La vera storia della Partigiana Fasulin

dove sua zia aveva un albergo e dove i suoi cugini di sicuro sarebbero riusciti a metterlo in contatto con qualche Comando partigiano, di quelli che combattevano su quelle montagne. Erano i primi di luglio quando Dino partì per l'avventuroso viaggio verso la Valle di Susa. Appena arrivato a Condove, il cugino di Dino lo presentò ad un amico, che era in contatto con i Partigiani. Di lì a poco tutti e due attraversarono la piazza del paese e si incamminarono verso i boschi, come per fare una passeggiata. Fu così che Dino arrivò in montagna, in un piccolo paesino chiamato La Rocca, dove si nascondeva un gruppo di Partigiani. Venne presentato al Comandante, che si chiamava Idolo Coletto, ma che tutti chiamavano con il suo nome di battaglia, che era Bill. Dino chiese di essere accettato come Partigiano.

“Il sole sorge ancora!” Enrica scende dalle montagne per andare a liberare Torino.

La fabbrica dei mobili

Sono stata una bambina e una ragazzina felice e fortunata. Avevo una bella casa, due genitori che mi volevano bene, tanti amici con i quali giocare. Mio papà aveva una grande fabbrica, in cui si producevano mobili di legno bellissimi, che andavano a finire in palazzi importanti, anche di re e di principesse! Io ero molto orgogliosa del lavoro di papà e lui qualche volta mi chiedeva di aiutarlo a disegnare i mobili che poi i suoi falegnami avrebbero costruito. Quando scoppiò la guerra però le cose cominciarono ad andare male. Gli operai più giovani furono costretti a smettere di fare letti, tavoli, poltrone e armadi e furono mandati a combattere. In fabbrica rimasero solo papà e gli operai più vecchi.

Ci incamminammo, con Dino in testa al gruppo, giù per i sentieri stretti, tutti in fila indiana. Ad un tratto, un nostro compagno Partigiano si sentì male. Non potevamo certo abbandonarlo. Decidemmo quindi che io sarei stata lì con il malato, nascosta in un fienile, in attesa che arrivasse a visitarlo un medico nostro amico. Poi avrei cercato di raggiungere il mio gruppo: la strada per Torino la conoscevo! All'alba mi rimisi in cammino, tutta sola. Avevo da poco superato la città di Avigliana quando venni circondata da un gruppo di Partigiani, che io non conoscevo. Anche loro non sapevano chi fossi: non mi avevano mai vista! E pensarono che io fossi una fascista, una amica dei tedeschi!!!

A Casale, quando ero bambina, c'erano tante famiglie&nbsp;di religione ebraica, che vivevano vicino a noi, tranquilli e in pace. Un giorno però, prima ancora che scoppiasse la guerra, il Capo del Governo di allora, che si chiamava Mussolini, aveva fatto scrivere terribili leggi contro gli ebrei. Ai bambini e alle&nbsp;bambine ebrei&nbsp;venne vietato di andare a scuola. Le maestre e i professori ebrei vennero licenziati. E molte signore ebree, che io conoscevo molto bene, anche quelle inesperte e anziane, furono costrette a diventare tutte operaie e ad andare nelle fabbriche a lavorare per il Governo, sempre accompagnate da un soldato armato. I loro volti tristi mi davano un senso di grande ingiustizia e, anche se ero ancora piccola, dentro di me mi ribellavo.

Quando i fascisti fecero irruzione in casa, per controllare se stavamo nascondendo degli ebrei, guardarono anche dentro all'armadio. Ma trovarono soltanto vestiti!!! Il doppio fondo inventato da papà aveva funzionato. Nella notte il Preside venne accompagnato in una casa in campagna e si salvò!

Il papà di Enrica costruisce un armadio speciale per nascondere gli ebrei.

