Ezio Bosso - Arena di Verona 2019, Carmina Burana e Stefano Accorsi legge un pensiero del maestro Bosso all'inizio del Covid-19
Una sera di febbraio del 2016 sul palco del festival di Sanremo, Carlo Conti invitò Ezio Bosso.
Direttore d’orchestra, compositore e pianista, all’epoca era più conosciuto all’estero che in Italia. Quella serata diede finalmente la visibilità che la sua arte meritava. La sua esibizione, “Following a bird”, tratta dal suo primo disco solista “The 12th room” e le sue parole furono così forti da coinvolgere pubblico e presentatore in modo così empatico che, senza accorgersene, la produzione sforò la scaletta. E non fu certo la sua evidente difficoltà ad attrarre presenti e telespettatori ma il suo carisma, la sua interiorità ed il suo sorriso, sempre presente, nonostante le difficoltà fisiche e l'evidente dolore che gli causavano.
Ezio Bosso, torinese di nascita, londinese e bolognese di adozione e a casa propria nei più grandi teatri del mondo, era un artista a tutto tondo. Studi al conservatorio di Torino, un’esperienza giovanile come cantante nel gruppo torinese degli Statuto e poi direzioni per la London Symphony, il Regio di Torino, l’Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli e l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. E’stato direttore stabile residente del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste. Ha composto colonne sonore per Gabriele Salvatores e, per l'Università Alma Mater di Bologna, ha scritto una composizione dedicata alla Magna Charta delle Università Europee, composizione che contiene il primo inno ufficiale di questa istituzione. Ha composto quattro sinfonie e innumerevoli pezzi. Bosso è stato testimone e ambasciatore internazionale dell'"Associazione Mozart 14", eredità ufficiale dei principi sociali ed educativi del Maestro Claudio Abbado, portati avanti dalla figlia Alessandra.
Eppure fu quella serata televisiva a renderlo trasversalmente conosciuto: da quel momento, in Italia, tutti parlarono di Bosso e della sua arte. A Bologna, le prove delle sue direzioni al Teatro Comunale vennero prese d’assalto e quando girava per la città, cominciò ad essere continuamente fermato. Sorrideva a tutti e si prestava a quella notorietà con entusiasmo e gentilezza. E a settembre del 2019 riempì l'Arena di Verona, facendo il tutto esaurito, mai successo per un concerto sinfonico.
Direttore d’orchestra, compositore e pianista, all’epoca era più conosciuto all’estero che in Italia. Quella serata diede finalmente la visibilità che la sua arte meritava. La sua esibizione, “Following a bird”, tratta dal suo primo disco solista “The 12th room” e le sue parole furono così forti da coinvolgere pubblico e presentatore in modo così empatico che, senza accorgersene, la produzione sforò la scaletta. E non fu certo la sua evidente difficoltà ad attrarre presenti e telespettatori ma il suo carisma, la sua interiorità ed il suo sorriso, sempre presente, nonostante le difficoltà fisiche e l'evidente dolore che gli causavano.
Ezio Bosso, torinese di nascita, londinese e bolognese di adozione e a casa propria nei più grandi teatri del mondo, era un artista a tutto tondo. Studi al conservatorio di Torino, un’esperienza giovanile come cantante nel gruppo torinese degli Statuto e poi direzioni per la London Symphony, il Regio di Torino, l’Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli e l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. E’stato direttore stabile residente del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste. Ha composto colonne sonore per Gabriele Salvatores e, per l'Università Alma Mater di Bologna, ha scritto una composizione dedicata alla Magna Charta delle Università Europee, composizione che contiene il primo inno ufficiale di questa istituzione. Ha composto quattro sinfonie e innumerevoli pezzi. Bosso è stato testimone e ambasciatore internazionale dell'"Associazione Mozart 14", eredità ufficiale dei principi sociali ed educativi del Maestro Claudio Abbado, portati avanti dalla figlia Alessandra.
Eppure fu quella serata televisiva a renderlo trasversalmente conosciuto: da quel momento, in Italia, tutti parlarono di Bosso e della sua arte. A Bologna, le prove delle sue direzioni al Teatro Comunale vennero prese d’assalto e quando girava per la città, cominciò ad essere continuamente fermato. Sorrideva a tutti e si prestava a quella notorietà con entusiasmo e gentilezza. E a settembre del 2019 riempì l'Arena di Verona, facendo il tutto esaurito, mai successo per un concerto sinfonico.
