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I piccoli Amadigi

by Sofia marcucci

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Marcovaldo ovvero Le stagioni in città_di Sofia Marcucci
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Primavera
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I piccoli Amadigi
Capitolo 21

Dopo un inverno grigio e piovoso, la primavera era arrivata, gli alberi avevano messo su le prime foglie e Marcovaldo tornava a vedere gli uccelli che volavano liberi sopra di lui. Gli ultimi raggi, che al tramonto erano così luminosi, passando attraverso le foglie verde smeraldo, davano un’atmosfera delicata e romantica alla città. Era quello il momento che Marcovaldo più adorava,il momento in cui tutto si spegneva e la natura intorno si vestiva con i colori della sera.
Insieme alla primavera tornava, si sa, la stagione degli amori. Ovunque si girasse, Marcovaldo ritrovava quello sguardo innamorato negli occhi di animali e persone, e li osservava cercando di cogliere il momento in cui l’amore colpiva i cuori rendendo gli occhi languidi. 
Gli sembrava che tutto il mondo fosse in preda a quella strana magia, che intravedeva nel compagno di lavoro, nella signora che ogni mattina passava in bici davanti alla Sbav, nell’uomo sconosciuto che gli stava accanto in tram, nel fornaio sotto casa e… in sua figlia Isolina.
Marcovaldo la osservò attentamente sperando fortemente di essersi sbagliato, ma più la ascoltava, più sentiva i suoi sospiri diventare forti e lamentosi. Isolina non mangiava più e guardava spesso fuori dalla finestra, con quell’espressione sognante e malinconica, sentendosi un po’ la Giulietta del momento. 
- “Isolina mia cos’hai?” chiese la madre Domitilla alla figlia. -“Mangia un po’ di più, dai.” 
Ma Isolina non rispondeva. Si limitava a scansare il purè, ormai freddo, dal suo piatto.
La verità era che, proprio quell’inverno, alla fermata del tram Isolina aveva conosciuto un ragazzo.
Era timido, alto e con gli occhiali e un bel giorno l’aveva aiutata a far salire a bordo una valigia molto pesante che lei da sola non riusciva a sollevare. Il ragazzo non doveva prendere il tram, ma alla fine ci era salito anche lui per aiutare Isolina a scaricare la valigia una volta arrivata a destinazione.
Da quel giorno il giovane trovava sempre una scusa per incontrare Isolina in quel tratto di strada. Isolina era felice di quello strano corteggiatore, ne era divertita e piano piano ne fu conquistata. Isolina era felice di quello strano corteggiatore, ne era divertita e piano piano ne fu conquistata.
Per farla breve, Isolina e il giovanotto, che si chiamava Tancredi, si erano fidanzati ed in quei giorni la ragazza si stava decidendo a far conoscere il fidanzato ai genitori, ma non sapeva come fare.

Era timido, alto e con gli occhiali e un bel giorno l’aveva aiutata a far salire a bordo una valigia molto pesante che lei da sola non riusciva a sollevare. Il ragazzo non doveva prendere il tram, ma alla fine ci era salito anche lui per aiutare Isolina a scaricare la valigia una volta arrivata a destinazione.
Da quel giorno il giovane trovava sempre una scusa per incontrare Isolina in quel tratto di strada. Isolina era felice di quello strano corteggiatore, ne era divertita e piano piano ne fu conquistata. Isolina era felice di quello strano corteggiatore, ne era divertita e piano piano ne fu conquistata.
Per farla breve, Isolina e il giovanotto, che si chiamava Tancredi, si erano fidanzati ed in quei giorni la ragazza si stava decidendo a far conoscere il fidanzato ai genitori, ma non sapeva come fare.