Quando scoppiò la guerra io ero ormai una ragazza. A me sarebbe piaciuto fare la pittrice (e lo sono diventata... ma molti anni dopo!) ma i miei genitori non mi lasciarono andare a studiare lontano, a Torino. Rimasi quindi a Casale. E fu una fortuna, perché un giorno, mentre facevo una gita in bicicletta, incontrai un giovane di nome Dino. E mi innamorai! Il nostro fu un fidanzamento breve: ci sposammo il 10 gennaio del 1943. Dino era stato chiamato a fare il soldato, ma in cuor suo sperava che la guerra finisse presto. Gli inglesi, i russi e gli americani stavano cercando di sconfiggere Hitler, il Capo del Governo della Germania e dei nazisti, che stavano distruggendo mezza Europa e sterminando milioni di ebrei.

Dino era arrabbiatissimo! E dire che si era tanto raccomandato di far partire un solo colpo, perché le munizioni erano poche! Mi tolse dalle mani la mitraglietta e mi riconsegnò il fucile. E quella fu la sola volta in cui sparai in vita mia. Tornai quindi a fare quello che sapevo fare meglio: scrivere! Proposi di fare un giornale murale, per parlare di noi Partigiani e per invitare i cittadini a ribellarsi, a riconquistare la Libertà dell'Italia! Lo avremmo potuto appendere di notte, sui muri delle case di Condove, dove tutti il mattino dopo avrebbero potuto leggerlo. Tutti i miei compagni accettarono l'idea. Sarebbe stato il nostro “Giornale Partigiano”! E decidemmo di chiamarlo La Raffica... forse a ricordo del mio disastroso tiro di prova!

Per conoscere meglio Fasulin e ascoltare le sue parole…

Mi chiamo Enrica e sono nata a Casale Monferrato il 28 febbraio del 1922. Era il martedì di carnevale e forse questo mi ha dato la voglia di scherzare, nonostante le difficoltà e i problemi. E questa voglia di sorridere mi ha accompagnata per tutto il tempo della mia lunga vita. Pensate un po', sono arrivata a festeggiare i 99 anni! Davvero una lunga vita, in cui ci sono stati tanti momenti belli, ma anche tanti giorni tristi e difficili. Soprattutto quelli della guerra. Sono proprio questi giorni che vi voglio raccontare, perché bisogna imparare che la guerra è una cosa&nbsp;terribile. Bisogna imparare&nbsp;che ognuno di voi, ogni giorno, deve impegnarsi per difendere la libertà e costruire la pace. Un po' come ho fatto io.

Lo trovai al centro del cortile, dietro a un tavolo, mentre controllava molti documenti. Attorno a lui c'erano parecchie persone. Senza dimostrare di aver paura o di fare qualcosa di sbagliato, mi avvicinai sorridendo e gli chiesi gentilmente se potevo andare a salutare il marito di mia sorella. Di sicuro il Capitano non pensò che io potessi essere un pericolo, infatti mi disse di andare nel secondo cortile del castello, dove stavano raggruppati i prigionieri. Appena vidi Bertino, mi avvicinai e gli dissi sottovoce di andare fuori, approfittando della confusione e che papà lo stava aspettando vicino alle mura, con una bici. Bertino capì al volo e si incamminò verso il primo cortile, per fortuna senza essere fermato.

Io e Dino, di nascosto, andavamo in giro in bicicletta, sulle colline che circondano Casale, con la speranza di trovare qualcuno che ci illuminasse, che ci dicesse un nome, un posto in cui poter incontrare i Partigiani, quei ragazzi coraggiosi che stavano combattendo per la Libertà dell'Italia. Ma in collina i paesi sembravano quasi disabitati. Raramente si incontrava qualcuno. E nessuno sapeva dirci dove trovare i Partigiani. Eppure dovevamo trovare una soluzione: per Dino casa nostra cominciava a essere pericolosa. I tedeschi avevano aumentato la sorveglianza e lui si sentiva braccato. Quindi, prima di essere preso, fucilato o inviato in un campo di concentramento, decise di andare a Condove,

Non era giusto che gli ebrei venissero maltrattati in questo modo!!! Poco per volta la persecuzione contro di loro si fece più pesante e furono deportate nei Lager della Germania intere famiglie di ebrei di Casale. Io avevo un amico ebreo, che si chiamava&nbsp;Dario. Spesso quando veniva a trovarmi mi regalava qualche cioccolatino, perché la sua mamma aveva un negozio di dolci e confetti, in via Cavour. Poi un giorno non lo vidi più. Anche lui era stato deportato in un Lager. Alcuni ebrei riuscirono a nascondersi e a salvarsi. Mio papà aveva inventato un grande armadio con un doppio fondo e con dei buchi ben nascosti, per permettere di far passare l'aria. Nascondemmo in quell'armadio anche un nostro vicino di casa, il Preside Ottolenghi.

