 Editrice Scuola Secondaria di I Grado "Colombo" 3A

Mi stavo dirigendo verso la sua stanza, la numero 258, per dei soliti controlli, ma appena arrivai due figure visibilmente irritate e stanche mi si pararono davanti. «Quindi? Come sta mio figlio? Come vanno le ricerche?» disse la povera madre stanca. Nella sua voce si poteva percepire disperazione e preoccupazione. «Signori, le ricerche stanno procedendo per il meglio, vostro figlio riuscirà a farcela, ve lo assicuro». Ormai tra noi medici queste parole erano diventate una routine, ma in pochi ci credevano, soprattutto all'ultima parte. «Ormai tutto questo va avanti da mesi, ci ha presi per scemi? Come sta veramente nostro figlio?» rispose aggressivamente un padre nervoso e seccato.

«Signore, so che tutto questo è difficile e stancante» «Lei non sa niente, gira tra una stanza all'altra dicendo alle persone che andrà tutto bene, ma a noi scivolano addosso, vogliamo i fatti!» mi interruppe di nuovo il padre che sembrava agitarsi sempre di più «Purtroppo la situazione è più complicata del previsto, ci sono tante persone, soprattutto anziane, che hanno bisogno di essere curate al più presto, mentre vostro figlio è giovane e, anche se con più fatica, riuscirà a riprendersi». «Sa quanto me ne può importare delle persone anziane, tanto hanno già i giorni contati, mio figlio ha tutto un futuro davanti e la riterrò responsabile in caso non dovesse farcela!»

«Cosa è successo…?» chiese la dottoressa. «Non lo vedi!? I miei pazienti continuano a morire tra le mie braccia! Le famiglie se la prendono con me e guardarle in lutto è deprimente! Pensate che veder morire le persone sia piacevole?» «Non ci possiamo fare niente. Noi abbiamo fatto di tutto ma se muoiono, muoiono. Non abbiamo ancora tutti gli strumenti necessari per guarirli. Quindi non sentirti in colpa, non è colpa tua». Il dottor Fernet lo disse come se fosse la cosa più semplice al mondo e questo fece innervosire la dottoressa Tanduay. Odiava quando diceva certe cose con quell'assoluta schiettezza. «Ma io non posso vivere per sempre in ospedale! Ho una bambina! E sono così indaffarata che non riesco neanche a dormire o mangiare!» «Non parlare come se lei fosse l'unica a soffrire, anche noi stiamo passando le sue stesse situazioni e non ci stiamo lamentando, per quanto tutto questo sia follia. È nostro dovere aiutare gli altri e faremo di tutto per salvarli. Dobbiamo tentare l'impossibile per gli altri. Insieme ce la faremo! Vedrà, andrà tutto bene». Le parole rassicuranti della dottoressa Tanduay

fecero accennare un sorriso speranzoso sulla faccia dei colleghi. In quel momento il mondo intero continuava a sperare che tutto sarebbe andato per il meglio e che le perdite si sarebbero presto ridotte. Il mondo sperava nella fine imminente di quest'incubo.&nbsp;Il mondo sperava. Per fortuna, la speranza sarà sempre l'ultima a morire.

Ringrazio tutti i dottori e infermieri che stanno cercando di fermare il Covid.

«Forza Giulia, non mollare, la tua piccolina ti sta aspettando!» Come Giulia, molte persone peggiorano, alcune si riprendono altre muoiono. Dottori e infermieri stanno vivendo un incubo, a volte si sentono inutili, sono stremati ma non mollano, loro sono i nostri “angeli”. Roberto passa notti in ospedale al fianco di Giulia che finalmente, dopo tre giorni, migliora: riesce a respirare da sola! Roberto piange dalla gioia. «Brava Giulia hai vinto tu!» esclama. La giovane madre viene portata in reparto e finalmente dopo 10 giorni, visto l’esito negativo del tampone, può tornare a casa dalla sua bambina.&nbsp;È proprio Roberto a darle la notizia: «Giulia, il tuo tampone è negativo, puoi tornare a casa dalla tua bambina». Giulia lo abbraccia con tutta la poca forza che le era rimasta, «Grazie Dottore, non

mi dimenticherò mai di lei e di tutto quello che ha fatto per me» dice rivolgendosi a lui con uno sguardo colmo di gratitudine. Uscendo dall’ospedale Giulia guarda Roberto e gli altri dottori e infermieri e dice: «La prima cosa che dirò alla mia bambina è che gli angeli esistono e io ne ho incontrati tanti. Grazie!»

Alessandro Veneziano Paura sulla terra 2022 Editrice Scuola Secondaria I Grado "Colombo" 3A

Maro Gerges L'umile infermiera Salerno 2022 Editrice Scuola Secondaria I Grado "Colombo" 3A

Jimmy Tedors, mentre era seduto sul suo divano a bere la solita tisana dopo una lunga giornata di lavoro, accese la TV e ascoltò una drammatica conferenza stampa che dichiarava ufficialmente che eravamo in "pandemia". Non può essere pensò tra sé e sé. Si era appena specializzato ed era entrato a far parte dell’equipe medica dell’ospedale della sua città. Lavorava con tanto entusiasmo ed era sempre pronto a dare il suo contributo per sostenere i pazienti con cui trascorreva la maggior parte del suo tempo. Inevitabilmente si sentiva legato ad ognuno di loro. Col trascorrere dei giorni, i contagi aumentavano drasticamente, ci furono tanti morti, sia anziani che giovani, e c'era tanta paura, per una malattia che inizialmente appariva sconosciuta. Dal momento in cui fu dichiarato lo stato di pandemia, il "SARS-CoV-2” è stato classificato come minaccia per l'intera popolazione della terra Pare fosse uscito da un laboratorio in Cina, durante un esperimento, diffondendosi in

tutto il mondo, e manifestandosi con febbre alta e problemi respiratori molto gravi. Dopo aver ascoltato attentamente le notizie trasmesse, il dottore si mise a letto facendo fatica ad addormentarsi. Non riusciva a non pensare ai tanti ricoveri di quei giorni e in particolare ad Andy, un bambino giunto in ospedale con difficoltà respiratorie. L’indomani Jimmy si recò a lavoro di prima mattina. Ad accoglierlo come ogni giorno c’era il suo collega e amico De Donno. «Buongiorno De Donno, notizie di Andy?» chiese ansiosamente il dottor Tedors. L’amico si fece coraggio e rispose: «Purtroppo Andy è venuto a mancare». «Come? Perché?» disse di scatto il dottor Tedors. «Durante la notte ha avuto una crisi respiratoria. Ho provato di tutto per salvarlo, ma non ce l’ha fatta, io non ce l’ho fatta ad aiutarlo e la malattia ha vinto». Quel giorno tornò a casa affranto dalla notizia più triste e colma di dolore che avesse mai ricevuto nella sua vita. Prima, la perdita di qualcuno, era l'eccezionalità adesso, invece, tristemente frequente. Accese la TV e, neanche 2 secondi dopo, il TG5 stava divulgando la notizia che il Coronavirus si stava diffondendo in altri Paesi

Dopo tanto tempo di attesa finalmente, il vaccino arrivò e fu&nbsp;messo a disposizione di tutti. Però il Covid-19 non fu sconfitto definitivamente, c'era ancora da aspettare. Alcune persone continuavano ad aver paura, ma il dottor Tedors sapeva che, stando tutti uniti e aiutandosi a vicenda, si sarebbe potuto superare tutto. Bisognava soltanto aspettare e si sarebbe riusciti a battere questo virus, una volta per tutte.&nbsp;

Dedicata alle persone che hanno sofferto con la speranza che la pandemia possa finire molto presto.

Emma è cresciuta senza genitori. Lei ha i capelli neri e lunghi e gli occhi azzurri. Ora vive in un orfanotrofio, dove ci sono anche i suoi amici Elena, Elisa, Linda e altri bambini senza genitori. Linda ha i capelli neri e corti e gli occhi verdi, Elisa i capelli biondi e corti e gli occhi neri. Linda, al contrario, ha capelli neri e lunghi e occhi neri. L’edificio che ospita l'orfanotrofio è semplice nella sua struttura. Sul lato destro dell'orfanotrofio c'è una vecchia cucina oltre ad un posto dove lavarsi, a sinistra, invece, la camera per i bambini. Ci sono anche sale per le attività, stanze per gli uffici, sale di ricevimento e il luogo in cui vive il direttore dell'orfanotrofio. Un giorno hanno scoperto che molte bambine avevano problemi respiratori, confusione, tosse e febbre.

All'inizio non si sono preoccupati di questa cosa, poiché pensavano si trattasse di una comune influenza, ma poi si sono spaventati perché hanno scoperto che si trattava di un virus sconosciuto che stava contagiando moltissime persone. Avevano molto timore che tutti sarebbero stati contagiati perché piano piano si è saputo che il Sars Cov-2&nbsp;era un virus molto grave che poteva causare anche la morte, soprattutto se affetti da altre patologie. Il Covid era una malattia respiratoria da cui era difficile guarire senza cure speciali. Gli anziani erano i soggetti con più probabilità di sviluppare la forma grave della malattia.&nbsp; Le cose si complicarono: Linda era stata contagiata. Emma e gli altri erano preoccupati per l'amica, volevano prendersi cura di lei, ma non le si potevano avvicinare altrimenti si sarebbero contagiati anche loro. Dopo qualche giorno Linda si sentì sempre più a disagio, faceva fatica a respirare.

Aira Malabuyoc è nata il 12 Marzo del 2008, ha 13 anni e vive a Milano con la sua famiglia di origine filippina. Lei frequenta la terza media nell'Istituto Comprensivo Console Marcello. È una ragazza tranquilla, gentile e certe volte anche simpatica. Le piace molto ascoltare la musica e uscire con gli amici. "Andrà tutto bene" è il suo primo romanzo.

Laura si trovava in una situazione preoccupante perché all'inizio della pandemia non sapeva cosa fare. Il padre era un medico per cui lei voleva che tornasse a casa, ma lui non poteva perché c'erano delle vita da salvare. Perciò rimase nell'ospedale e ogni giorno sia la madre e che la figlia lo chiamavano con la speranza nel cuore che "andasse tutto bene".

dormire, ma io non ce l’ho fatta e sono venuto qua, dove lavora». «Ok, ho capito! Ma ora fermo qui, fra cinque minuti ritorniamo» dissi io. «Come si chiama tuo padre?» «Si chiama Piero, Piero Rolla!» disse concludendo la frase con uno starnuto. «Starà mica parlando di quel Piero Rolla?» dissi io ad Alfonso mentre andavamo a prendere un tampone. «Sai quanti ce ne sono di medici che si chiamano Piero Rolla in una città come Milano?» «Avrà sbagliato ospedale!» Piero Rolla era un medico che lavorava nell’ospedale da 25 anni. Era molto stimato. Era basso e grassottello ma molto simpatico. Intanto avevamo preso il tampone ed eravamo tornati, più bardati di prima, dal ragazzino. «Hai detto che sei il figlio di Piero Rolla, no?» «Sì!» «Piero Rolla che nel mese di Novembre ha per primo ipotizzato un possibile inizio di&nbsp;pandemia?» «Sì, proprio lui!» «Capisco!» continuò Alfonso

«Domani arriveranno i risultati del tampone e se sarai negativo ti porteremo da tuo padre» e senza neanche salutare, Alfonso se ne andò. Alfonso è sempre stato l’infermiere a cui tutti si rivolgevano. Era molto serio e scrupoloso. Lavorava nell’ospedale da ormai 10 anni. Era alto e robusto, senza capelli e con un naso a becco d’aquila. «Mi puoi dire dov’è mio padre almeno tu?» mi disse. «Domani te lo dirò, ma adesso dormi!» L’indomani trovai il ragazzino in lacrime vicino ad Alfonso. «Cosa succede qui?» chiesi «Piero Rolla è deceduto» mi disse Alfonso mentre mi accompagnava fuori. Io rimasi in silenzio. «Era da un po’ che aveva il Covid…» «Il Covid?» l’ho interrotto «Perché non ce l’avete detto?» «Vi avremmo potuto aiutare a curarlo». Quando tornai a casa non riuscii a non pensare: Piero Rolla colui che aveva detto per primo dell’esistenza del Covid, era morto.

