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Mediterraneo Racconti di viaggio, 4 parte

by Isabella Mecarelli

Pages 2 and 3 of 19

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Domenica 18 luglio era il giorno del mio compleanno, per cui decidemmo di festeggiarlo godendoci sole e mare nei pressi del campeggio. Gonfiato il canotto, ci spingemmo al largo. Mentre Rolando si dette subito da fare dedicandosi alla pesca col fucile, io rimasi beatamente sdraiata a crogiolarmi al sole, incurante dei suoi strali. Più che decisa ad arrostirmi, gettavo a volte uno sguardo sulla costa suggestiva dove le palme si spingevano fino in acqua; ogni tanto un tuffo serviva a rinfrescarmi, si fa per dire, visto che la temperatura del mare era tiepida e invece che al nuoto, invitava piuttosto a starsene a mollo accarezzati dai flutti.

Rolando risalendo improvvisamente in superficie, mi procurò un sobbalzo. Era tutto eccitato perché aveva incontrato in profondità una splendida manta, l’avrebbe voluta colpire, ma al momento decisivo gliene era mancato il coraggio. Si tuffò di nuovo, per riemergere poco dopo tenendo stretto in mano il premio di consolazione: la spugna che sarebbe andata ad arricchire la bacheca di casa dedicata alle scienze naturali.

La sera al campeggio, prima di dormire, consapevoli stavolta di quanto sarebbe avvenuto nel colmo della notte, applicammo dei tappi di ovatta alle orecchie per proteggerci dalla musica assordante che come previsto si ripeté.
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Il soggiorno sull’isola si protrasse per alcuni giorni. Ci eravamo ambientati. Avevamo anche scambiato le impressioni di viaggio con alcuni italiani, ospiti dell’albergo, che lamentandosi per il cibo e la scarsa pulizia, ci fecero apprezzare ancor più la nostra sistemazione in campeggio.

Avevamo intenzione di riposarci ben bene, in modo da affrontare al meglio i disagi che avrebbe comportato la nostra puntata nel deserto. Al camping incontrammo anche dei giovani francesi molto simpatici. Provenivano addirittura da In Salah, l’oasi estrema dove si erano spinti, oltre la quale finiva il nastro d’asfalto e cominciavano le piste.

Chiedemmo informazioni sul percorso che avevamo in mente di fare e loro ci incoraggiarono a tentare l’avventura, sconsigliandoci però di proseguire oltre El Golea perché, dato che era impossibile raggiungere Tamanrasset, la meta tanto agognata dagli avventurieri del deserto, macinare tanti chilometri per arrivare a In Salah, dove si arrestava la strada asfaltata, non ne valeva la pena. Rivedo ancora la splendida ragazza francese dai lunghi capelli neri e la silhouette scultorea, mentre aggrottando le sopracciglia, afferma decisa che in quel villaggio “Il n’y a rien du tout!”.

Tamanrasset, capoluogo dei Tuareg algerini, era un mito allora. Quando avevo cominciato a interessarmi al deserto, attirata da luoghi e genti così lontani dalla nostra realtà, ero stata colpita anch’io dal fascino di quella città al centro del massiccio dell’Hoggar, che rappresentava una sorta di quintessenza del Sahara.