Enrica vede Dino in bicicletta e si innamora.

Ringraziamenti Un grazie grande a chi mi ha aiutata nella realizzazione di questo libro: a Piera Canavesio, che ha fatto diventare “digitale” un insieme di parole scritte, musiche e disegni; a Leonardo Meacci, che ha insegnato a cantare e ha registrato le canzoni di apertura e chiusura; a Edoardo Depaoli, che insieme alle classi quinte ha corretto le bozze. E un grazie grandissimo ai bambini e alle bambine della Primaria Lambert di Oulx, che in questi anni sono diventati amici di Fasulin e che hanno illustrato con entusiasmo e tanti colori la sua vera storia di Partigiana. BD

Prima di andarsene dalla fabbrica, per non essere riconosciuta, la bionda Enrica si tinge i capelli di nero.

Finalmente arrivai nel piccolo paesino dove si nascondeva Dino, con i suoi compagni Partigiani. Il primo che incontrai si chiamava Gin: scoppiò in una grande risata nel vedermi in quello stato. Subito dopo arrivò Dino, che mi guardò e disse: “Ma come ti sei conciata?!” Poi prese un panno, lo inumidì e con dolcezza mi pulì la faccia, che nel frattempo era diventata tutta nera!

La mia amica “Fasulin”, nome di battaglia di Enrica Morbello Core, Partigiana della 114° brigata Garibaldi, ha combattuto sulla montagna di Condove negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale All'età di 97 anni è diventata anche una “amica di penna” dei giovani allievi della Primaria Lambert di Oulx. A loro ha scritto numerose lettere e raccontato nuovamente la sua vera storia, che era già stata pubblicata nel 2007, in un libro autobiografico, intitolato “Dalla parte giusta”.

L'8 settembre il marito di mia sorella, che si chiamava Giuseppe Alberto, ma che tutti noi chiamavamo Bertino, era stato fatto prigioniero dei tedeschi e rinchiuso nelle prigioni del castello di Casale. Tutti in casa eravamo molto preoccupati e sapevamo che rischiava di essere deportato in Germania, in un campo di concentramento, in un Lager, proprio come capitava già agli ebrei. Dovevamo salvarlo! Papà ed io organizzammo la sua fuga. Andammo al castello con due biciclette. Papà si fermò, con le due bici, vicino alle mura del grande palazzo. Io invece mi feci coraggio ed entrai nel cortile del castello, andando a cercare il Capitano che comandava i soldati e controllava i prigionieri.

Enrica e suo marito Dino, a guerra finita.

In Italia però queste notizie non venivano scritte sui giornali, perché così capita quando non c'è la Libertà e si vive in dittatura, ma per fortuna c'era una radio segreta, che si chiamava Radio Londra, che ci faceva circolare queste informazioni. L'8 settembre del 1943 Dino ed io stavamo proprio per ascoltare Radio Londra, quando la radio italiana annunciò che il Re d'Italia aveva firmato l'armistizio. Voleva dire che l'Italia non sarebbe più stata alleata dei tedeschi e dei nazisti. Dino si precipitò in strada gridando e urlando la sua gioia: “La guerra è finita!” Purtroppo però non era vero. La guerra sarebbe durata ancora più di 2 anni. Ma Dino non voleva più combattere. E soprattutto non voleva più farlo dalla parte sbagliata. Dino non tornò in caserma e si nascose in casa nostra. E poi cominciò a cercare di mettersi in contatto con i Partigiani, con chi aveva cominciato la lotta di Liberazione dell'Italia.