Federico è nella sua cameretta e sta organizzando la festa per il suo compleanno, mentre sta scrivendo l’elenco degli amici che vuole invitare alla festa, il suo telefono inizia a squillare, sembra impazzito, stanno arrivando messaggi dai suoi compagni di classe: “Ehi Fede domani non si va a scuola!”, “Ciao bro da domani la scuola è chiusa”. Federico non crede ai suoi compagni e va di corsa da sua mamma a chiedere conferma: «Mamma è vero che domani non si va a scuola?» «Sì Federico, purtroppo il Covid è arrivato a Milano, molta gente si sta ammalando, ma vedrai che tra un paio di settimane tutto tornerà come prima», risponde la mamma. Eh sì, il Coronavirus, un brutto virus che sta contagiando e uccidendo molta gente in tutto il mondo è arrivato anche in Italia!

Non si sa ancora da dove arrivi, ai telegiornali dicono dalla Cina, forse a causa di un esperimento, forse dai pipistrelli. Questo virus ti fa venire all’inizio una semplice febbre, raffreddore, tosse, perciò è molto facile scambiarlo per una normale influenza, ma poi la situazione può peggiorare fino colpire i polmoni e dare dei grossi problemi respiratori. L’unico modo per sopravvivere è essere intubati, ma non tutti ce la fanno, le persone anziane o che hanno già dei problemi di salute, purtroppo, muoiono. Federico da un lato è felice perché non deve andare a scuola ma dall’altro è preoccupato: sarà vero che tornerà tutto come prima? Purtroppo dopo qualche giorno anche l’oratorio chiude e Federico non potrà fare la festa di compleanno. Anche gli allenamenti di calcio sono sospesi.&nbsp; Noooooooooo, il calcio no! pensa disperato Federico. I giorni passano e la situazione peggiora,

«Senta, intanto le chiedo di calmarsi e di portare rispetto a tutte le persone che in questo momento si trovano nella stessa situazione di suo figlio. Anche io tengo molto a Thomas e di certo farò qualsiasi cosa per salvargli la vita, ma al momento ho le mani legate, quindi per favore, se non vuole che suo figlio muoia adesso, mi lasci passare». Per fortuna la donna, più comprensiva e gentile, convinse il marito a farsi da parte e io potei finalmente passare. Avrei dovuto sentirmi offesa, arrabbiata, magari avrei dovuto avere le lacrime agli occhi, ma no, niente di tutto questo si impossessò del mio cuore. Capivo l’uomo e, per quanto si fosse spinto oltre con le parole ferendo il mio orgoglio, non gli potevo dare la colpa di niente. Gli stessi dottori che all’inizio gli

avevano detto che suo figlio aveva solo un virus sconosciuto passeggero, adesso erano costretti a trovare scuse e motivazioni sul perché lo stesso ragazzo, invece di stare a casa con la sua famiglia, fosse intubato, con la sua vita nelle mani di una macchina. Gli stessi dottori che gli avevano detto che non c’era assolutamente nulla di cui preoccuparsi, adesso si preparavano all’eventuale perdita del ragazzo. Un virus che nessuno aveva preso sul serio all’inizio, avrebbe potuto togliere un figlio dalle braccia di un genitore. Voglio dire, io stessa ero arrabbiata per tutto questo, figuriamoci suo padre. Sarebbe stato grave se non gliene fosse importato niente della sua situazione. Forse questa sua rabbia e preoccupazione mi davano anche sollievo, il fatto che avessero a cuore loro figlio mi confortava.

Lei non era estremamente alta, all’incirca 1,70 cm, e aveva un fisico abbastanza snello, era sempre stata severa con se stessa e seguiva una dieta rigidissima che solo a pensarci mi veniva fame. Aveva dei bellissimi capelli rossi, da qui il soprannome “carota”, leggermente ondulati che le arrivavano all’altezza delle spalle. Occhi verdi che sembravano due smeraldi, sulle guance aveva spruzzate lentiggini qua e là. Una delle ragazze più belle che avessi mai visto, portava sempre dei jeans stretti alla vita e magliette larghe, soprattutto le maniche. Era una ragazza gentile e tranquilla dalla mente brillante, e aveva sempre e dico sempre una soluzione a tutto; amava quello che faceva e si vedeva. Poi c’era Daniel, un ragazzo scorbutico e arrogante, che non si scomodava tanto a fare il suo lavoro al contrario di Emily.

Con il suo metro e novanta di altezza se ne stava sempre da qualche parte annoiato a fare quello che gli veniva detto. Anche lui seguiva una dieta abbastanza rigida e si allenava continuamente. Capelli corvini e oceani al posto degli occhi, origini filippine, era davvero un bel ragazzo. Io ero sempre stata nella media invece: altezza media, fisico medio, intelligenza media, capelli castani e occhi ambrati. Niente di speciale. Da quando Thomas era entrato nella mia vita, il vaccino, una cura, una soluzione, un qualsiasi cosa erano diventati la mia priorità. La sua condizione peggiorava ogni giorno di più. Da un semplice infetto era passato ad essere intubato e il suo corpo ormai stava cedendo. Le ricerche stavano andando bene, pian piano ci stavamo riuscendo.

Emanuele è nato il 6/08/2008 a Milano dove vive tutt'oggi. Ed è proprio a Milano che nel 2021 pubblicò il suo primo racconto intitolato "Periodo Buio" ambientato nella Milano post Covid. Adesso frequenta la terza classe della Scuola Secondaria di I Grado "Colombo" (Milano).

All’inizio di dicembre 2019 in Cina scoppia una pandemia chiamata Covid-19. È una infezione virale i cui sintomi vanno da raffreddore, mal di gola e febbre fino alla perdita del gusto e dell’olfatto e, nei casi più gravi, polmonite. A marzo 2020 in Italia c’è il lockdown. A novembre dello stesso anno il virus riprende di nuovo vigore e l’Italia viene divisa in zone: bianca, gialla, arancione e rossa. I medici e gli infermieri molte volte non riuscivano nemmeno a tornare a casa o a vedere i loro cari: erano gli umili di quel tempo.&nbsp;Una dottoressa nella Milano post Covid combatte contro tutti i suoi colleghi per aiutare un bambino il cui padre è un grande medico conosciuto a livello mondiale.

Io feci appena&nbsp;in tempo a dire: «non riesco a respirare»&nbsp;che dopo pochi secondi sono svenuto. Mia madre&nbsp;gridò: «Subito,&nbsp;chiamate l’ambulanza!» Mio padre lo fece&nbsp;e dopo 10 minuti&nbsp;l’ambulanza&nbsp;arrivò. Andammo&nbsp;in ospedale&nbsp;dove&nbsp;mi sottoposero a&nbsp;tutti i controlli. Emma e i miei genitori&nbsp;dovettero&nbsp;aspettare fuori&nbsp;in&nbsp;attesa del dottore che&nbsp;dopo mezz’ora&nbsp;uscì. Mia madre&nbsp;si diresse subito verso il medico&nbsp;che&nbsp;le disse: «Signora, mi dispiace dirle&nbsp;che suo figlio è stato contagiato dal Coronavirus e tutta la famiglia&nbsp;deve&nbsp;fare il tampone». Mia madre&nbsp;rimase&nbsp;scioccata. Fatto&nbsp;il&nbsp;tampone&nbsp;anche loro sono risultati positivi. Siamo dovuti rimanere in quarantena, ma erano i giorni della maturità. I miei genitori consultarono&nbsp;la scuola&nbsp;che decise&nbsp;che

l'avrei sostenuta dopo la guarigione. Sfruttai&nbsp;quel&nbsp;periodo&nbsp;per&nbsp;studiare pur essendo molto malato. Dopo 15 giorni&nbsp;abbiamo fatto di nuovo il tampone e quella volta il risultato fu NEGATIVO. Finalmente&nbsp;feci&nbsp;gli esami. Parlai&nbsp;del&nbsp;Coronavirus, di&nbsp;Li&nbsp;Wenliang&nbsp;che ha dato l’allarme&nbsp;della diffusione del virus e della&nbsp;mia esperienza&nbsp;da&nbsp;contagiato; andò&nbsp;benissimo. Iniziarono&nbsp;le vacanze, un periodo noiosissimo visto che non&nbsp;andammo da nessuna parte. Tutto rimase com’era,&nbsp;non avevano&nbsp;ancora trovato un vaccino ma LA SPERANZA C’ERA&nbsp;SEMPRE.

Era marzo, quando i primi casi di Covid-19 sono comparsi qua e là per l’Italia. Da subito si sono moltiplicati così tanto che negli ospedali in un giorno morivano moltissime persone. I malati erano così tanti e gli ospedali così pieni che non c’erano posti nelle camere, perciò venivano sistemati nei corridoi. I pazienti arrivavano al pronto soccorso con le ambulanze, ma queste non ripartivano più perché non avevano la disponibilità di barelle per prendere gli altri malati. Ricevevamo migliaia di telefonate al giorno da parenti che volevano riabbracciare i loro cari. «Come sta mio figlio?», «Come sta mio papà?», «Come sta mia mamma?» A queste domande rispondevamo tutti in modo semplice e fiducioso con un «Andrà tutto bene!» Non so quanto ci credessero le persone che ascoltavano le nostre risposte. Solo in un mese erano decedute centinaia e centinaia di persone e solo alcuni fortunati erano riusciti a salvarsi. Noi infermieri, come i dottori trascorrevamo anche tutta la giornata in ospedale.

Un giorno mi stavo sistemando per andare a dormire, era il quarto giorno di seguito che dormivo con i miei colleghi. Iniziai a sentire delle urla seguite dal rumore delle porte che sbattevano. «Papà, papà! Dove sei?» diceva una voce sempre più vicina. Io e i miei colleghi andammo a vedere chi fosse e ci sorprendemmo quando vedemmo un ragazzino singhiozzante. Era basso e magrolino, aveva i capelli biondo-oro, gli occhi azzurri e il viso ovale, solcato da rivoli di lacrime. «Ehi bimbo! Che ci fai qui?» dissi io. «S-sto cercando il mio papà!» mi disse mentre piangeva. «Lavora in questo ospedale ed io a casa non ho nessun altro con cui stare, vi prego fatemi vedere il mio papà per sapere se sta bene!» Da subito ci commuovemmo per lui; era raffreddato e pallido, lo portammo in una stanza in isolamento. «Dove mi state portando?» diceva. «Quand’è l’ultima volta che hai visto tuo padre?» chiese Alfonso, senza curarsi della domanda fatta in precedenza dal ragazzo. «Ieri» disse il ragazzo. «Anche lui è un medico e quel giorno al telefono mi aveva detto di fare il bravo perché non riusciva a tornare a casa a

Michael Muia è nato il 30 ottobre del 2008 e vive a Milano con la sua famiglia. Michael frequenta il terzo anno della Scuola Secondaria di I Grado dell'Istituto Comprensivo Console Marcello. L'anno prossimo frequenterà un Liceo scientifico a indirizzo sportivo.

