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Mediterraneo racconti di viaggio

by Isabella Mecarelli, 6 puntata

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Isabella Mecarelli
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MEDITERRANEO
Racconti di viaggio
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6^ puntata
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COMEN Conferenza Mediterranea
Associazione Internazionale
Sosta al pozzo di Guiret Moussa

Riprendemmo la marcia verso sud quando il sole non era ancora apparso all’orizzonte, mentre il cielo appariva illuminato da sinistri bagliori: erano le sempiterne fiamme dei pozzi petroliferi che tingevano di un’abbagliante aurora i cieli di Ouargla.

La strada che percorrevamo era monotona: un’immensa distesa, piatta e sassosa, intervallata da rare e basse alture, dove si scorgevano in lontananza solo alcune carovane di dromedari in viaggio. Il cielo, da azzurro intenso che era apparso la mattina presto, si sbiadì fino a farsi improvvisamente bianchiccio per la calura. Le grandi dune erano ormai scomparse da un pezzo, ma persisteva uno strato di sabbia che ricopriva ovunque il paesaggio conferendogli tonalità sempre più arancioni, man mano che si scendeva verso sud.

A metà strada sostammo per una pausa ristoratrice in una stamberga, dove ci dissetammo con una specie di Coca Cola dal sapore dolciastro. Eravamo in compagnia di pastori e camionisti locali. Il traffico dei veicoli in questa area era ormai pressoché inesistente, costituito quasi esclusivamente da mezzi pesanti; rare le auto private, ancor più i turisti. 
Riprendendo la via, durante un’altra sosta che facemmo ai bordi della strada, per dissetarci sfruttando la nostra provvista d’acqua, passò uno dei pochi tir che transitavano nella zona. Sentimmo gridare nella nostra lingua: il camionista era di Milano ed entusiasta di incontrare altri italiani in quella landa deserta, ci stava salutando sbracciandosi cordialmente. Ricambiammo con slancio il suo saluto. E’ un vero piacere incontrare connazionali in luoghi poco battuti, perché più ci si allontana dalla patria, più si sente la comunanza.

Percorrendo le strade asfaltate del Sahara, ci meravigliava la resistenza dei materiali con cui erano costruite. Ricordare le nostre strade italiane, che nei periodi di caldo torrido si squagliavano letteralmente, e osservare la tenuta del manto stradale lì sotto quel sole cocente e a quelle temperature inesistenti in Europa, faceva pensare.

Dovevano senz’altro aver trovato sistemi di una tecnologia molto avanzata. Si capiva anche che la ricerca di metodi sempre più efficaci per contrastare gli effetti deleteri dei calori estremi che tendono a liquefare l’asfalto, era ancora in atto: in certi tratti della carreggiata si susseguivano settori ricoperti da differenti tipi di bitume, allo scopo evidente di sperimentare quali fossero i più validi ad impedire il dissesto stradale.
Tanta arida desolazione induceva a credere che l’acqua fosse del tutto assente in quella vastità, preda di temperature torride, ma sapevamo che il percorso era tuttavia costellato di pozzi artesiani: se ne trovavano ogni duecento chilometri circa. Scavati per soddisfare le esigenze dei beduini che si muovono in carovane, erano frequentati ovviamente anche dalla gente in transito con i mezzi più moderni.
Era un sollievo sapere che la sete e il caldo che in macchina, con i finestrini spalancati, sfiorava i 50 gradi, potevano essere placati, sia pur momentaneamente. Bastava fare attenzione ai cartelli stradali che segnalavano le fonti.

Fu proprio in uno di questi pozzi, precisamente a Guiret Moussa che sperimentammo la doccia più entusiasmante della nostra vita. Eravamo a una cinquantina di chilometri da El Golea, saranno state le 11, e quindi in una fase della giornata già infuocata, quando avvistammo un cartello che indicava la presenza dell’acqua. Decidemmo di seguire l’indicazione, pertanto deviammo dalla statale inoltrandoci su una pista appena accennata che si perdeva all’orizzonte.

Dopo circa mezzo chilometro apparve un capannone tirato su con quattro lamiere disposte in modo da formare un cubo. Da un cumulo di sassi addossato alla costruzione, sporgeva un tubo che si levava ad un’altezza di oltre sei metri, per poi curvarsi ad “u”. 
Stentammo a credere ai nostri occhi alla vista di una grossa manopola situata alla base del condotto che aveva tutta l’aria di un rubinetto; alquanto scettici provammo a girarlo e… meraviglia!, fummo investi da uno scroscio d’acqua fresca e cristallina.

Allora ci spogliammo in fretta dei vestiti e ci precipitammo come invasati sotto quel getto d’acqua potente e fragoroso. Inebriati da quella frescura tanto desiderata quanto inattesa, che pareva un refrigerio miracoloso, quasi la concretezza di un miraggio, sostammo a lungo beati sotto lo scroscio, e a bocca spalancata perché l’acqua ci penetrasse in gola a soddisfare anche la sete.

Mi ricordai a quel punto della frase pronunciata dal vecchio custode del campeggio di Hamma-lif in Tunisia, quando alla mia domanda se potevamo fidarci di bere l’acqua del camping, aveva risposto con orgoglio: “L’eau est toute bonne en Tunisie”, il che mi aveva colpito, data la prevenzione che avevo per le fonti locali che consideravo rischiose per la salute di noi europei. 
Dunque anche lì in Algeria, nel cuore del deserto, la sua considerazione era valida. Aveva ragione: i pozzi artesiani in pieno Sahara contengono serbatoi d’acqua fragrante, assolutamente pura. Andavo rivangando quell’osservazione, mentre mi crogiolavo sotto il getto potente che pareva scaturire per magia dal tubo. Impossibile descrivere anche la goduria provata dopo, quando ci rivestimmo degli abiti fradici lasciandoceli asciugare addosso; fu un protrarsi del piacere, anche se purtroppo breve, data la velocità dell’evaporazione.
A malincuore lasciammo quell’angolo di paradiso per tornare sulla strada maestra e riprendere la marcia.

El Golea
Dopo una serie di tornanti e una ripida discesa ecco apparire l’oasi di El Golea. Da lì si può dire che cominci il cuore del Sahara. Lungo il tragitto avevamo bevuto come al solito dai thermos, dove l’acqua però si manteneva fresca solo per pochissimo tempo. Usavamo per dissetarci anche quella delle bottiglie che tenevamo appese fuori del finestrino, avvolte in un asciugamano, come usano i locali, perché quello pare l’unico modo per rinfrescare i liquidi viaggiando nel deserto, dove l’arsura è così forte che si ha bisogno di bere fino a sei litri al giorno per mantenere il corpo idratato.

Per questo avevamo preso l’abitudine di sostare almeno ogni venti minuti per ristorarci: un sollievo tuttavia estremamente fugace, che lasciava ogni volta insoddisfatti perché si sentiva il bisogno di prolungarlo all’infinito. Il desiderio di poter bere fino alla completa soddisfazione restava invece sempre tale. 
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