Un giorno, mentre stavo “lavorando” in fabbrica, un amico arrivò correndo alla mia scrivania e mi disse, tutto d'un fiato:

“Ha telefonato Dino! Dice che i tedeschi hanno scoperto che qui nella fabbrica c'è una spia! Dice che devi scappare, salire anche tu in montagna. Ma c'è un problema: qua fuori i soldati tedeschi stanno bloccando tutte le donne, soprattutto quelle bionde come te! Sicuramente ti vogliono catturare! Per ora ti conviene rimanere qui, dentro alla fabbrica. E nel frattempo cerchiamo una soluzione!”

Alfredo mi aiutò a preparare una carta d'identità falsa e poi andammo alla fabbrica, dove altri amici dei Partigiani mi avevano già preparato un ufficio. Presi subito servizio: mi sistemai alla scrivania, dove c'era una macchina da scrivere, un “ciclostile” (che era una specie di stampante che funzionava a mano, senza bisogno di corrente elettrica) e poi carta, penne, matite... Ma che lavoro avrei dovuto fare? Quando davanti al mio ufficio passava qualche soldato tedesco avrei dovuto far finta di essere una segretaria della fabbrica, ma quando nessuno mi guardava avrei dovuto scrivere una specie di giornale in cui raccontare la storia dei Partigiani e spiegare ai giovani come impegnarsi per liberare l'Italia. Era un compito molto rischioso: era vietato scrivere informazioni di questo genere. Se mi avessero scoperta sarei stata di sicuro fucilata. Ma non mi spaventai e iniziai così il mio lavoro segreto di giornalista!

Questa storia, amata dalle bambine e dai bambini dell'alta Valle di Susa, nel centenario della nascita di Enrica è diventata una mostra di disegni, inaugurata a Oulx, non a caso il 25 aprile del 2022. Quella mostra diventa oggi un libro, da sfogliare ed ascoltare, per far sì che anche i nostri allievi, cittadine e cittadini di domani, trovino il coraggio di stare sempre “dalla parte giusta”. Barbara Debernardi Dirigente Scolastica DD Lambert Oulx, 25 aprile 2023

Mi fecero prigioniera e mi portarono in una casa lì vicina, per farmi un processo. Uno di loro mi spintonò contro un muro urlandomi: “Ti ho vista sui camion dei fascisti! Sei una di loro!” E senza alcun preavviso, mi sparò. Io di scatto spostai la testa e non venni colpita: avevo solo i capelli del lato sinistro un po' bruciacchiati. Il proiettile si conficcò nel muro. Poi mi arrabbiai davvero! Gridai loro che stavano facendo un terribile errore! Ero una Partigiana come loro! Dovevo raggiungere il mio gruppo, per andare a liberare Torino!!! Uno di loro mi urlava: “Se sei una Partigiana, ci dici dove hai il tesserino?”

Bella ciao il testo di Bella ciao è cantato dai bambini della classe V A a.s. 2022-2023

Oltre il ponte è invece cantato dai bambini della classe VB a.s. 2022/2023

tedeschi erano distratti, tiravamo fuori e portavamo dietro alla fabbrica, vicino al muro di recinzione. Da lì le buttavamo nel prato, dove i Partigiani sarebbero passati a prenderle, per portarle in montagna. Il mio era un impegno pericoloso. Ma ero felice di fare la mia parte! Sapevo di essere dalla parte giusta!

Enrica entra a lavorare in fabbrica, fingendo di essere una segretaria.

Radio Londra trasmette la parola d’ordine per scendere dalle montagne a liberare Torino

Finalmente arrivai a Torino e mi diressi verso una grande fabbrica che sapevo era stata presa dai Partigiani. Fuori, davanti al grande portone, c'era un posto di guardia composto da quattro Partigiani armati, che bloccavano l'ingresso. Mi dichiarai Partigiana anch'io e questa volta non ebbero dubbi: mi lasciarono entrare. Oltre il portone si apriva un grande cortile, circondato da capannoni. Sui tetti erano state messe delle mitragliatrici. Entrai nel cortile e, proprio di fronte a me, non più distante di quattro metri, vidi il mio Dino, che stava dando ordini ai nostri compagni, che stavano alle mitragliatrici. I tedeschi stavano per essere sconfitti.