Jeremy Faustino lavora come rider per pagarsi l'affitto. Il suo lavoro è molto faticoso ma non ha altre vie di scampo. Un giorno venne a sapere dal telegiornale che il coronavirus era giunto anche in Italia. Quella notizia gli cambiò la vita.

16.00 per il resto della settimana, ma dopo ho saputo che tornava alle dieci invece. Si portava ogni giorno il pranzo ma poi mangiava con noi il cibo dell’ospedale. «Dr. Miller lei deve vedere il Dr. Marco! il paziente è morto, e noi non possiamo entrare a fare il nostro lavoro». Mi disse l’infermiere Sironi. Era molto strano perciò immediatamente andai a vedere. «Marco, cosa c’è, rispondi cosa c’è, perché stai piangendo!» «È morto Dr. Miller, mio fratello è morto!» rispose. «Non so che dirti se non che mi dispiace. Adesso ti lascio da solo» gli dissi, poi mi rivolsi ai colleghi dicendo: «sentite lasciatelo da solo adesso, povero Marco i suoi genitori sono morti in un incedente stradale&nbsp;quando

frequentava la quinta superiore, e suo fratello maggiore era come un padre per lui. Non so proprio cosa fare per lui, povero Marco!» Non ho avuto nemmeno il tempo di riprendermi dopo quella notizia che sentii urlare il mio nome: «Dr. Miller aiuto! Il Dr. Marco è impazzito, non sappiamo cosa fare, prepari un'iniezione di sedativo e venga subito!» «Sì dottore, arrivo. Mi dispiace Marco, non ho altra scelta», fui costretto ad intervenire. Marco si rilassò&nbsp;un po’, ma dopo la morte di suo fratello, era quasi distrutto.&nbsp;Walter per Marco, dopo la morte dei genitori, era tutto ciò che gli rimaneva. Lavorava all’Assel dove è stato contagiato.

Il Covid-19 Tutto comincia il 9 Marzo

Mario uno studente della scuola IIS Paolo Frisi. Con l'inizio del Covid-19 tutte le sue abitudini sono cambiate: non può più andare in palestra e si allena a casa, al posto di andare a scuola fa la DAD. Un giorno mentre faceva la spesa Mario riceve una bruttissima notizia: suo fratello aveva preso il Covid. Mario ci rimase male 

scarpe da ginnastica.&nbsp;Di solito era molto vivace e curioso, infatti, prestava molta attenzione agli strumenti che venivano utilizzati in ospedale e sul modo di lavorare degli infermieri e dottori. Sul polso portava 2 braccialetti: uno con su scritto ‘Andrà tutto bene’ e l’altro, che aveva stampato all’ingresso, con le sue informazioni personali. «Quanto tempo gli resta ancora? Sta bene, vero?» chiese la madre del piccolo all’infermiera, mentre una lacrima le rigava il viso.&nbsp; «Si signora, non si preoccupi, suo figlio è un guerriero, andrà tutto bene!» I giorni passavano e i dottori continuavano con le loro indagini cliniche. «Signora, i dottori hanno analizzato i risultati degli esami e

hanno diagnosticato una patologia che colpisce 1 persona su 100.000»&nbsp;disse l’infermiera Salerno alla madre di Selton.&nbsp; «Oh mio Dio! Quindi mio figlio morirà?»&nbsp;disse la madre del piccolo rivolgendosi all’infermiera che rispose: «No signora, andrà tutto bene, non perderà Selton!» La salute del piccolo peggiorava di giorno in giorno,&nbsp;finché una sera venne a mancare. «Signora, le mie più sentite condoglianze, il piccolo non ce l’ha fatta» annunciò l’infermiera Salerno alla madre del piccolo. «Tutta colpa vostra! Sapevo che quell'‘Andrà tutto bene’ non aveva un senso!»&nbsp;disse la madre. «Signora, i medici hanno fatto di tutto per tenere in vita suo figlio,

Mazen Hassan è nato a Milano l'8/03/2008. Sin da piccolo molto vispo esprime tutta la sua vivacità nel libro "Distruggiamo questo virus!". Attualmente frequenta la classe terza presso la Scuola Secondaria di I Grado "Colombo" a Milano.

A un ragazzo nel periodo della pandemia viene comunicato che suo zio, Alberto, è il primo contagiato da un virus inizialmente sconosciuto: il SarsCov-2.

Non appena l’uomo entrò, tutti si allontanarono e anche la famiglia di Clarissa evitò di avvicinarsi troppo a lui. La mamma di Clarissa le afferrò la mano e provò ad uscire dal supermercato. Per fortuna, le porte erano aperte e fuori c’erano già la polizia, l’ambulanza e della gente vestita di bianco arrivati per prendere l’uomo vestito di nero. Clarissa non sapeva che l’uomo aveva il Covid e che tutti si allontanavano da lui solo per proteggersi e per non essere contagiati. Il Covid era una malattia che ormai faceva parte della nostra vita, che ha infestato tutto il mondo.

Passavano i giorni, le settimane e i mesi, e il virus contagiava migliaia di persone aumentando la sua pericolosità. La pandemia da Covid era iniziata nel 2019, quando Clarissa aveva 12 anni. Adesso ne ha 14 e a distanza di due anni sono stati trovati dei vaccini che aiutano a tenere sotto controllo la pandemia. I vaccini non garantiscono una protezione al 100%, quindi, anche se vaccinati è necessario comunque stare attenti. Difficile stabilire il giorno in cui saremo liberi dalla pandemia e dalla mascherina, che non ci permette quasi di respirare, ma speriamo che finisca molto presto.

C'è ancora speranza

Editrice Scuola Secondaria di I Grado "Colombo" 3A

A tutti quelli che hanno dovuto sopportare la perdita di un caro, a tutti quelli che hanno dovuto sopportare la distanza da un caro, a tutti quelli che continuano a soffrire, a tutti quelli che stanno continuando a combattere e a tutti quelli che sono stati i più fortunati, ricordatevi che, per qualunque cosa, c'è sempre speranza. Continuate a camminare a testa alta, non arrendetevi mai!

Essendo cresciuta in una famiglia menefreghista e fredda nei miei confronti, avrei odiato lo stesso comportamento da parte dei genitori del ragazzo. Meglio essere insultata a questo punto, mi ripetevo, sperando che questo mio ragionamento avesse un qualche senso. Le settimane passarono e il ragazzo non sembrava avere intenzione di migliorare e la situazione era diventata insopportabile. Ricevevo insulti e minacce dai genitori e vidi decine e decine di famiglie crollare al mio «Non ce l'ha fatta, condoglianze». Non vedevo la mia di famiglia da un tempo che sembrava infinito. E quel ragazzo non si riprendeva, non migliorava, e le ricerche non portavano a niente.

Ogni volta che appariva un po' di luce, migliaia di nuvole nere la coprivano. La speranza c'era, però. Perché quando stavo notti insieme ad Emily per cercare nel nulla un qualcosa, io ci credevo. Daniel era scettico, lo era sempre stato, lui non ci credeva, lo capivo da come aiutava me ed Emi, dalla superficialità con cui lo faceva, dalla noncuranza che ci mostrava. Ma come biasimarlo, era stanco e non aveva mai voluto fare davvero il medico, i suoi genitori lo avevano voluto per lui, ma la vedevo la scintilla nei suoi occhi ogni volta che si parlava di legge. E chissà se la speranza si era accesa in lui quando sentimmo Emily gridare «Ce l'abbiamo! Il vaccino ce l'abbiamo!»

Pensavo ai miei genitori, ai miei fratelli e a mia sorella, non volevo mettere la loro vita in pericolo.&nbsp;&nbsp; Non avrei mai voluto che quel virus potesse contagiarci, ma c’era poco da fare e così mi consolavo riflettendo sul fatto che “sarebbe andato tutto bene”. Da quel giorno cominciai ad occupare il mio tempo come potevo: vedevo le serie tv, leggevo storie scritte da altri, studiavo le funzionalità di nuove applicazioni e così passavo il mio tempo... giocavo, ballavo, disegnavo, ascoltavo la musica, cucinavo, mangiavo, dormivo anche e tanto, talvolta troppo, e mi svegliavo un po’ nervosa e seccata. Sì, mi seccava molto non poter vedere i miei amici, la casa e la famiglia non mi bastavano e mi sembrava tutto triste e senza speranza. Altre volte poi ero proprio furiosa. Cercando di recuperare la mia sensibilità dicevo tra me e me: “Devo pensare agli altri” e mi dedicavo ad altre attività per far passare nel miglior modo possibile il tempo. A volte mi piaceva il fatto di non andare a scuola, ciò mi permetteva di godere del ritmo lento delle giornate, stare con la mia famiglia, i miei fratelli, mia sorella, altre volte, invece, la scuola mi mancava, pensavo a tutto, ai banchi, alle sedie, al suono della campanella, ai miei compagni, ai professori.&nbsp;

Sentivo di essere tanti me diversi: il minuto prima ero allegra e spensierata, il minuto dopo una persona senza speranza e triste. Arrivata l'estate la situazione pandemica migliorò. Il virus dilagante continuava ad impedirmi di uscire come prima, ma mi consolava il fatto che nessuno della mia famiglia si fosse ammalato. Ero sempre più stanca, ma pensandoci mi facevo incoraggiare dal fatto che tutto sarebbe passato, come era passata qualunque cosa fino ad ora.&nbsp; Trascorso qualche giorno lo Stato permise di uscire almeno nei cortili delle proprie abitazioni. Anche il fatto di essere potuta andare una volta a fare la spesa con i miei mi rendeva felice. Stavo incominciando ad apprezzare le piccole cose, quelle che fino ad ora avevo dato per scontate: tutto acquistava valore, ogni momento, ogni secondo. Piano piano, senza accorgercene, stavamo riuscendo a convivere con questo virus e tutto stava passando, anche se lentamente.

Nous Kirolos è nato in Egitto (Assiut) il 15/07/2007. Ha 14 anni, vive con la sua famiglia, frequenta il terzo anno della Scuola Secondaria di I grado presso l'Istituto Comprensivo Console Marcello. E' sempre gentile con gli altri, allegro e educato. Gli piace stare con gli amici. Le sue passioni sono: giocare a calcio, ascoltare musica e stare con la sua famiglia.

Il romanzo racconta di un Dottore chiamato Andrea Sacco che lavora in un ospedale.

l rumore dei documenti che venivano sfogliati

riempiva la stanza elegante, ben arredata, non troppo piccola né grande, sembrava lo studio di qualche riccone. All'interno c'erano due persone abbastanza alte e magroline. Entrambi portavano una divisa ospedaliera ed entrambi erano indaffarati con il proprio lavoro, nonché dovere. Erano troppo impegnati a capire il dà farsi per iniziare una conversazione. Il dottor Fernet, che era seduto su una sedia girevole, aveva capelli di color castano scuro, che gli arrivavano pari al collo, sebbene non si capisse dato che erano raccolti dentro una cuffia sanitaria. Gli occhi erano di un rarissimo&nbsp;color ambra che lo rendevano dieci volte più affascinante di quello che già era. Peccato per il fatto che sembravano morti da tempo. Teneva saldamente in mano dei fogli. L'altra era una sua collega, la dottoressa Tanduay che stava cercando qualcosa tra gli scaffali. Da dentro la cuffia che

Solo dopo mesi i casi di Covid sono diminuiti e il governo ha comunicato che le persone potevano uscire continuando a rispettare le regole anticovid.&nbsp; Il lavoro attento e assiduo della comunità scientifica ha permesso di trovare un vaccino messo a disposizione di tutta la popolazione. Le persone vaccinate hanno potuto avere il Greenpass, un certificato che ha permesso di tornare ad una quasi normalità. Il Greenpass, rilasciato dopo aver fatto il vaccino o un tampone molecolare,&nbsp;serviva per viaggiare ed entrare dentro i ristoranti ma anche per spostarsi con i mezzi pubblici. Anche le scuole stavano per riaprire quindi molti studenti si preparavano per frequentare le lezioni in presenza. Era sabato e Marco era uscito. Per la prima volta in giro vedeva tutte le persone con la mascherina, alcune erano già state vaccinate e presto anche lui lo sarebbe stato. Vide Alberto con alcuni dei suoi compagni e finalmente si sono potuti salutare guardandosi direttamente negli occhi, senza uno schermo che li dividesse.

