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Racconti di viaggio 5^puntata

by Isabella Mecarelli

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Isabella Mecarelli
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Mediterraneo

Racconti di Viaggio
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5^ puntata
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COMEN Conferenza Mediterranea
Associazione Internazionale
Autostop nel deserto

Lasciata Nefta, ci rimettemmo in marcia riprendendo la strada che costeggiava lo Chott el Djerid: alla nostra sinistra risplendeva una landa abbacinante e inospitale. Giungemmo presto al confine con l’Algeria, ma siccome nessuna formalità era prevista per varcarlo, proseguimmo verso l’interno inoltrandoci laddove si respirava la vera e propria aria del deserto.

Avanzavamo nel luogo dei nostri sogni, gettando lo sguardo un po’ ovunque, senza che l’aspetto del paesaggio arido mostrasse altre varietà oltre la sagoma delle ondulazioni: le sabbie dominavano incontrastate.

Mentre procedevamo assaporando la sensazione di trovarci immersi in una dimensione così estranea alle nostre esperienze, d’un tratto si materializzò come per incanto, una figura. Emergendo dalle dune che costeggiavano la via, come una barca dalle onde marine, un arabo, un piccolo uomo scuro vestito di bianco, il capo avvolto da un turbante, si sbracciava verso di noi lanciando chiari segnali che aveva bisogno di un passaggio.
Un po’ titubanti, con la testa ancora imbottita dei romanzi di Salgari sui predoni del deserto, dopo una veloce concitata consultazione, decidemmo di caricarlo. Per precauzione mi misi io al volante, mentre Rolando si sistemò al centro, stretto tra me e il beduino che avvolgendosi ben bene nel suo mantello, si accomodò al posto del passeggero.

Nessuna conversazione fu possibile, il nostro ospite non sapeva una parola di francese; solo a gesti ci fece intendere di andare avanti finché non avrebbe avvertito lui. Ci si comprese benissimo, visto che nei paesi mediterranei, nei rapporti umani, in caso di ignoranza della lingua, la gestualità sopperisce sempre con efficacia alle difficoltà di comunicazione. Intanto Rolando mi trasmetteva le sue osservazioni, notando ironicamente come l’abito del beduino, da cui avevamo temuto effetti indesiderati (argomento passato al vaglio rapidamente al momento di caricarlo) era pulito e le unghie pure, certo più delle sue.

Il suo aspetto ci tranquillizzò, e continuando la strada, vedendo come osservava placido il paesaggio, non dando alcun segno di comportamento pericoloso, ci parve di capire come la faccenda per lui fosse assolutamente normale. 
Nel deserto non c’erano servizi d’autobus né ferrovie, e chi doveva spostarsi, se non aveva animali, doveva dipendere dal buon cuore degli automobilisti o dei camionisti, perché solo quei mezzi transitavano in quelle plaghe sconfinate.
All’improvviso il nostro passeggero ci fece segno di fermarci. Proprio qui?, ci chiedemmo guardandoci attorno: nessun villaggio, non un’anima a perdita d’occhio. Stentammo a credere di aver capito bene. Ma lui insistette: niente affatto, era proprio lì che aveva intenzione di scendere.

Prima di accomiatarci per andare ognuno per la sua strada, si prestò di buon grado a farsi fotografare. Assunse allora una posa fiera, impettita davanti all’obiettivo, significando così il suo ringraziamento per la gentilezza ricevuta. Ci è rimasta così, a tangibile prova di un episodio che in futuro avremmo supposto altrimenti di averlo sognato o che fosse frutto di immaginazione, l’istantanea di quel piccolo uomo dritto in posa con il turbante attorto sul capo, che fissa l’obiettivo con occhi che brillano fieri e un accenno di sorriso sulle labbra.

Ci ringrazia, ci saluta, si allontana di qualche metro, poi, così com’è comparso, si dilegua dietro il profilo delle basse dune che ondulano quel paesaggio sconfinato, lasciandoci interdetti e con una serie di domande che rimarranno per sempre insoddisfatte: come avrà fatto a capire di essere “arrivato”, fra quelle colline di sabbia tutte uguali? Quale punto di riferimento avrà considerato? Non ha paura a vagare tutto solo? Resterà uno dei misteri irrisolti del viaggio.  
Eravamo entrati nel cuore dell’erg e il paesaggio si faceva sempre più sabbioso: ormai erano scomparsi del tutto anche i rari cespugli erbosi che prima del confine punteggiavano qua e là il territorio, mentre il colore predominante era il giallo, in tutte le sue sfumature, e giallo pallido appariva anche il cielo. Il termometro dentro l’auto oscillava tra i 55 e i 56 gradi, anche se risultava meno opprimente di quanto uno potesse immaginare solo a leggere quella temperatura.

Una scena inconsueta per noi, ma normale per quel luogo, apparve a fianco della strada: una enorme mandria di dromedari, saranno stati oltre mille capi, sostava in attesa. Ci fermammo per riprenderli ed osservarli con curiosità, mentre si crogiolavano beati sotto quel sole infernale.

L’erg è affascinante con le sue dune alte come palazzi di trenta piani; è simile a un mare modellato da enormi cavalloni, che mostra una superficie fittamente increspata. La sabbia cammina di continuo, impercettibile, ricoprendo insidiosamente l’asfalto. Ogni tanto piccole montagnole si accumulano sulla carreggiata costringendoci a rallentare; occorre allora deviare per sfruttare il passaggio più adatto, in genere anch’esso ricoperto di una strato di sabbia, solo più sottile. Bisogna allora accelerare per non insabbiarsi, ma calcolando meticolosamente la velocità per evitare che la macchina sbandi.
Eravamo ai margini del grande Erg orientale, nella regione del Souf, abitata da genti che discendevano dagli yemeniti, emigrati in questa zona secoli fa. Le case avevano qui una particolarità unica in tutta l’Algeria: i tetti a cupola. Attraversammo le prime piccole oasi che precedevano El Oued, il centro più importante.
La gente qui viveva sulla strada: vecchi e giovani sedevano in crocchio davanti alle porte delle case: chiacchieravano e fumavano, mentre i bambini giocavano proprio ai bordi dell’asfalto. I turisti erano rari da queste parti e al nostro passaggio eravamo osservati con curiosità.
Di donne non se ne vedevano. Ma gli uomini colpivano per il loro aspetto, diverso dal tipo tunisino: erano più alti e slanciati, e sfoggiavano nasi aquilini. Tutti vestivano di bianco. Anche l’atteggiamento si distingueva per l’andatura particolarmente elegante, il gestire misurato, l’espressione fiera. 

El Oued
A El Oued, l’oasi definita romanticamente “dalle mille cupole”, una birra pagata l’equivalente di ben 600 lire, ci fece capire come la vita qui fosse più cara che in Tunisia. Eravamo arrivati di sabato pomeriggio e il Syndacat (l’ufficio del turismo), punto d’appoggio per gli stranieri in ogni centro del Paese, era chiuso. 
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