EDITING Ufficio Stampa Direzione Didattica LAMBERT (Piera Canavesio )

Ma dove trovare la tintura per i capelli in fabbrica? In mancanza di meglio, usai del lucido da scarpe nero! Poi uscii dalla Moncenisio e, cercando di camminare con l'aria tranquilla, attraversai la piazza e mi incamminai verso la montagna. Fortuna volle che i tedeschi non mi fermassero. Del resto loro stavano cercando una spia bionda, non una segretaria con i capelli neri!!! Iniziai a salire lungo il sentiero dei boschi. Stava piovendo. E più in alto nevicava. Io continuai a camminare, scivolando ogni momento, perché avevo le scarpe da città... E nel frattempo non mi accorgevo che stavo diventando un mostro. La tinta dei capelli aveva cominciato a sciogliersi e a scendermi sulla faccia: avevo le guance a righe nere!!!

Io ero rimasta a casa, a Casale. Ma anch'io volevo fare qualcosa per liberare l'Italia dalla dittatura. Come potevo fare? Fu allora che presi una decisione: sarei partita anch'io. Sarei andata anch'io in Valle di Susa, a Condove, e là sarei rimasta, cercando di aiutare in qualche modo Dino e i suoi compagni Partigiani. Appena arrivata a Condove, andai ad abitare nell'albergo della zia di Dino. L'albergo era mezzo vuoto, perché era vicino alla ferrovia e veniva spesso bombardato. Era considerato un posto pericoloso, ma non potevo trovare di meglio. Mi feci coraggio, mi sistemai in una camera e rimasi ad aspettare che Dino, o qualche suo amico Partigiano,

Poi un giorno arrivarono gli Ufficiali e, facendo la voce grossa, spiegarono a papà che doveva smettere di costruire mobili: doveva cominciare a costruire cassette per le armi, per le munizioni! Ma papà era un uomo di&nbsp;pace e&nbsp;si rifiutò. Disse che non poteva, che non aveva la giusta attrezzatura... Gli Ufficiali se ne andarono, ma poi tornarono a controllare se era proprio vero che gli mancavano i macchinari adatti a far cassette. Allora papà, per sfuggire a questo obbligo, che lui considerava sbagliato e insopportabile, decise di vendere tutta la fabbrica. Che tristezza! Non avrebbe più costruito i suoi bellissimi mobili. Ma non avrebbe neppure costruito brutte casse di armi. E papà sapeva di aver fatto la cosa giusta.

Enrica e Dino, i Partigiani che avevano scelto di stare “dalla parte giusta”.

Mentre Enrica è in fabbrica scopre di essere in pericolo. Deve scappare!

La prima cosa che mi venne in mente fu di tingermi i capelli: stavano cercando una biondina. Quindi bisognava diventare diversa, bruna.

Indice Introduzione al libro						pag. <a href="bookcreator://page/IojUPARwSK2Kls-V24oTFA">7</a> La storia di Enrica						pag. <a href="bookcreator://page/FYGKG78qSpiUzzuQVLRKrw">11</a> La fabbrica dei mobili						pag. <a href="bookcreator://page/6ofgl7bHSKCLS33dx9H_aA">12</a> Gli ebrei									pag. <a href="bookcreator://page/84I0hFT-QAO2Z97jbAqUpw">15</a> Dino									pag. <a href="bookcreator://page/CKQ_plUDSx-9u5KhZRWWTw">18</a> La fuga di Bertino						pag. <a href="bookcreator://page/J_4sAmCmSLGVqDqysJ5OzQ">21</a> Dino diventa Partigiano				 	pag. <a href="bookcreator://page/GWXoDdVWRsCn4tLaV1bBPw">25</a> Vado in Valle di Susa anch’io				pag. <a href="bookcreator://page/XJwrHGb8RBalcxKTi9WZTQ">29</a> Devo scappare							pag. <a href="bookcreator://page/LhuKOn4IQ_KrTgfccPaUsA">34</a> Divento la Partigiana Fasulin				pag. <a href="bookcreator://page/xRWvg4bQRKqZefZRBZiCNw">38</a> Il sole sorge ancora						pag. <a href="bookcreator://page/mUuoHxxVTeelCkZKlWW6tQ">43</a> Per ricordare Fasulin					pag. <a href="bookcreator://page/F6nwV8k7TSWLXPQmoH_KMA">54</a> Ringraziamenti							pag. <a href="bookcreator://page/HnlYeTr9QcK0equmX7RRMQ">59</a>