Marco tornò a casa felice e ad aspettarlo trovò la mamma e la nonna che stavano guardando la televisione. Era da tanto che non vedeva la sua nonna e le raccontò le esperienze fatte durante la quarantena. La nonna, a sua volta, gli confessò quanto le era mancato, a causa del fatto che non si erano potuti vedere, ma anche di quanto fosse ancora preoccupata perché c’erano tantissimi anziani che rischiavano la vita. Mentre chiacchieravano un servizio trasmesso alla televisione attirò la sua attenzione. Mostrava un gruppo di persone che protestavano perché non volevano fare il vaccino. Queste sostenevano che era un modo per impiantare nelle persone un microchip attraverso il quale ognuno sarebbe stato controllato costantemente. Ma erano solo delle sciocchezze! E lui ne era convinto. La settimana successiva Marco e i suoi compagni erano già potuti tornare a scuola. Mentre aspettavano il suono della campanella&nbsp;vicino al cancello si sono fatti delle sane risate, come ai vecchi tempi.

Rahma Nasser, nata il 24/05/2008, ha 13 anni e vive a Milano insieme alla sua famiglia. Frequenta la terza media presso l'IC Console Marcello di Milano. Nel suo romanzo La quarantena racconta un po' delle sue esperienze vissute durante il periodo della pandemia, ma esprime anche delle sue opinioni personali. Il racconto autobiografico, infatti, è scritto in prima persona. Descrive anche il suo carattere e l'amore che ha verso la sua famiglia. In breve racconta di due lei diverse.

Rahma, una ragazzina di 13 anni, vive un periodo difficile in cui prova diverse emozioni che non riesce a descrivere e a gestire. Per colpa di quel periodo perde la sua vita sociale e diventa più sola. Nel frattempo, però, migliora il rapporto con i suoi fratelli e soprattutto con sua sorella: diventano non solo amiche, ma migliori amiche (oltre ad essere sorelle).

Mario era uno studente studioso della scuola IIS Paolo Frisi, ed è stato a casa per svariati giorni per colpa del Covid-19. Si allena 3 ore al giorno per stare in forma, qualche volta esce per incontrare i suoi amici, parenti o a fare compere. Un giorno però successe che suo fratello Giacomo prese il Covid-19 e i genitori scoppiarono a piangere. Dopo 5 mesi gli scienziati trovarono una cura e dopo 1 mese la poterono produrre in massa. Con la scoperta del vaccino tutte le persone del mondo hanno avuto la possibilità di vaccinarsi. Purtroppo il fratello di Mario era morto già da 3 mesi e i suoi parenti non hanno avuto la possibilità di pagare il funerale.

Matteo Hu Jin Hao, nato il 3 Novembre 2007, vive a milano

Siamo a Trapani, il dottor Andrea Sacco è un giovane medico alto e con i capelli marroni. È fidanzato con Manuela, una maestra bassa con i capelli neri e corti.&nbsp;Lei è una brava donna molto simpatica. Anche lei ha paura di questa nuova malattia. Vorrebbero sposarsi,&nbsp;avere un figlio ma poi avrebbero paura anche per lui. Il dottor Sacco é preoccupato perché molte persone si stanno ammalando di Covid, una malattia infettiva causata dal virus SARS-CoV-2. La maggior parte delle persone che contraggono il virus sviluppa sintomi lievi o moderati e guarisce senza avere bisogno di cure particolari, tuttavia, alcune sviluppano una forma di malattia grave.&nbsp; Il dottor Sacco ha 38 anni e fa il dottore da 10 anni. Ha fatto amicizia con tre persone: Pietro, Paolo e Giovanni. Pietro é un dottore come Andrea e ha studiato medicina con lui. Giovanni e Paolo sono infermieri nell'ospedale dove lavora Andrea.

Chen Xu Zhen ha 13 anni ed è nata a Desio (Monza) il 14 marzo 2008. Vive a Milano con la sua famiglia e frequenta la Scuola Secondaria di I Grado. Ha scritto questo romanzo con l'aiuto delle sue amiche e dell'insegnante di lettere. E' una persona molto simpatica, le piace stare con gli amici ed è molto amichevole. la sua più grande passione è ascoltare la musica.

Questo romanzo parla di una ragazza che vive in un orfanotrofio e ha incontrato molti amici. Un giorno Linda è stata contagiata dal virus ed è morta dopo pochi giorni. I tre sono scappati dall'orfanotrofio e hanno incontrato una vecchia nonna e li ha adottati tutti e tre.

Clarissa si era appena trasferita a Monza con la sua famiglia. Era&nbsp;una ragazza gentile, timida e curiosa. Un giorno, lei e i suoi genitori&nbsp;andarono al supermercato perché si accorsero di non avere più abbastanza provviste. All’entrata del supermercato c’era una fila lunga almeno tre metri. I genitori di Clarissa, si diressero verso un altro supermercato, ma anche lì la fila era interminabile. La famiglia della giovane non aveva altre opzioni, quindi decise di restare. La ragazza si guardò un po’ in giro, le strade erano deserte, le persone tutte spaventate indossavano una mascherina come disposto dalle norme anti-contagio.

Andrea Beffasti Il piccolo virus che ha segnato la storia

IL PICCOLO VIRUS CHE HA SEGNATO LA STORIA

Scuola Secondaria di I Grado "Colombo" 3A 

Arrivata a scuola notò subito un cambiamento: tutti i banchi erano separati, perciò cercò il suo e mise lo zaino per terra . Arrivò il prof e Chiara si alzò, il prof fece l'appello e iniziò a parlare delle nuove regole per contrastare il Covid. «Buongiorno ragazzi, oggi prima di iniziare con la lezione ritengo opportuno farvi presente le nuove regole della scuola. Come potete vedere ci sono dei segnalini sotto il banco, servono per indicarvi dove dovrà rimanere posizionato il vostro banco. Dovrete mantenere queste distanze, poi ragazzi non potrete assolutamente abbassarvi la mascherina, se non per consumare la merenda durante l'intervallo, e sarà necessario igienizzarsi spesso le mani». Nel mentre Chiara vagava tra i suoi pensieri e si guardava intorno come se fosse qualcosa di meraviglioso, anche perché sapeva che il rischio di ritornare in dad sarebbe potuto presentarsi anche il giorno dopo.

«Se tutti rispetteremo le regole, usciremo più in fretta dall’emergenza. Il Paese ha bisogno della responsabilità di 60 milioni di italiani che quotidianamente compiono piccoli, grandi sacrifici. Rimaniamo distanti oggi, per abbracciarci domani. Fermiamoci oggi per correre più veloci domani. Tutti insieme ce la faremo» disse Conte nella conferenza stampa che era stata appena trasmessa in TV. Da quel giorno i turni diventarono sempre più infernali. Ogni giorno pedalavo in tutta Milano per fare consegne, i turni erano così stancanti che arrivai quasi al punto di abbandonare tutto, ma non avevo altri modi per pagarmi l’affitto. Tutto si era fermato tranne alcuni servizi essenziali, e il mio lo era.

Dette queste ultime parole, la chiamata s’interruppe e decisi di andare di corsa all’ospedale dove Paolo era ricoverato. Presi la bici e, in fretta e furia, pedalai per raggiungere l’ospedale. Non appena arrivai, all’entrata trovai la madre di Paolo. Continuava a piangere e a tossire. In lontananza vidi un’infermiera, sembrava un’astronauta a causa delle misure di protezione che indossava. Corsi da lei e le chiesi dove si trovasse la stanza di Paolo Bianchi. Mi disse che non potevo entrare, che i reparti erano chiusi alle visite, onde evitare nuovi focolai di contagi, e mi rassicurò dicendomi che tutto si sarebbe risolto. Appena tornai a casa accesi la TV: «Milano è ufficialmente in zona rossa, è iniziato il lockdown» annunciò la giornalista.

Editrice Scuola Secondaria I Grado Colombo 3A

Era il 23 gennaio ed ero qui, all’ospedale Niguarda, dove lavoravo da venti anni. Mi rendevo conto di saper fare benissimo il mio lavoro, ma se il nuovo virus cinese fosse arrivato fino a qui non avrei saputo proprio che fare; avevo tanta paura. Solo questa settimana avevo fatto più di una spesa all’Esselunga, al Lidl, alla Coop per timore di rimanere senza provviste. Avevo paura per le persone, per me, ma soprattutto per la mia famiglia.&nbsp; «Buongiorno Dr. Miller», sentendo il mio nome mi voltai. «Buongiorno Marco».

«Ha sentito le nuove notizie?» mi chiese. «No Marco, sono qui da ieri sera», risposi. «Sui giornali c’è scritto: “Inizia il primo&nbsp;lockdown di massa&nbsp;della storia.&nbsp;60 milioni&nbsp;di persone appartenenti alla provincia di Hubei, di cui 11 nella sola città di Wuhan, entrano in un rigido lockdown. Strade deserte e servizi ridotti al minimo. Le immagini che giungono dalla Cina sembrano quelle di un film”». Nessuno, nemmeno lontanamente, poteva immaginare che le stesse misure sarebbero state adottate anche nel nostro Paese poco più di un mese e mezzo dopo.&nbsp;Nelle settimane successive, al virus è stato dato un nome:&nbsp;Sar-Cov-2.

Marco era un ragazzo molto socievole e simpatico, amava giocare con i suoi compagni di classe, soprattutto con il suo migliore amico Alberto, era alto ma magro, con gli occhi marroni e i capelli castani.&nbsp; I casi stavano aumentando, molte persone morivano, altre perdevano il lavoro non riuscendo a mantenere la propria famiglia, gli ospedali erano sempre pieni di pazienti ammalati con ambulanze che partivano e rientravano l’una dietro l’altra, e i supermercati erano sempre pieni di persone in fila solo per comprare il cibo. Le scuole erano chiuse e gli studenti non potevano andarci. In attesa di ricevere comunicazioni sulle soluzioni pensate per continuare le lezioni, molti studenti trascorrevano le giornate giocando ai videogiochi oppure davanti alla televisione.&nbsp; La scuola ha reagito, si è reinventata e ha iniziato a proporre lezioni online. Purtroppo alcuni studenti non avevano internet o il telefono ma, fortunatamente, Marco si. Con le lezioni online Marco finalmente poteva rivedere i compagni, anche se lui avrebbe preferito vederli in presenza.

