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Mediterraneo Racconti di viaggio parte 7

by Isabella Mecarelli

Pages 4 and 5 of 14

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In cerca di un riparo per la notte
In serata giungemmo all’oasi di Laghouat, dove avevamo intenzione di passare la notte; ma la ricerca di un albergo decente si rivelò infruttuosa. Dei milanesi che lavoravano lì, incontrati per caso, ci sconsigliarono alberghi che non fossero di lusso. Dopo aver discusso anche con certi tizi dall’aria poco raccomandabile su un eventuale pernottamento in una stamberga, da loro definita casa o pensione (non si capiva bene il loro francese), decidemmo senza troppo entusiasmo di rimetterci in marcia.

Nel frattempo si era fatta notte e anche se la strada era perfettamente agevole, eravamo preoccupati per il lungo tragitto che ci restava ancora da percorrere fino alla prossima oasi, Djelfa, dove, secondo una notizia fornitaci da una signora francese incontrata nel corso del viaggio, esisteva un altro convento dei Padri Bianchi. Ormai lo consideravamo come ultimo rifugio per quella notte.

All’improvviso trovammo la via interrotta: un’incerta sagoma, scarsamente visibile nel buio fitto, si stava sbracciando per farci capire che dovevamo arrestarci: si trattava di una guardia incaricata di bloccare il traffico. Ci spiegò che in quel punto un torrente, gonfiato da una pioggia eccezionale per la stagione, era straripato sommergendo un bel tratto di strada. Non ci restò che attendere il nostro turno, per la verità non a lungo. Poi ci dettero il via per attraversare la piena a guado. Avanzammo allora titubanti, pur considerando che l’acqua non poteva arrivare che a un’altezza di pochi centimetri. Rolando procedette cauto, perché le ruote erano immerse per una buona metà, finché toccammo con un sospiro di sollievo l’altra sponda.
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Notte memorabile a Djelfa
Dopo un breve tratto la strada iniziò a salire fin oltre i mille metri, altitudine in cui era situata Djelfa, la nostra meta. Ma giunti in paese, ci rendemmo conto che ormai era troppo tardi per metterci alla ricerca della missione. Per fortuna, individuammo un albergo, certo non di lusso ma dall’aspetto dignitoso, che si affacciava sulla via principale. Due Land Rover con targa italiana, parcheggiate proprio di fronte all’ingresso, contribuirono a darci un senso di sicurezza.

Eravamo affamati e prima di ogni cosa andammo dritti al ristorante dell’albergo dove, nonostante l’ora tarda, non fecero storie per servirci. Mentre cenavamo con le consuete bistecche accompagnate dalle “frites”, scambiammo qualche parola con gli unici altri avventori del locale, i proprietari delle Land che facevano parte di una comitiva di italiani. Dopo aver scambiato due parole di saluto, prendemmo a conversare animatamente, con la soddisfazione tipica dei connazionali che si incontrano in luoghi tanto remoti.

Ci dissero che erano diretti verso l’estremo sud. Ci misero anche al corrente che si potevano correre dei rischi a lasciare la macchina incustodita durante la notte: loro avevano deciso pertanto che due del gruppo avrebbero dormito nelle auto per evitare inconvenienti.