Ezio Bosso dirige l'Orchestra del teatro Comunale di Bologna nel 2016
«La musica è l’unica arte della civiltà umana che, se non performata, non esiste». diceva Ezio Bosso, chiuso nella sua casa di Bologna durante l’emergenza Coronavirus. Stava per lanciare un progetto con l’intento di salvare il mondo della musica colta dalla crisi economica indotta dalla pandemia. Lunedì 18 maggio sarebbe partito un live test di protocollo medico-sanitario per le orchestre diretto proprio da Bosso: una settimana di prove aperte e concerti trasmessi in streaming per provare a conciliare le necessità della musica con quelle dalla sicurezza sanitaria. I proventi dell’iniziativa, in gran parte finanziata dallo stesso Bosso, sarebbero stati utilizzati per dare sostegno economico ai musicisti precari.
Il maestro Ezio Bosso considerava la musica la sua cura, una cura per l’anima di tutti. La sua visione, in un momento in cui le persone sono soggette a pressioni psicologiche di ogni tipo e preoccupazioni per il futuro, vedeva nell’orchestra la metafora perfetta della società ideale. Una società composta, disciplinata, unita dalla volontà di miglioramento reciproco attraverso lo studio, l’impegno e la crescita con e nella partitura, intesa come carta costituzionale a cui aderire tutti, superando le singole differenze.
La sua visione superava i confini delle nazioni, osteggiava l’idea di un mondo diviso: lo si legge anche nel nome dell’orchestra che ha fondato e diretto fino alla morte, l’Europa Philarmonic Orchestra. Il maestro pensava che l’orchestra potesse essere la rappresentazione perfetta della società internazionale, con musicisti di ogni età provenienti da tutto il mondo. Musicisti uniti nell’aiuto reciproco: tutti uniti nell’onorare la responsabilità di cui ci si carica quando si porge l’arte, quindi cura e sollievo, al pubblico. Pubblico che a sua volta, nell’idea di Bosso, è un musicista silente, parte integrante del concerto e membro dell’orchestra stessa. «Il tempo è un pozzo nero. E la magia che abbiamo in mano noi musicisti è quella di stare nel tempo, di dilatare il tempo, di rubare il tempo», diceva il maestro Bosso. Lui è riuscito a portare luce in quel pozzo nero: la sua musica, il suo talento, la sua passione, i suoi insegnamenti non conoscono altro limite che l’eternità. Oggi ci ha lasciato a 48 anni, ma vivrà per sempre nella sua musica.
15 maggio 2020
Il maestro Ezio Bosso considerava la musica la sua cura, una cura per l’anima di tutti. La sua visione, in un momento in cui le persone sono soggette a pressioni psicologiche di ogni tipo e preoccupazioni per il futuro, vedeva nell’orchestra la metafora perfetta della società ideale. Una società composta, disciplinata, unita dalla volontà di miglioramento reciproco attraverso lo studio, l’impegno e la crescita con e nella partitura, intesa come carta costituzionale a cui aderire tutti, superando le singole differenze.
La sua visione superava i confini delle nazioni, osteggiava l’idea di un mondo diviso: lo si legge anche nel nome dell’orchestra che ha fondato e diretto fino alla morte, l’Europa Philarmonic Orchestra. Il maestro pensava che l’orchestra potesse essere la rappresentazione perfetta della società internazionale, con musicisti di ogni età provenienti da tutto il mondo. Musicisti uniti nell’aiuto reciproco: tutti uniti nell’onorare la responsabilità di cui ci si carica quando si porge l’arte, quindi cura e sollievo, al pubblico. Pubblico che a sua volta, nell’idea di Bosso, è un musicista silente, parte integrante del concerto e membro dell’orchestra stessa. «Il tempo è un pozzo nero. E la magia che abbiamo in mano noi musicisti è quella di stare nel tempo, di dilatare il tempo, di rubare il tempo», diceva il maestro Bosso. Lui è riuscito a portare luce in quel pozzo nero: la sua musica, il suo talento, la sua passione, i suoi insegnamenti non conoscono altro limite che l’eternità. Oggi ci ha lasciato a 48 anni, ma vivrà per sempre nella sua musica.