Erano tutti presenti tranne Alberto che era ancora ricoverato in ospedale. Ogni giorno chiedeva alla sua mamma notizie sulle condizioni di salute di Alberto che mancava ormai da due settimane. Alberto era&nbsp;un ragazzo molto gentile, aiutava tutti i compagni che avevano bisogno di aiuto perché era una persona molto disponibile. Un giorno, finite le lezioni, arriva il messaggio tanto atteso:&nbsp;Alberto era guarito. L’amico gli scrive che fra tre giorni poteva già tornare a casa e iniziare a frequentare le lezioni online. La mamma di Marco era un’infermiera, i reparti erano stracolmi di pazienti ricoverati e lei doveva fare dei turni estenuanti. Si vedevano pochissimo perché quando rientrava era stanchissima e a malapena riusciva a fare una doccia prima di crollare. A volte mancava giorni interi da casa per coprire i turni di colleghi mandati in isolamento perché avevano contratto il virus. Marco era impegnato con le lezioni e questo lo faceva distrarre dalla situazione tragica che si andava aggravando.&nbsp;

Davide è nato a Milano il 13 maggio 2008, ma è un ragazzo italo/romeno. In lui convive un misto di culture che rende i suoi libri speciali. Ama l'avventura e la natura. I suoi sono libri pieni di suspance e di tante emozioni.

Un virus sconosciuto sconvolge la vita di tutti, in particolare dei medici. In questo romanzo si vede il percorso che si fa per sconfiggerlo, lottando tra tristezza e solitudine. Riusciranno nel loro intento?

Era sera e il giorno dopo Chiara doveva ritornare a scuola. Aveva appena concluso il periodo di quarantena ed era ansiosa di rivedere i suoi compagni e di ritornare a studiare normalmente. Appena sveglia si preparò subito e scese giù in cucina di corsa per fare colazione, ma si rese conto che avrebbe rischiato di arrivare in ritardo, perciò salutò il padre e messasi lo zaino in spalla disse: «Paa... io sto uscendo, non faccio colazione altrimenti rischio di arrivare in ritardo, e proprio oggi non voglio, è un giorno importante, ci vediamo dopo ... ti voglio bene» Chiara si avviò verso scuola, contenta, finalmente, di poterci andare; era stanca di restare a casa, dietro uno schermo tutto il giorno .

Dedicato a tutte le persone che sono andate avanti durante il periodo del lockdown.

Capitolo I TUTTO È INIZIATO COSI’ … Federico, un ragazzino di 12 anni, frequenta la seconda media, è un ragazzo che ama stare con gli amici, tutti lo considerano simpatico e un buon amico, pronto ad aiutare chi ne ha bisogno, ma è anche abbastanza chiuso, fa fatica a confidarsi e teme molto il giudizio degli altri, è testardo e molto distratto. Federico ama stare nella sua cameretta che divide con la sua sorellina Serena di 4 anni, qui lui riesce a rilassarsi e tranquillizzarsi quando è nervoso ascoltando la musica e palleggiando con il suo pallone di gommapiuma. Sì, la sua passione è il calcio e non potrebbe mai rinunciare a dare un calcio al pallone. È una normale domenica di fine febbraio 2020, fuori fa freddo e il cielo è grigio.&nbsp;

Un giorno di gennaio, mentre la mia vita procedeva come sempre, mi sono ritrovata davanti al virus in persona: il Coronavirus. Questo apparteneva ad una famiglia di virus, noti perché causa di malattie che andavano dal semplice raffreddore a infezioni&nbsp;più aggressive. Cosa potevo fare? Sono rimasta in casa. La mia casa era composta da due camere da letto, un bagno, una cucina, un salotto ed un corridoio. Nonostante fosse piccola per otto persone, infatti molte volte finivamo per litigare tra di noi, cercavo in tutti i modi di resistere.

Era venerdì sera, e mi stavo dirigendo alla pizzeria La Costiera per l'ultima consegna del giorno. Una volta arrivato, attesi fuori per circa 20 minuti finché la pizza non fu pronta e subito la misi nel mio zaino, ciò che mi distingueva da un normale ciclista. Quella sera ero diretto in Viale Lanza. Il solo fatto che l’indomani non avrei fatto le consegne mi faceva sentire impaziente. Dopo una lunga e continua pedalata raggiunsi l'indirizzo della consegna, parcheggiai subito la mia bicicletta e suonai il citofono. «Buonasera, ordine 447?» dissi io tutto d'un fiato.&nbsp; «Si buonasera, sono una persona con disabilità, può salire al quinto piano?» «Si certo, non si preoccupi... Arrivo». Sfortunatamente l’ascensore del condominio era guasto perciò non mi restava altro da fare che usare le scale.

Arrivato al quinto piano bussai alla porta, il signore, probabilmente un 70enne, mi aprì e mi chiese di attendere un attimo per andare a prendere i soldi. Dalla porta riuscivo a vedere la sua TV che stava trasmettendo le ultime notizie del giorno. «Allarme Coronovirus! Il virus è arrivato in Italia portato da due turisti cinesi provenienti da Wuhan. Primo caso anche nella nostra penisola». Dopo quelle parole arrivò l’uomo che mi pagò, gli diedi il resto e me ne andai frettolosamente. Arrivato al quinto piano bussai alla porta, il signore, probabilmente un 70enne, mi aprì e mi chiese di attendere un attimo per andare a prendere i soldi. Dalla porta riuscivo a vedere la sua TV che stava trasmettendo le ultime notizie del giorno.

Era sera. Avevo perso il conto delle ore da molto tempo ormai. L'ospedale era completamente affollato, infermieri che correvano da una parte all'altra dell'edificio e io a malapena sapevo dove dovevo andare. In verità lo sapevo benissimo, ma l'agitazione giocava brutti scherzi. Anche perché l’ospedale era decisamente grande e ci si perdeva facilmente tra quei corridoi bianchi e spogli, ma sempre pieni di gente, soprattutto nell’ultimo periodo. Qua e là, sui muri, era attaccato qualche disegno fatto da dei bambini durante i vari eventi di beneficenza. Sei piani pieni di stanze sempre occupate da pazienti e dottori. Qualche anno prima che io iniziassi a

lavorarci ci fu un terribile incendio che tolse la vita ad un centinaio di persone tra fumo, ustioni e crolli di corridoi o scale. Infatti, adesso le porte d’uscita d’emergenza sono sparse un po’ ovunque e gli allarmi antincendio sono sempre all’angolo. Lavoravo in quell'ospedale da cinque anni che, tra alti e bassi, erano passati tranquillamente. Eppure l'ultima settimana di febbraio fece iniziare uno dei periodi più brutti e sofferenti che abbia mai dovuto affrontare. Vedevo ogni singolo giorno persone lottare, guarire e morire a causa di un virus, il SarsCoV2. I primi casi li avevamo presi tutti sottogamba, ma pian piano la situazione si era aggravata sempre di più. La maggior parte delle persone che contraggono il virus sviluppano sintomi lievi o moderati e guariscono senza avere bisogno di cure particolari.

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ma come può vedere la situazione è difficile da gestire» spiegò affranta la Salerno. «Tutte bugie! Voi mentite alle persone!» urlò la madre del piccolo andandosene. La morte del piccolo Selton aveva lasciato un segno nella vita dell’infermiera, un segno così importante che le dava la grinta e soprattutto la spingeva a lottare contro quell’atroce virus che terrorizzava tutti. Nella sua testa c’era una frase che si ripeteva ogni volta prima di entrare nell’ospedale: ‘‘Noi vinceremo questa battaglia, virus non ti temiamo’’.&nbsp;

Io e miei colleghi abbiamo pensato che usare le stesse cure anche sugli altri pazienti, visto il suo migliorare, potesse essere una soluzione. Era forse la luce alla fine del tunnel? O ci stavamo solo illudendo? Molti nostri colleghi, anche in pensione sono tornati in servizio per darci una mano. Mi capitava di discutere con il dottor Borgese, un medico con tanti anni di esperienza, sul caso Miranda, anche lui era ottimista, mi diceva: «Ottimo lavoro, pensiamo positivo, ne abbiamo bisogno tutti». Ma poi da quella stanza: beeeeeeeeeppp

La situazione nell’ospedale Niguarda, clinica in cui lavorava l’infermiera Salerno, stava degenerando. Tutto iniziò nel febbraio 2020. A quel tempo tutti erano ignari del fatto che stava per iniziare una vera e propria pandemia, causata dal virus SarsCoV2 che oltre a colpire le persone fisicamente, le segnò anche psicologicamente. La situazione era terribile: il numero dei contagi era in continuo aumento, tutti furono costretti a rimanere a casa, quando si usciva per motivi di lavoro o per urgenze bisognava indossare la mascherina, i supermercati erano affollati e fuori di essi bisognava fare delle file lunghissime prima di poter entrare. Si può dire che in questa situazione i più fortunati erano coloro che avevano un cane, perché avevano una valida scusa per uscire e non restare a casa. Era il periodo dell’indimenticabile lockdown.

Il Covid – 19 ha un’origine veramente sconvolgente, si pensa, infatti, che il virus sia arrivato a contagiare anche l’uomo a causa di un animale: il pipistrello. Il virus in men che non si dica dalla Cina è dilagato in tutto il mondo. In Italia è arrivato insieme a due turisti provenienti dalla Cina, entrambi positivi alla malattia. Un medico cinese, Li Wenliang, aveva previsto le terribili conseguenze che il virus avrebbe scatenato, ma nessuno gli ha dato credito.&nbsp; Una delle infermiere più brave e disponibili di tutto l’ospedale era senza dubbio l’infermiera Salerno, sempre pronta a sacrificare tutto quello che aveva per il bene dei pazienti. La donna aveva compiuto di recente trentaquattro anni ed era una delle poche infermiere, in tutto

Emma, Elena ed Elisa erano preoccupate per lei e temevano che non sarebbero riuscite nemmeno a dormire serenamente. Linda non si alzava più in piedi, sembrava che stesse per morire. Prima di andarsene riuscì solo a dire ad Emma e agli altri, con un fil di voce, che era molto contenta di averli incontrati e sperava che lo sarebbero stati anche loro quando non ci sarebbe stata più. Linda se ne andò e tutti sconvolti piansero a lungo. Emma disse loro che dovevano scappare, che non potevano più restare lì. Temeva che se fossero rimasti avrebbero fatto la stessa fine di Linda. Tutti d’accordo decisero di scappare l’indomani sera.&nbsp; Emma ha chiesto a loro di portare torce e vestiti. Sono scappati mentre tutti dormivano,

pur non sapendo dove andare e cosa fare, visto che non conoscevano il mondo esterno, perché avevano sempre vissuto in un orfanotrofio. Durante la loro fuga incontrarono una vecchia che era appena caduta a terra. Immediatamente la aiutarono a rialzarsi. La vecchia li ringraziò molto e chiese loro: «perché siete qui? Perché non andate a casa?» Noi rispondemmo che non avevamo una casa perché eravamo orfani. Dopo aver sentito questo, la nonna provò un forte sentimento di pietà e volle accoglierli. Chiese loro se volevano andare a casa sua. Emma e gli altri ragazzini acconsentirono senza sapere dove stessero andando. La nonna sorrise felice. Emma e i suoi amici furono adottati dalla vecchia signora che si prese cura di loro facendo di tutto per proteggerli dalla minaccia del virus.

Emanuele Sacco Periodo Buio 2022 Editrice Scuola Secondaria di I Grado "Colombo" 3A

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A tutte le persone che hanno fatto di tutto per salvaguardare la nostra sicurezza durante la pandemia.

A tutti i medici e infermieri che hanno aiutato tante persone a guarire dal Covid-19. A chi ha perso persone importati a causa del virus.

Marco è un ragazzo in quinta liceo. Marco deve fare gli esami ma improvvisamente fu contagiato dal covid e diventò in una situazione critica. Lui racconta come affrontò quel periodo, come si sentiva avendo il covid e come è riuscito a passare gli esami.