Isolina non ne poteva più di quello struggimento e raccogliendo tutto il suo coraggio raccontò ai genitori di Tancredi. I due rimasero increduli con la forchetta a mezz’aria. Isolina allora cominciò a tessere le lodi di Tancredi:
-“È così educato e intelligente e…già lavora, sapete, fa lo spazzino, proprio come suo padre!” disse la ragazza entusiasta.
Dopo essersi liberata, Isolina parve aver ritrovato il sorriso e l’appetito. La cena finì col piatto di Isolina pulito come uno specchio e quello di Domitilla e Marcovaldo lasciato a metà…
Quella stessa sera fu stabilito che il giorno dopo Tancredi sarebbe venuto ospite a cena.
Marcovaldo si girava e rigirava nel letto, in preda ad una strana agitazione, ma non sapeva dire se fosse a causa della preoccupazione per l’imminente visita o della fame che gli era rimasta…
La cucina era coperta qua e là da giocattoli: trenini sgangherati, macchinine con le ruote fuori uso, ma che ancora potevano correre e bambole vecchie, non erano tanti, anzi,ma la cucina era tanto piccola… Tancredi non ci fece caso perché si ricordava il quadro che Isolina gli aveva fatto della sua famiglia. In ogni caso a lui non dispiaceva.
Sembrava che le cose avessero preso la giusta piega, il pollo era buono, il vino anche, i fratelli di Isolina parevano stranamente angelici, ma soprattutto sembrava che Marcovaldo e Tancredi andassero d’accordo, fino a che il discorso non si spostò sulla famiglia del giovane.
- “Ci ha detto Isolina che fai lo spazzino” disse Domitilla.
- “Sì signora, proprio come mio padre, Amadigi!” rispose il giovanotto, tutto fiero.
Marcovaldo rimase di sasso. Tutto si aspettava tranne di avere come futuro genero il figlio di quell’antipatico “togli natura” di Amadigi.
Al termine della cena Tancredi andò via, Marcovaldo, invece, restò immerso nei suoi pensieri. 
La cucina era coperta qua e là da giocattoli: trenini sgangherati, macchinine con le ruote fuori uso, ma che ancora potevano correre e bambole vecchie, non erano tanti, anzi,ma la cucina era tanto piccola… Tancredi non ci fece caso perché si ricordava il quadro che Isolina gli aveva fatto della sua famiglia. In ogni caso a lui non dispiaceva.
Sembrava che le cose avessero preso la giusta piega, il pollo era buono, il vino anche, i fratelli di Isolina parevano stranamente angelici, ma soprattutto sembrava che Marcovaldo e Tancredi andassero d’accordo, fino a che il discorso non si spostò sulla famiglia del giovane.
- “Ci ha detto Isolina che fai lo spazzino” disse Domitilla.
- “Sì signora, proprio come mio padre, Amadigi!” rispose il giovanotto, tutto fiero.
Marcovaldo rimase di sasso. Tutto si aspettava tranne di avere come futuro genero il figlio di quell’antipatico “togli natura” di Amadigi.
Al termine della cena Tancredi andò via, Marcovaldo, invece, restò immerso nei suoi pensieri. 
Dopo aver messo a letto i figli ed essersi assicurato che dormissero, Marcovaldo si sfogòcon la moglie Domitilla:
- “Quell’Amadigi proprio non lo sopporto,e se poi avessimo dei nipoti occhialuti e spilungoni, tutti con la sua faccia?” le confidò.
Sua moglie gli rispose:
- “Sarà bene che alla sua faccia ti ci abitui in fretta perché domani sera a cena lo rivedremo, dato che ci ha invitati a casa sua”.
A Marcovaldo sembrò improvvisamente che la primavera fosse scomparsa dalla terra per lasciare spazio al più desolato degli inverni. Ogni volta che, rigirandosi nel letto, guardava fuori, non vedeva la notte illuminata dalla luce lattiginosa della luna, non riconosceva in quel chiarore i colori dei rami del ciliegio in fiore che facevano capolino dalla sua finestra, niente di tutto ciò, solo buio, un buio pesto e tenebroso.
Sognò di non sentire più il tepore dell’aria, né il cinguettio degli uccelli, vedeva davanti a sé solo un deserto arido con radi cespugli dai quali fuoriuscivano all’improvviso dei piccoli Amadigi…
Si svegliò tutto sudato e decise di cercare di non pensare a niente fino all’ora di cena.
Alle sette di sera, Michelino e Filippetto, tutti tirati a lucido, chiesero;
-“E se ci sporchiamo questi bei vestiti?”
Lo sguardo che diede loro Domitilla non aveva bisogno di parole e i due si limitarono a seguire il resto della famiglia lungo la strada.
Camminarono a lungo fino a dove la città si perde e inizia la campagna, proprio lì li aspettava Tancredi. 
- “Ecco, per di qua!” disse lui indicando una piccola strada sterrata.
Più andavano avanti più gli alberi li sovrastavano, erano uno spettacolo. Peschi, meli, peri, ciliegi e mandorli avevano messo su foglie così luminose e fiori così belli che sembrava di camminare in una foresta incantata. La luce sfiorava ogni petalo che si illuminava secondo la sua inclinazione così che l’albero sembrava quasi animarsi. 
Il cuore di Marcovaldo improvvisamente si alleggerì.
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