Bertino è prigioniero nel castello di Casale. Ma Enrica e suo papà riescono a liberarlo.

Bill gli fece un discorso importante e gli disse: ”Ricordati che la vita di noi Partigiani in montagna è dura! Qui, oltre a combattere i tedeschi e i fascisti, combattiamo anche contro la fame. Ci manca un po' di tutto: armi, cibo, vestiti caldi. Ciò che ti aspetta è solo sacrificio e rischio. Ma, se non ti spaventano queste cose e se è vero che sei esperto di armi e di guerra, sarai ben accolto!” Con queste parole Bill gli strinse la mano e si allontanò. E così Dino diventò un Partigiano della Valle di Susa.

“Il tesserino non lo portiamo mai con noi - risposi urlando anch’io - perché ad un nostro compagno, dopo averlo ucciso, hanno trovato il tesserino e i fascisti sono andati a bruciargli la casa!” Nel mentre, cercando nelle mie tasche, trovai finalmente un foglietto, piegato in piccolissime parti. Lo aprii e lo consegnai al loro Capo. Sul biglietto c'era scritta la nostra parola d'ordine: Il sole sorge ancora. Per fortuna capirono e mi credettero. Ero una Partigiana come loro! Fui subito liberata e ricominciai a camminare verso Torino. Avevo perso un sacco di tempo e anche rischiato di morire! Chissà dove era finito il mio gruppo! Chissà quando avrei potuto rivedere il mio Dino!

Dino sale in montagna e diventa Partigiano.

Enrica in montagna comincia a scrivere un giornale partigiano.

Non mi sarei più chiamata Enrica, ma -visto che ero piccola piccola, come un fagiolino- il mio nome fu “Fasulin”, come si dice “fagiolino” in piemontese.

Enrica diventa Partigiana e prova a sparare.

Il papà di Enrica pensa che trasformare una fabbrica di mobili in una fabbrica di armi sia una cosa sbagliata.

scendesse dalla montagna per dirmi cosa avrei potuto fare per aiutarli. Il giorno dopo arrivò un ragazzo a cercarmi. Era un Partigiano mandato da Dino, che si faceva chiamare Alfredo e che aveva notizie per me. Mi disse: “Il Comando partigiano ha bisogno della tua collaborazione. Sono stato incaricato di farti entrare in fabbrica, alla Moncenisio. Farai finta di fare la segretaria e invece lavorerai per i Partigiani!” La Moncenisio era una grande fabbrica di Condove. In tempo di pace costruiva soprattutto treni e rotaie, ma adesso, con la guerra, ospitava anche una grande officina, dove i tedeschi riparavano e posteggiavano i loro automezzi, le camionette e i carri armati. Era un posto pericoloso, ma accettai!

Una mattina verso le otto arrivò il Comandante, mi diede una piccola mitragliatrice e disse a tutti: “Adesso andiamo fuori, piazziamo un bersaglio e insegniamo alla nostra compagna a sparare!” Come bersaglio venne messa una cartolina contro il muro di una stalla. Tutti i Partigiani si misero attorno a me e si raccomandarono di sparare un solo colpo, al massimo due. Io presi la mira, ma ero così spaventata che non distinguevo nulla. Chiusi gli occhi, misi il dito sul grilletto e ... feci partire tutto un caricatore! Alla fine, per farlo smettere, alzai l'arma al cielo, continuando a sparare a raffica, mentre attorno a me si fece il vuoto: un fuggi fuggi generale!!! Naturalmente la cartolina non l'avevo colpita.