Hgage Menatalla È una studentessa di 13 anni. Ha origine egiziane ma vive in Italia da due anni e mezzo. Le piace leggere i libri e imparare le lingue. Ha frequentato la scuola primaria in Egitto, adesso frequenta la terza media ed è iscritta ad un liceo scientifico tradizionale a Magenta dove vive con la sua famiglia composta dai genitori, lei, 2 fratelli e una sorella. Vuole continuare il suo percorso di studio nel campo scientifico e la sua scelta è stata influenzata dalla presenza del Covid perché desidera essere una di quelli che aiutano a salvare il mondo da questo virus.

E’ tutto cambiato da quel giorno, noi siamo cambiati, anche l’ospedale&nbsp;e i suoi reparti non sono piu’ gli stessi: c’è aria di morte, tristezza e solitudine. Per cominciare sono tutti isolati, non si sentono più le voci dei parenti che vengono a trovare i pazienti, noi stessi non sembriamo più persone, sembra di essere in un luogo dove è appena esplosa una centrale nucleare. Indossiamo la nostra classica divisa, con ai piedi le ciabatte coperte dai calzascarpe, tipo quelle da sala operatoria, la cuffia, due paia di guanti, a volte anche tre, due mascherine, una chirurgica e una FfP2, la visiera, e la parte peggiore: la tuta doppia plastificata anti Covid, che fa stare davvero male perché ci fa sudare tantissimo. Nulla deve essere scoperto, ogni parte del corpo deve essere coperta, e quando dobbiamo cambiarci dobbiamo farlo in una stanza speciale dove possiamo buttare tutto in un bidone per rifiuti infetti. Ovviamente dobbiamo continuamente disinfettarci le mani.

Da quando tutto questo è iniziato, non vedo più la mia famiglia di persona, ma solo tramite&nbsp;videochiamata per non metterli a rischio e, come me, anche tutti i miei colleghi e gli infermieri. Il nostro ospedale è diventato in breve tempo un centro Covid e io e il mio collega dottor De Luca, ci siamo subito resi conto di quanto grave fosse la situazione. Ricordo che un giorno mi disse: «Non possiamo andare avanti così, sono più i pazienti che perdiamo che quelli che riusciamo a far tornare a casa». Era vero, aveva ragione! Tutti i reparti erano strapieni di persone che avevano problemi respiratori gravi, molti di loro venivano aiutati da caschi speciali per l’ossigeno, ma la cosa che né io, né i miei colleghi potevamo sopportare era vedere queste persone morire da sole, senza nessuno dei loro cari a tenere loro la mano.

Capitolo I Pandemia

Wuhan, se qualche anno fa ci avessero chiesto dove si trovasse questa città, pochissimi di noi avrebbero saputo rispondere, ma dalla fine di dicembre del 2019, tutto il mondo l’ha conosciuta. No, non per un premio, per un guinnes, ma per un virus, uno di quelli sconosciuti, scappato, sembra, ma non si sa in che modo, da un laboratorio, il suo nome: SARS COV 2 o meglio conosciuto come Coronavirus. Tutto è partito da questa cittadina, e, come accade spesso, non pensavamo potesse turbare in qualche modo le nostre vite. Tutto cambiò in brevissimo tempo, quando a febbraio, verso la fine del mese, al telegiornale annunciarono che in Italia era stato individuato il paziente zero. Da lì io e i miei colleghi abbiamo cominciato a preoccuparci seriamente, perchè, sì, siamo abituati a lottare contro virus, ma sono tutti conosciuti, il Coronavirus, invece, è misterioso e sembra espandersi velocemente; non riusciamo a fermarlo.

Il Covid&nbsp;è una malattia infettiva, che colpisce in vari modi, i sintomi più comuni sono: febbre, tosse, astenia, cioè debolezza muscolare, perdita del gusto e dell’olfatto, mal di gola, mal di testa, dissenteria. Possono presentarsi sintomi meno comuni come macchie sulla pelle, scolorimento delle dita delle mani o dei piedi, occhi arrossati o irritati. Purtroppo abbiamo assistito anche alla manifestazione di sintomi gravi: difficoltà respiratoria o fiato corto, afasia, difficoltà di movimento o confusione, dolore al petto. Solitamente chi ha preso il virus manifesta i sintomi 5 o 6&nbsp;giorni dopo, ma il periodo di incubazione può durare fino a 14 giorni. Sono state varate varie misure di protezione, per cercare di arginare il contagio. Risulta utile e necessario indossare tutti, e non solo noi medici, mascherine, evitare strette di mano e abbracci, tenere la distanza di almeno 1,5 metri dalle persone, entrare in piccoli gruppi nei negozi e soprattutto evitare feste e luoghi affollati. Tutti devono disinfettarsi le mani con l’amuchina o comunque gel a base alcolica, evitare di toccarsi occhi, naso e bocca con le mani.

Ambra Uduwarage è una studentessa che frequenta la scuola media. Aveva 12 anni quando la pandemia è iniziata, e adesso ne ha 14. Non amava la scuola, ma le piaceva molto scrivere i racconti, disegnare e leggere i Manga. "L'assalto ai supermercati" è il suo primo romanzo e lo ha scritto sperando di appassionare il pubblico dei suoi lettori.

Clarissa , una ragazza di 14 anni, va al supermercato per fare la spesa con la sua famiglia , ma lì dentro accade qualcosa di inaspettato...

Dedicato ai bambini che hanno dovuto soffrire e morire a causa del Covid.

Poveri bambini, che avevano la mascherina che ricopriva tutta la faccia! La famiglia di Clarissa, dovette aspettare per quasi due ore in fila. All’entrata del supermercato c’era un uomo che controllava che tutti avessero la mascherina e che la indossassero correttamente, perché altrimenti&nbsp;aveva il compito di fermarli negandogli l’accesso al supermercato.

Finalmente sono riusciti ad entrare. Lì dentro era tutto un caos, c’era gente che voleva prendere l’ultimo barattolino di Nutella, altri che volevano riempire un intero carrello di latte, di acqua e il pane andava a ruba. Tutto d’un tratto Clarissa si accorse di un movimento improvviso all’entrata del supermercato: un uomo, vestito di nero, era appena entrato, senza mascherina e senza energie. A Clarissa sembrava di aver visto uno zombie. L’uomo che vigilava all’entrata, provò a fermarlo senza avvicinarsi troppo. Clarissa chiese a se stessa: “Perché la guardia della sicurezza voleva fermarlo tenendolo a distanza? ”

Sembrava essere tornata la normalità: i professori già dentro la classe ad aspettarli e loro pronti a raggiungere i loro posti lasciati vuoti per troppo tempo. Mancavano solo due mesi alla fine della scuola e già non vedeva l’ora di partire per le vacanze estive con la sua famiglia. Avevano organizzato di andare in montagna a respirare un po’ di aria pura e cercare di dimenticare il dolore che aveva colpito il mondo intero nei mesi precedenti e che ancora era in agguato!

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Mentre tornavo a casa continuai a ripensare a quella notizia. Avevo molta paura che quel virus potesse contagiare i miei cari. La pedalata verso casa fu molto lunga, parcheggiai la bici e andai subito a dormire. Quella notte nella mia mente risuonavano le parole udite in quella trasmissione, ma fortunatamente, seppur a fatica, riuscii a prendere sonno.&nbsp;

Qualche giorno dopo, prima di andare a fare le consegne, decisi di accendere la TV per avere aggiornamenti sulla situazione. «Allerta Covid – 19! Il virus si sta diffondendo in maniera rapida e sconvolgente. È obbligatorio restare a casa». Sempre più scioccato dalle notizie, presi il telefono per chiamare Paolo, il mio migliore amico, per sapere come stesse, quando una chiamata mi precedette: era sua madre. «Buongiorno signora, come sta?» dissi io con aria turbata. «Jeremy! Jeremy! Aiuto, Paolo è ricoverato in terapia intensiva all’ospedale Sacco!» disse la madre tutto d’un fiato. &lt;&lt;Che cosa succede?» dissi io tutto tremante. «Sono circa 4 giorni che fa fatica a respirare, continua a tossire e ha la febbre alta!» «Oddio signora, vedrà che si riprenderà presto, in caso avesse bisogno di qualcosa, mi chiami pure».

Roberto è impressionato da tutto questo e, come tutti i dottori, dedica tutto il suo tempo e le sue forze per cercare di salvare vite. Passando dal corridoio del pronto soccorso sente un lamento, si gira e vede su una barella una giovane donna che piange disperata. Roberto si avvicina: «Ciao, come ti chiami?». &nbsp;«Mi chiamo Giulia» risponde la giovane donna singhiozzando, «Dottore non posso stare qui, a casa ho una bambina di 6 mesi, lei ha bisogno di me, delle mie coccole, devo allattarla, è ancora così piccola, non posso lasciarla da sola con il papà». «Stai tranquilla Giulia, la tua bambina starà benissimo col suo papà e tu uscirai presto da qui. Sei giovane e forte e poi ci sono io, cercherò di passare spesso a salutarti» risponde Roberto commosso. Appena Roberto aveva qualche minuto libero passava a salutare Giulia che nel frattempo era stata spostata nella camera 9.

Roberto ha preso molto a cuore il caso di questa ragazza, gli faceva tenerezza. Quella sera Roberto torna a casa alle 22.00 distrutto, si fa una doccia e va a dormire. Pensa costantemente a Giulia e alla sua bambina. Non è giusto, così giovane, appena diventata mamma, deve assolutamente guarire presto. Cullato da questo pensiero Roberto si addormenta. La mattina seguente arriva in ospedale e corre alla camera 9 per salutare Giulia, ma lei non è più lì. «Infermiera dov’è Giulia, la paziente che era in questa stanza?» chiede Roberto spaventato. «Dottore purtroppo la ragazza nella notte è peggiorata e abbiamo dovuto intubarla, adesso è in terapia intensiva». Roberto non poteva crederci, «Ieri stava abbastanza bene, respirava benissimo, non è possibile» dice correndo in terapia intensiva. Eccola! Giulia era a pancia in giù su un lettino, Roberto si avvicina le prende la mano e la incoraggia dicendole:

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Questo libro è dedicato a tutti i medici e le persone che ci hanno aiutato in questo periodo di pandemia per ringraziarli degli sforzi che hanno fatto per aiutarci.

Alessandro Veneziano, nato a Milano il 22 novembre 2007, vive insieme a sua madre, suo padre e un piccolo cagnolino. Ha due fratelli più grandi che vivono altrove. È zio di un bimbo di nome Maurizio, che ama con tutto il suo cuore. Ha frequentato la Scuola Materna, Primaria e Secondaria di I Grado e ora si è iscritto alla Scuola Secondaria di Secondo Grado dove frequenterà il corso "Cultura e spettacolo". È un ragazzo socievole, simpatico e gentile ma, a volte, un po' testardo. La sua più grande passione è il calcio, sport che già pratica da tempo. Tutto questo lo condivide con il suo più grande amico, conosciuto dai tempi dell'asilo, di nome Andrea. Hanno anche condiviso il percorso al catechismo preparandosi insieme per ricevere i sacramenti della Comunione e della Cresima. Il suo più grande desiderio sarebbe, oltre a diventare un bravo videografo, quello di diventare un famoso calciatore.

Il romanzo racconta di due medici: Ghebreyesus e De Donno, che nel 2020 cercano di sconfiggere un virus mortale chiamato Covid19. De Donno muore suicida e il suo amico continua, anche in suo onore, con la ricerca.

