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MEDITERRANEO Racconti di viaggio 3 puntata

by Isabella Mecarelli

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Isabella Mecarelli
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MEDITERRANEO
Racconti di viaggio
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Parte 3^
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COMEN Conferenza Mediterranea
Associazione Internazionale
Il mercato di domenica

           La domenica stabilimmo di prenderci una giornata di tutto riposo. Pensammo così di fare la spesa al mercato di Hammam-lif insieme a una coppia di inglesi conosciuti al campeggio, la cui meta era il Marocco: lui, Andy, era un tipo decisamente hippy, che non spiccicava una parola che non fosse in inglese; la sua ragazza invece conosceva il francese e fu appunto in quella lingua che comunicammo. I due viaggiavano a piedi, ossia solo con mezzi pubblici, per cui, quando gli proponemmo di accompagnarci al mercato, accettarono ben volentieri.
           Li caricammo in macchina come fossero oggetti perché Rolando, data la quantità enorme di bagagli che avevamo portato, aveva tolto i sedili posteriori per acquistare spazio; inoltre le cose che avevamo tolto, quelle utili per la nostra sosta, non erano molte, per cui lo spazio rimasto era appena sufficiente perché i nostri ospiti si sistemassero, ma accucciati.
           Durante il tragitto non potevamo fare a meno di sorridere per la buffa posizione che erano costretti ad assumere, tutti rattrappiti; ma loro si mostravano ugualmente contenti del passaggio. Ci consideravano molto fortunati ad avere una macchina per viaggiare, mentre la loro era ancora nei sogni. Insomma, ci fecero sentire ricchi e baciati dalla fortuna (al diavolo la Uaz col suo armamentario che avevamo adocchiato nel porto di Palermo!).
Al mercato comprammo del tonno fresco (almeno per tale ce lo vendettero). Fu al momento di preparare il pranzo che mi resi conto che non avevo idea di come cucinarlo. Allora chiesi una consulenza a una vicina di tenda, una signora tunisina venuta con la famiglia a passare la domenica in spiaggia, che mi spiegò molto cordialmente come fare.

           Quel giorno eravamo in vena di generosità: forse spinti da quel senso di colpa che a volte assale i ricchi nei confronti dei meno fortunati, decidemmo di invitare al banchetto un ragazzo olandese, arrivato la sera prima. Ci eravamo accorti che, privo di tenda, aveva dormito all’addiaccio, non aveva mangiato un bel niente finora, e se ne stava da ore appisolato in un dolce ozio chiaramente dovuto alla fame. Superfluo dire che accettò di buon grado, e con mille ringraziamenti.

           Mentre stavamo seduti a pranzo, cercando di farci piacere quel tonno dal sapore sospetto, la figlioletta della signora tunisina si avvicinò timidamente con un piatto di chakchouka, una sorta di ratatouille, una specialità tunisina piccante, che ci piacque molto perché era ottima. Non sapendo con cos’altro ricambiare la gentilezza, ripiegammo sui classici spaghetti all’italiana. Ma lo scambio di cortesie gastronomiche non si fermò qui: alla fine del pranzo la bambina ritornò per offrirci tre belle fette di cocomero, degna conclusione del banchetto. 
Non posso non aggiungere in coda la nota dolente: il nostro tonno, venduto sfacciatamente per fresco, era, per dirla chiaramente, disgustoso, e non credo lo fosse per la ricetta che avevo seguito alla lettera, ma in quanto tale. Nonostante ciò, il giovanotto olandese aveva mostrato di gradirlo, sperticandosi in lodi, ma lui non poteva certo far testo...

           Andai a pulire i piatti ai lavandini del campeggio e lì devo dire che durante tutta l’operazione occorreva muoversi, agitarsi, addirittura danzare, nel senso che era il luogo dove tutti gli insetti della zona venivano a banchettare e ristorarsi: lì trovavano acqua e cibo (soprattutto il nostro sangue) a volontà. Nel film che abbiamo girato in 8 mm mi rivedo con gran divertimento, mentre mi divincolo come nel ballo di S.Vito per tentare di scacciare mosche e zanzare.

           Per il resto quel camping non era male, si può dire decente, anche se non di lusso. Era sorvegliato giorno e notte. Il custode era un vecchio gentile, sempre cordiale e sorridente, che ci salutava ogni volta all’entrata e all’uscita. Spesso ci fermavamo a scambiare due chiacchiere. Una volta gli chiesi se ci potevamo fidare a bere l’acqua del rubinetto e lui mi rispose con orgoglio, raddrizzando la schiena: “L’eau c’est toute bonne en Tunisie!”. Era vero, lo sperimentammo anche in seguito durante il viaggio, quando ci imbattemmo in varie località dove i pozzi artesiani fornivano acqua fresca e sana.
Due giorni di sosta forzata con disavventure
 
L’indomani, lunedì, tornammo in banca, ma i soldi non erano ancora arrivati. Una vera seccatura perché così eravamo costretti a prolungare il soggiorno a Tunisi, perdendo giorni preziosi. Avendo allora un’altra giornata da passare, ne approfittammo per recarci alla Kouba, un delizioso padiglione moresco che avevo visitato anni prima, trovandolo molto piacevole. Si trattava di un edificio costruito in posizione panoramica sul colle del Belvedere.
L’interno era tutto un lavoro di marmo traforato e di mattonelle variopinte, dove si riconoscevano bene i disegni e i colori delle ceramiche di Nabeul.

Quando posteggiammo la macchina, ci si avvicinò un poliziotto che attirato dalla nostra targa, Roma, ci salutò, mostrandosi ammirato come diversi altri prima di lui a Tunisi per la nostra provenienza dalla Città Eterna. Molti tunisini mostravano gran simpatia per gli italiani e addirittura una sorta di venerazione per Roma. Attratto anche dalla nostra radio transistor, ci chiese se potevamo vendergliela, ma gli spiegammo che ci era troppo utile per il viaggio. 
Il nuovo tentativo effettuato il giorno dopo in banca, ci riservò un’altra sgradita sorpresa, (preannunciatrice, come si vedrà, di future grane): erano arrivati finalmente i soldi, ma ci furono consegnati soltanto per il 30% in franchi francesi, mentre noi ne avevamo fatto richiesta per l’intera somma; il resto ci fu dato in dinari tunisini. Ci rivolgemmo allora all’ambasciata, dove ci consegnarono un biglietto di presentazione per un funzionario della banca in questione, che era italiano. Grazie a lui la faccenda si appianò: venne annullato il pagamento precedente e stabilito che il giorno dopo ci avrebbero versato tutta la somma in franchi.

           Ancora in preda all’agitazione, torniamo nell’Avenue Bourghiba, dove è parcheggiata la Ford, ma non la troviamo. Sparita. Ci tranquillizziamo un po’ soltanto quando notiamo il cartello del divieto di sosta: sarà stata asportata dal carro attrezzi? Ci costringiamo a pensare così per consolarci. Raggiungiamo sotto un sole spietato il parco macchine sequestrate: il recupero ci costa ben sei dinari.

           Riavuta la vettura, decidiamo di aspettare che riaprano i negozi. Scendiamo quindi dall’auto e nello stesso istante in cui chiudiamo gli sportelli, ci accorgiamo di aver lasciato dentro la chiave. Maledizione, avrebbe detto mio padre! Stavolta però, forti dell’esperienza, ci procuriamo presto l’attrezzo giusto, il famoso banale risolutivo fil di ferro, che a quel punto Rolando decide di lasciare per il resto del viaggio attaccato al paraurti, pronto all’uso.
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