Tutti i Partigiani sapevano che un giorno saremmo dovuti scendere dalle montagne per andare a liberare Torino e tutto il Piemonte. Radio Londra, cioè la nostra radio clandestina, quella che ascoltavamo di nascosto, ci avrebbe trasmesso una parola d'ordine, per farci capire che era arrivato il momento giusto. E finalmente la parola d'ordine arrivò! Il messaggio segreto diceva: il sole sorge ancora. Ci arrivò anche un biglietto, di un nostro compagno, di nome Valerio, che stava giù in bassa valle, che ce la confermava. Io non buttai via quel biglietto, che poi si rivelò prezioso. Fu così che il nostro Comandante ci ordinò di scendere verso Torino. Era il 25 aprile del 1945.

Enrica Morbello – Noi, partigiani

Granai della Memoria :: Enrica Morbello Core

Nome di Battaglia Donna

Intervista a Fasulin

La scelta giusta di Enrica Morbello Core, la partigiana Fasulin

Intitolammo il giornale “Gioventù valsusina”. Io scrivevo, facevo anche i disegni, passavo i fogli nel ciclostile e ne stampavo 50 copie. Poi davo i giornali ad alcuni ragazzi, amici dei Partigiani, che di nascosto li distribuivano in fabbrica e in paese. Oltre a scrivere il giornale avevo anche altri incarichi. Mentre facevo finta di lavorare, controllavo tutto quello che facevano i tedeschi, avvertivo il Comando partigiano quando uscivano con i camion, segnalavo qualunque movimento. Inoltre facevo arrivare ai Partigiani le armi che venivano costruite di nascosto nella fabbrica. La mia scrivania infatti era messa sopra a un soppalco di legno. Gli operai nostri amici in questo soppalco avevano costruito una botola ben nascosta, proprio dove io mettevo i piedi: lì dentro, di notte, mi nascondevano delle armi, che poi di giorno, mentre i

Lì ci dividemmo e io mi fermai dal Capitano, lo ringraziai, gli chiesi della sua signora e dei suoi bambini. Nel frattempo, mentre distraevo il Capitano con i miei sorrisi, con la coda dell'occhio controllavo Bertino, che con passo deciso usciva dal castello, come se nulla fosse e non fosse un prigioniero. Tirai un sospiro di sollievo. Un saluto al Capitano e via! Uscii anch'io! Appena fuori dal castello non vidi più papà, Bertino e le due bici. Ce l’avevamo fatta! Finalmente rilassata, mi incamminai a piedi verso casa. Avevo liberato un prigioniero, senza neppure usare un'arma o sparare un colpo!

In occasione dei suoi ultimi compleanni (98 e 99 anni) incontrò i bambini della Direzione Didattica di Oulx che le donarono fiori e intrapresero con lei una bellissima corrispondenza 

Dino in quel momento mi sembrò bellissimo, un vero eroe, anche se aveva una divisa tutta strappata e ai piedi aveva una scarpa e una ciabatta, perché l'altro scarpone prima gli aveva spellato il piede e poi si era rotto! Corsi verso di lui, che mi abbracciò stretta, ma solo per un attimo, perché c'era da difendere la fabbrica. Fu una lunga battaglia. Ma alla fine i tedeschi si ritirarono e scapparono. Torino era libera, liberata da noi Partigiani, che avevamo scelto di stare “dalla parte giusta”.

Appena arrivata nella baita dove vivevano Dino e i suoi compagni, il Comandante mi fece un discorso di benvenuto: “Da adesso in poi non sarai più una finta segretaria e neppure la moglie di Dino. Sarai considerata come un qualsiasi altro Partigiano, dovrai rispettare i miei ordini, fare i turni di guardia e ti daremo un fucile. Il tuo compito sarà anche custodire i nostri documenti segreti e i soldi della Brigata!” Così dicendo mi consegnò una borsa di pelle nera da mettere a tracolla. Poi mi portò fuori e mi consegnò il fucile, che era alto quasi quanto me! Mi insegnò subito a smontarlo, rimontarlo e ad inserire la pallottola. Ma non ancora a sparare. Mi diedero anche un nome di battaglia.

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