Ogni giorno ognuno di noi doveva chiamare i parenti dei pazienti per aggiornarli sui loro cari. Quando riuscivano a parlare facevamo fare loro delle brevi videochiamate, ed era emozionante assistere alle loro piccole conversazioni spesso interrotte da lunghi pianti. Con noi era diverso, ci chiedevano: «Come sta mio padre?»,&nbsp;«Come sta mia madre?», « Ci sono speranze?» Ma la cosa che ci chiedevano di più era: «Vi prego salvatela/o! Fate tutto il possibile». Per me quello era uno stress immenso, mi si spezzava il cuore, soprattutto perché anche nei casi che sembravano andare meglio, spesso le cose cambiavano velocemente e quasi mai in meglio. La parte più difficile del nostro lavoro è sempre stata quella di dover avvisare le famiglie che un loro caro non ce l’aveva fatta, ma non capitava così spesso, beh, ora, son continue quelle chiamate. Spesso quando finiamo di dare la brutta notizia a un genitore o a una figlia, un figlio, un nipote, anche noi scoppiamo a piangere.

Su di noi si sono accesi i riflettori, molte persone hanno dimostrato la loro gratitudine per il nostro continuo lavoro, anche con piccoli gesti come mandarci delle pizze per tutti, o dei biglietti di ringraziamento. Ne ricordo uno in particolare, diceva: “Grazie a tutti voi operatori sanitari e medici per tutto il lavoro che state facendo e per i sacrifici che fate stando anche lontano dalle vostre famiglie per aiutare tutti noi. Siete l’orgoglio del nostro paese”. Che bello ricevere della gratitudine da parte di molti! Questo ci ha aiutato ad andare avanti. Non posso dimenticare questi pazienti, la loro sofferenza, il loro lottare in tutti i modi per poter rivedere i loro cari e, anche se in pochi ce l’hanno fatta, hanno tutti lottato. Ricordo Miranda, una donna di 56 anni, non credeva nell’esistenza del Covid fino a quando non è stata contagiata. Lei era una delle pazienti più simpatiche! Era la prima paziente che vedevo migliorare dopo 5 mesi di cure, ero felice, mi dava speranza.

«Dr. Miller, Dr. Miller si svegli! sono Marco!» «Sono sveglio dimmi, ma che ore sono?», risposi saltando dalla brandina. «Sono le 6:45, i risultati sono tutti negativi per fortuna». Quest’anno era bisestile e gli anni bisestili non vanno mai bene, non ero comunque tranquillo. Giorno dopo giorno i casi aumentavano: era pandemia a Milano e in tutta l'Italia.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarò ufficialmente lo stato di&nbsp;pandemia. Il direttore dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesu comunicò che il numero di casi di&nbsp;COVID-19&nbsp;al di fuori della Cina era aumentato di 13 volte e il numero di paesi colpiti era triplicato, 4.291 persone avevano perso la vita e altre migliaia stavano lottando negli ospedali. Nei giorni e nelle settimane a venire, era previsto un aumento ancora maggiore. Non sapevo cosa fare, ogni giorno sarebbero morte centinaia di persone sotto i miei occhi. Continuavo a ripetere a tutti i contagiati la stessa frase "Andrà tutto bene" e capivo dai loro occhi che mi credevano.&nbsp;

Dedico questo romanzo ai veri supereroi che sono i medici, gli infermieri, gli operatori del 118. Grazie a voi.

Dedico questo romanzo come ringraziamento a tutte le persone che hanno passato questo periodo difficile. Ringrazio soprattutto i dottori che hanno dovuto lasciare le proprie famiglie per mesi a causa di questo maledetto virus. Tutti noi abbiamo dovuto rinunciare a molte cose, abbiamo dovuto anche sopportare che tutto finisse. Con la pazienza ce l'abbiamo quasi fatta.

Matteo Hu Jin Hao La vita di uno studente 2022 Editrice Scuola Secondaria I Grado "Colombo" 3A

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Maro Gerges è nato il 15 Gennaio del 2008 e vive a Milano con la sua famiglia che ha origini egiziane. Oggi Maro ha 14 anni e frequenta il terzo anno della Scuola Secondaria di I Grado dell'Istituto Comprensivo Console Marcello. Maro è vivace, scherzoso e desideroso di far ridere, ma allo stesso tempo è molto ansioso. Maro ha diverse passioni tra cui: ascoltare musica, stare e giocare con gli amici, fare numerose chiamate con il suo migliore amico e giocare a calcio. Questo è il suo primo libro, il primo di molti...

Durante la pandemia di Covid-19, la situazione nell'Ospedale Niguarda (e non solo) stava degenerando di giorno in giorno, infatti, molte persone morivano. In questa situazione una delle tante infermiere che si distinse per la capacità di aiutare e gestire una situazione del genere, fu, senza ombra di dubbio, l'infermiera Salerno, costretta a stare notte e giorno in ospedale a causa dell'insufficienza del personale e dall'aumento dei contagi.

Sono diventati amici perché hanno lavorato tante ore in ospedale insieme durante la pandemia. Iniziano a lavorare circa alle 7:00 di mattina fino alle 8:00 di sera, e a volte hanno turni durante la notte. Dopo mesi passati lavorando tantissimo, facendo per cinque mesi la stessa cosa e vivendo nella paura. Volevano andare a trovare i loro genitori ma avevano paura di farli ammalare e decidono così di passare più tempo loro quattro insieme facendo le poche cose che potevano fare. Per molto tempo si erano sentiti depressi e soli perché lontani dalla famiglia. Il fratello di Andrea, Matteo, si era ammalato ed aveva preso il Coronavirus. Gli unici momenti tranquilli per lui erano quelli passati con i suoi amici e colleghi. Per tre mesi i contagi erano diminuiti e anche il fratello di Andrea era guarito e stava bene. Andrea voleva andare dal fratello però non riusciva perché c'era tanto lavoro che non poteva lasciare. Si sentivano tutti i giorni per telefono anche se non riuscivano a vedersi.

Piano piano le persone hanno iniziato ad ammalarsi di nuovo e gli ospedali a riempirsi. Il dottor Sacco si è ammalato di&nbsp;Covid e il dottor Paolo, suo amico, lo ha curato senza lasciarlo mai da solo. È riuscito a guarire, vedere suo figlio e la sua famiglia che non vedeva da un po’.

Era il 21 Febbraio quando il Covid-19 cominciò a dilagare.&nbsp; Marco e la sua famiglia, guardando la televisione, sentirono che un virus stava infettando molte persone. Iniziarono a preoccuparsi perché sembrava troppo pericoloso: per alcune città sono state disposte misure di quarantena, quasi tutto il mondo è stato contagiato da questo virus. Il giorno dopo, mentre si sentivano ambulanze con le sirene spiegate correre da ogni punto della città, Marco sentì il telefono squillare, era la mamma di Alberto che lo avvisava che il figlio era positivo al virus. Marco iniziò a preoccuparsi, presto anche la città in cui viveva sarebbe stata messa in quarantena.&nbsp;

... grazie dal profondo del cuore, il mondo vi è riconoscente.

Mazen Hassan Distruggiamo questo virus! 2022 Editrice Scuola Secondaria di I Grado "Colombo" 3A

Janna Pocitaru, nata a Milano il 15 maggio del 2008, fin da quando era piccola ha sempre avuto una smisurata passione per i libri e le storie. Sta continuando il suo percorso scolastico col desiderio di intraprendere un percorso umanistico. "C'è ancora speranza" è una delle sue prime opere. La ragazza, anche se molto giovane, sta già riscontrando un forte successo e, seppur sia solo all'inizio della sua carriera da scrittrice, promette grandi cose.

Nadine Grandson, conclusi gli studi, si trova alle prese con l'arduo lavoro del medico e, in generale, con la vita. Relazioni, amicizie e sentimenti non erano mai stati il suo forte per tanti motivi. La sua indifferenza l'aiutava nel suo lavoro, l'aiutava a gestire il dolore. Eppure la vita è imprevedibile e da un giorno all'altro potrebbe catapultarti nel mezzo di una pandemia, che ti sconvolgerà la vita e rovinerà tutti i tuoi piani. "L'errore" più grave per un medico: affezionarsi ad un paziente. Ma alla fine "errare è umano", e umana lo è anche Nadine.

Le prime indagini hanno dimostrato che il virus è quasi interamente identico al Coronavirus tipico del&nbsp;pipistrello.&nbsp; Stupito e speranzoso risposi «Speriamo che non arrivi anche in Italia!» «Sì dottore, speriamo. Ma ora andiamo, dobbiamo i visitare i pazienti della camera 289». «Ah sì! il bambino che ha mangiato la gomma?» «No, il bambino lo abbiamo mandato all’ospedale Buzzi. È il paziente caduto dal terzo piano». «Ma è ancora vivo?» «Per fortuna sì!» «Ok andiamo a vederlo» «sì dottore, subito ...»

Dopo un mese esatto, il 24 febbraio incontrai di nuovo Marco. «Buongiorno Marco» «Buongiorno Dr. Miller! ha fatto colazione?» «No, andiamo a farla insieme». Arrivati al bar la mia attenzione è stata attirata da un servizio che stavano trasmettendo in TV. «Mi scusi signore può alzare un po’ il volume?» chiesi al barista. «Sì, sì certo» rispose e subito le parole del giornalista apparvero più chiare.

A inizio gennaio un nuovo virus altamente contagioso e completamente sconosciuto al nostro sistema immunitario aveva iniziato a circolare sulla terra. Non avremmo mai pensato che questo virus avrebbe potuto diffondersi e causare tanti problemi per i sistemi sanitari ed economici. Da quando è iniziato tutto i giorni diventavano&nbsp;sempre più difficili: lo studio, la didattica a distanza, le uscite per andare al supermercato. In dad le lezioni erano lente e noiose e il più delle volte non si capiva niente. Ed è proprio durante una lezione in dad che ricevetti la notizia che mio zio, Alberto, era stato ricoverato in ospedale perché positivo al Covid; le sue condizioni erano peggiori di quelle degli altri pazienti. In questo periodo iniziai a pensare al perché mi stesse accadendo tutto questo e non trovavo mai delle risposte. Nelle settimane seguenti feci diverse videochiamate con mio zio e ogni giorno le sue condizioni peggioravano.

Vedevo mio zio dappertutto, sui notiziari non si parlava d'altro e la gente ne scriveva di ogni su di lui. I giorni passavano e la preoccupazione che mio zio potesse venire a mancare aumentava sempre di più. Un giorno andai a fargli visita, l'ospedale in cui era ricoverato era messo male e i muri presentavano qua e là delle crepe. Dopo tante ore di attesa non mi diedero la possibilità di vederlo nemmeno bardato dalla testa ai piedi. Dalle videochiamate notai che era diventato molto magro e sembrava addirittura essere invecchiato. Insieme a mamma e a papà avremmo voluto andare a visitare lo zio ogni giorno, ma non era possibile. Per fortuna potevamo avere notizie chiamando la clinica. «Dottore come sta Alberto Morello? Si è ripreso?» chiese mia mamma al telefono. «Signora non sappiamo ancora nulla, la situazione di suo fratello ci è sconosciuta, in 50 anni di servizio, non sono mai andato incontro ad un caso simile», ribatté il dottore, «Vi preghiamo di attendere ancora, fino a quando non avremo nuove

Un giorno Laura vide sua madre Serena comportarsi in modo molto strano. Laura era una ragazza molto affettuosa e solare, infatti, riusciva sempre a rallegrare le persone che aveva attorno. Aveva gli occhi castani e i capelli biondi e lisci. La madre era l'opposto della figlia. Lei era molto riservata, certe volte non voleva parlare con nessuno di ciò che provava veramente dentro di sé. Serena aveva i capelli mossi e biondi e gli occhi castani. Laura chiese a sua madre: «Mamma che succede?» Serena molto preoccupata rispose: «Niente tesoro». Laura, non convinta della risposta della madre, decise di andare da suo fratello e gli chiese: «cosa succede a mamma?» Il fratello Michele rispose: «credo che sia preoccupata per papà perché al telegiornale hanno detto che sta girando una sorta di virus». Il padre era un medico, quindi Laura si

preoccupò tanto e decise di accendere la televisione per ascoltare al telegiornale le ultime notizie. I servizi in TV mostravano infermiere e medici bardati dalla testa ai piedi. Indossavano tutti una tuta bianca, mascherine, visiera e guanti. Sembravano tutti uguali, era veramente impossibile riuscire a riconoscerli. Il telegiornale comunicava a tutte le ore di stare a casa per non rischiare di essere contagiati dal virus SarsCoV2, causa di una malattia respiratoria: il Covid-19. I sintomi più frequenti sono: tosse, febbre, mal di testa, dolore ad articolazioni e ai muscoli. Le persone che hanno più probabilità di essere contagiate dal virus sono gli anziani, anche se in realtà qualsiasi persona corre il rischio di ammalarsi o peggio morire di Covid-19. Laura preoccupata decise di chiamare suo padre che non rispose subito. Lo fece solo dopo un po' di squilli. Lei disse: «Papà come stai? Sono tanto preoccupata per te. Ho sentito cosa hanno detto al telegiornale. Ti prego torna a casa, sarai più al sicuro».