15 maggio 2020
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“Sono un uomo con una disabilità evidente in mezzo a tanti uomini con disabilità che non si vedono.” Ezio Bosso (1971-2020)Loading...
"Si dice che la vita sia composta da 12 stanze. 12 stanze in cui lasceremo qualcosa di noi che ci ricorderanno. 12 le stanze che ricorderemo quando saremo arrivati all'ultima. Nessuno può ricordare la prima stanza dove è stato, ma pare che questo accada nell'ultima che raggiungeremo. Stanza, significa fermarsi, ma significa anche affermarsi. Ho dovuto percorrere stanze immaginarie, per necessità. Perché nella mia vita ho dei momenti in cui entro in una stanza che non mi è molto simpatica detto sinceramente. È una stanza in cui mi ritrovo bloccato per lunghi periodi, una stanza che diventa buia, piccolissima eppure immensa e impossibile da percorrere. Nei periodi in cui sono lì ho dei momenti dove mi sembra che non ne uscirò mai. Ma anche lei mi ha regalato qualcosa, mi ha incuriosito, mi ha ricordato la mia fortuna. Mi ha fatto giocare con lei. Si, perché la stanza è anche una poesia".Ezio Bosso (1971-2020)
Ezio Bosso dirige l'Orchestra del Conservatorio di Bologna nell'aula Magna Santa Lucia - 2015
“Non so se sono felice ma tengo stretti i momenti di felicità, li vivo fino in fondo, fino alle lacrime, così come accettare i momenti di buio, sono una persona normale… La mia filosofia è legarmi di più ai momenti felici perché quelli, poi, ti serviranno da maniglia per tirarti su, quando sei nel letto e non riesci ad alzarti”
Ezio Bosso racconta la sua musica e Beethoven e poi esegue "Al chiaro di Luna"
"Ci conoscevamo da vent’anni.
Da quando ci trovammo, assieme ad altri compositori di musiche da film, a suonare assieme a Bologna nel Festival del Cinema Ritrovato.
Ezio suonava il contrabbasso come nessun altro.
Un virtuoso con una musicalità straordinaria che diventava un tutt’uno con lo strumento.
Il suo archetto era una lancia poetica e la sua musica per archi, in particolare quella composta per la colonna sonora di “Io non ho paura”, è stata la porta per entrare nel suo mondo.
Ogni tanto veniva a sentire i miei concerti nelle Langhe e lì parlavamo di musica e di quartetti d’archi oltre che del fatto che potesse scrivere per il gruppo di mia moglie.
Lo incontrai a Londra dopo qualche anno con Ludovico Einaudi ed Ezio era un altro uomo.
Fisicamente intendo.
Un uomo che parlava lento ma con la stessa profondità di sempre.
Ci raccontò della sua malattia che ancora non era in stato avanzato ma della quale aveva compreso il percorso e la gravità.
Per questo aveva già abbandonato il contrabbasso per suonare il pianoforte e dirigere.
Ed Ezio era felice, con la sua forza straordinaria.
Una mattina mi chiamò al telefono per comunicarmi di essere stato invitato al Festival di Sanremo.
Gli dissi che mi sembrava un’idea malsana ma la sera che lo vidi in tv piansi sulla tovaglia a quadretti di una pizzeria.
Un pianto sereno per un amico che, attraverso la popolarità dello schermo, condivideva finalmente la sua poesia luminosa e trasparente con tutti.
Una poesia che ha fatto bene al mondo.
E poi le cattiverie dei musicisti e dei tanti: Bosso che suona il piano come un bambino o Bosso di cui si parla solo perché ha la SLA senza che nessuno si sia posto il problema di conoscere la sua vita.
Senza sapere che una nota del suo piano valeva più di mille altre e che in quella nota c’era un vissuto mangiato in pochi anni di vita e di sogni.
Da quando ci trovammo, assieme ad altri compositori di musiche da film, a suonare assieme a Bologna nel Festival del Cinema Ritrovato.
Ezio suonava il contrabbasso come nessun altro.
Un virtuoso con una musicalità straordinaria che diventava un tutt’uno con lo strumento.