Mentre andavo avanti e contribuivo a mantenere attivo il Paese una parte di me ha subito una battuta d’arresto. Ricevetti una chiamata dalla madre di Paolo che mi chiese di raggiungerla a casa. Sentivo che qualcosa era andato storto. Scesi di corsa a prendere la bici in cantina e mi precipitai da lei. «Jeremy… Paolo è morto… » mi disse mentre una lacrima le rigava il viso. «No… no… no… non ci posso credere!» dissi io piangendo. La morte di Paolo segnò una traccia profonda nel mio cuore, che ogni giorno mi dà la carica e la grinta per andare avanti.

portava in testa, si poteva intravedere un codino disordinato che raccoglieva capelli neri e mossi. Gli occhi erano grandi e vivaci, di un marrone tendete al nero. Metà della loro faccia non si vedeva per il fatto che portavano la mascherina. Fuori dalla porta si sentiva qualche debole suono, ma non si riusciva a capire cosa fosse. Quest'oggi era un giorno stranamente meno impegnativo degli altri. Infatti, in queste ultime settimane, il personale ospedaliero stava vivendo l'inferno in Terra. Da qualche mese un virus, precisamente il SARS-CoV-2, o comunemente chiamato COVID-19, si stava diffondendo in tutto il mondo e causando molti decessi. Si crede che sia partito da Wuhan e l'origine è incerta. L'unica cosa sicura è che i medici e gli operatori sanitari devono aspettare che qualcuno faccia qualcosa per fermare questa ondata di virus. L'economia dei Paesi aveva subìto un duro colpo. E non solo loro, ma anche i loro abitanti. In Italia non si poteva più uscire di casa e i supermercati venivano svuotati. Ancor peggio stavano i malati, che erano costretti a stare in ospedale, lontano dalle proprie famiglie cadute in disgrazia. Sulle finestre dei palazzi venivano attaccati striscioni, su cui venivano disegnati degli arcobaleni con di solito scritto sopra "Andrà tutto bene".

Erano passati dei minuti e la ricerca della dottoressa Tanduay non ebbe alcun risultato, quindi lasciò perdere e decise di aiutare il dottor Fernet col suo compito. Ma prima che potesse afferrare i documenti sulla scrivania, la porta venne aperta bruscamente. In piedi davanti alla porta c'era l'infermiera Kistler. Il dottor Fernet si giró lentamente per inquadrare nella sua visuale la piccola creatura infuriata. «C'è qualcosa che possia...» stette per chiedere gentilmente, ma fu interrotto. «Ora basta!» Aveva lo sguardo di una persona che voleva uccidere il mondo intero. «Ehm...Scusi, c'è qualcosa che non va?» chiese la dottoressa. Era preoccupata, non aveva mai visto l'infermiera Kistler così arrabbiata. «Sì, tutto!» iniziò a strillare come una gallina spennata. «Abbassi la voce», intervenne il dottor Fernet, «Non ha senso gridare, sta solo disturbando i nostri pazienti». In effetti il dottor Fernet non aveva tutti i torti. L'infermiera cercò di calmarsi, senza riuscirci. Sembrava che da un momento all'altro potesse esplodere.

Andrea Beffasti, nato a Milano il 21 febbraio 2008, vive a Milano con la sua famiglia. Ha un fratello, Alessandro di 17 anni, che ammira e con il quale ha un bellissimo rapporto. Fino all’età di 3 anni ha passato le giornate con la nonna materna, nonna Franca, che ama come se fosse una seconda mamma. Ha frequentato la Scuola dell’infanzia, la Primaria e la Secondaria presso l’Istituto Comprensivo Console Marcello. Frequenta la terza media e si è iscritto alla scuola superiore Arte e Spettacolo.&nbsp; È un ragazzo vivace, ama stare con gli amici e con la sua famiglia. La sua più grande passione è il calcio che pratica giocando nella squadra SLV dell’oratorio della sua zona. In questi anni ha costruito una grande amicizia con Alessandro che conosce dall’asilo e con il quale condivide quasi tutto: passioni, gioco, studio. Passano molte ore della giornata insieme. Andrea ha molti pregi: è affettuoso, sensibile, leale, comprensivo e affidabile, ma spesso distratto e superficiale. La sua più grande paura è il giudizio delle persone e degli amici, spesso non si sente all’altezza soprattutto nello studio. Per ora Andrea non ha grandi progetti per il futuro ma ha un grande sogno: diventare un famoso e bravo calciatore.

Un ragazzino di 12 anni di nome Federico racconta la sua esperienza e la sua reazione all'inizio della pandemia da Covid. Racconta anche l'esperienza vissuta da suo padre che di mestiere fa l'infermiere.

e sempre più velocemente. Era una cosa più vicina di quanto avesse mai pensato, e questo lo turbò, e non poco. Quella notte non riuscì di nuovo a dormire, ma la convinzione che cresceva in lui sempre di più era che voleva lottare per salvare anche solo una vita da quella orribile sorte. In quella notte, così fredda e solitaria, la speranza di un umile si era accesa. Ma la speranza, seppur viva, non poteva preservarlo dal possibile dolore. Il giorno dopo, quando tornò a lavoro, la notizia di aver perso non un paziente, ma un amico, fu dura da accettare. All'inizio credeva che il povero De Donno fosse stato vittima della brutalità del virus, ma il vero colpo al cuore fu quando venne a sapere che quella morte era stata volontaria. Aveva notato l'ansia crescente in De Donno dalla comparsa del virus, e che la perdita di Andy aveva turbato fortemente anche l’amico, ma mai e poi mai sarebbe stato capace di immaginare un simile scenario. Il suo amico si era tolto la vita, molto probabilmente in un momento di confusione e terrore. Le lacrime bruciavano gli occhi del povero Jimmy. Era come se il mondo gli stesse sbattendo le porte in faccia, una dopo l'altra. Per la prima volta dopo tanto tempo, aveva paura.

Paura di fallire, paura di perdere tutto, paura di rimanere solo, paura di non farcela, paura di fare la stessa fine di De Donno. Paura di perdere la speranza, di arrendersi. Ma quando un umile si mette qualcosa in testa, nessuno potrebbe riuscire a fermarlo. Giorno dopo giorno, ora dopo ora, il dottor Tedors lavorava, lo faceva per non sentire il dolore, lo faceva per fare passare il tempo facendo qualcosa di utile, senza stare da qualche parte a casa sua a piangersi addosso. Lo faceva perché voleva che De Donno fosse fiero di lui. Jimmy lavorava sfruttando tutto quello che aveva a disposizione, faceva turni sempre più lunghi, mangiava e dormiva quanto bastava per poi poter ritornare a lavorare. Ma lavorare per cosa? Per il vaccino. Il bramato vaccino. Se in quel momento avessi chiesto ad un qualsiasi dottore cosa avrebbe voluto più al mondo, il vaccino sarebbe stata la riposta. Beh, il dottor Tedors non era diverso. Perché tanto lavorare, pur non arrivando ad una soluzione, era sempre meglio di non lavorare per nulla. Perché la possibilità di riuscirci, seppur piccola, c'era. Era sempre meglio di niente.

«Benvenuti su Rai 1. Pur essendo stati identificati a fine gennaio due casi di&nbsp;Coronavirus&nbsp;in&nbsp;turisti cinesi&nbsp;in visita a Roma, il 21 febbraio viene identificato quello che erroneamente sarà il&nbsp;paziente zero, un 38enne di Codogno»; il giornalista annunciava la terribile notizia: il Covid era arrivato anche in Italia.&nbsp; Diversi focolai&nbsp;erano presenti in alcune zone del Nord Italia come a&nbsp;Vo' Euganeo&nbsp;e nella&nbsp;provincia di Bergamo. Si è incominciato a cercare il virus facendo il tampone molecolare solo alle persone di ritorno dalla Cina. Nel giro di 3 giorni i casi confermati furono 325.&nbsp;Era l'inizio&nbsp;della&nbsp;prima devastante ondata&nbsp;per l'Italia. Un'ondata a cui si cercò di porre rimedio con il&nbsp;lockdown nazionale&nbsp;a partire da domenica 8 marzo. Mi sforzavo di pensare ad una soluzione, sembravo un pazzo, non sapevo cosa fare.

Ad un tratto dissi: «Marco, tutti quelli che lavorano qui faranno il tampone, e nessuno tornerà a casa prima di avere i risultati, ha capito?», «Si Dr. Miller, subito». Se dovessimo trovare dei casi positivi saremo finiti, non saprei che fare, pensai tra me e me. Non so perché mi sono ritrovato a parlare da solo come i pazzi. L’unica cosa certa era che dovevamo fare il possibile per salvare quelle povere persone. Alle tre del mattino, mi sono ritrovato a camminare come se non avessi altro da fare. In realtà non avevo niente da fare, perciò potevo rilassarmi un po’. Sprofondai in un sonno profondo.

"Non bisognerebbe mai dare niente per scontato, neanche le cose che consideriamo più abitudinarie: una parola, un abbraccio, una passeggiata... La vita che stiamo vivendo ora ce lo sta insegnando."

E chissà se la speranza si era accesa in lui quando vedemmo decine e decine di famiglie piangere lacrime di gioia abbracciate ai loro cari. E chissà se la speranza aveva riempito anche un solo pezzo del suo cuore. Però quando potei finalmente dire ai genitori di Thomas che il ragazzo si stava riprendendo, la speranza nel mio di cuore non fu mai più viva di così.

Amiris Jennifer Sanchez De Lima Un nuovo inizio 2022 Editrice Scuola Secondaria I Grado "Colombo" 3A

Jennifer è una ragazzina di 14, nata a Milano, ma di origini brasiliane e cubane, l'8 gennaio del 2008. Frequenta il terzo anno della Scuola Secondaria di I Grado all'Istituto comprensivo "Console Marcello". Jennifer è una ragazzina vivace e simpatica a cui piace molto scherzare e a volte anche testarda. Ha diverse passioni, la prima fra tutte è la musica, e le piace molto uscire con gli amici.

Questo libro racconta di una ragazzina di nome Chiara che dopo la quarantena a causa del Covid-19 è riuscita a tornare a scuola. Purtroppo il rientro a scuola è durato ben poco ...

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