Il suo archetto era una lancia poetica e la sua musica per archi, in particolare quella composta per la colonna sonora di “Io non ho paura”, è stata la porta per entrare nel suo mondo.
Ogni tanto veniva a sentire i miei concerti nelle Langhe e lì parlavamo di musica e di quartetti d’archi oltre che del fatto che potesse scrivere per il gruppo di mia moglie.
Lo incontrai a Londra dopo qualche anno con Ludovico Einaudi ed Ezio era un altro uomo.
Fisicamente intendo.
Un uomo che parlava lento ma con la stessa profondità di sempre.
Ci raccontò della sua malattia che ancora non era in stato avanzato ma della quale aveva compreso il percorso e la gravità.
Per questo aveva già abbandonato il contrabbasso per suonare il pianoforte e dirigere.
Ed Ezio era felice, con la sua forza straordinaria.
Una mattina mi chiamò al telefono per comunicarmi di essere stato invitato al Festival di Sanremo.
Gli dissi che mi sembrava un’idea malsana ma la sera che lo vidi in tv piansi sulla tovaglia a quadretti di una pizzeria.
Un pianto sereno per un amico che, attraverso la popolarità dello schermo, condivideva finalmente la sua poesia luminosa e trasparente con tutti.
Una poesia che ha fatto bene al mondo.
E poi le cattiverie dei musicisti e dei tanti: Bosso che suona il piano come un bambino o Bosso di cui si parla solo perché ha la SLA senza che nessuno si sia posto il problema di conoscere la sua vita.
Senza sapere che una nota del suo piano valeva più di mille altre e che in quella nota c’era un vissuto mangiato in pochi anni di vita e di sogni.
Mi piace ricordare Ezio con due immagini.
Un pranzo nella nostra casa in una tiepida giornata di maggio in cui si parlava di musica contemporanea e di vita da vivere e i due bellissimi concerti a Time in Jazz.
Il primo assieme al sottoscritto e a Erri De Luca sul tema dei “Piedi” davanti alla piccola chiesetta di Mores sotto un sole intenso e un silenzio surreale tagliato dal frinire delle cicale e quello con il suo gruppo di archi dentro il vulcano spento di Ittireddu.
E poi un surreale concerto notturno con il pubblico seduto per terra e con un Ezio raggiante che illuminava la notte.
Queste sono le immagini che ho negli occhi e queste rimarranno con me per sempre.
Rimarrà il suo sorriso intenso.
Sorriso da ragionare con lentezza e che Ezio comandava con i muscoli di un cuore che era più grande di noi.
Rimarranno le sue parole oltre agli occhi umidi dei tanti che accorrevano ai suoi concerti.
Sono fortunato ad averti conosciuto.
Fortunato ad averti conosciuto sempre uguale e sempre diverso.
Ciao Ezio.
Paolo"
Il ricordo di Paolo Fresu, trombettista e bolognese di adozione come Ezio Bosso.
Photo Credit: Alessandra Freguja
Un pranzo nella nostra casa in una tiepida giornata di maggio in cui si parlava di musica contemporanea e di vita da vivere e i due bellissimi concerti a Time in Jazz.
Il primo assieme al sottoscritto e a Erri De Luca sul tema dei “Piedi” davanti alla piccola chiesetta di Mores sotto un sole intenso e un silenzio surreale tagliato dal frinire delle cicale e quello con il suo gruppo di archi dentro il vulcano spento di Ittireddu.
E poi un surreale concerto notturno con il pubblico seduto per terra e con un Ezio raggiante che illuminava la notte.
Queste sono le immagini che ho negli occhi e queste rimarranno con me per sempre.
Rimarrà il suo sorriso intenso.
Sorriso da ragionare con lentezza e che Ezio comandava con i muscoli di un cuore che era più grande di noi.
Rimarranno le sue parole oltre agli occhi umidi dei tanti che accorrevano ai suoi concerti.
Sono fortunato ad averti conosciuto.
Fortunato ad averti conosciuto sempre uguale e sempre diverso.
Ciao Ezio.
Paolo"
Il ricordo di Paolo Fresu, trombettista e bolognese di adozione come Ezio Bosso.
Photo Credit: Alessandra Freguja