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A new book

by prof Monari

Pages 6 and 7 of 86

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La Bambina-Senza-Nome
In una piccola città, con piccole casette e piccole persone sorridenti, dove tutti si conoscevano come semplici vicini e tranquillamente trascorrevano la loro monotona vita, ogni cosa sembrava al suo posto, perciò nessuno osava pensare di cambiare qualcosa. Tutte le mattine infatti la signora Marchetti usciva di casa alle 6 in punto per comprare le uova e dello gnocco per la colazione dal panettiere Bellini, passava dal fruttivendolo Cipolla, ritirava la posta dalla signora Olivetti e nel ritornare verso la sua abitazione salutava tutto il vicinato. I giorni passavano uguali, finché un dì la signora Marchetti, di ritorno dal suo solito giro, incontrò una bambina. La piccola era minuta, ben vestita e con le rosee guanciotte piene, ma aveva lunghi capelli neri scarmigliati e una bella maglietta rossa sgualcita, seminascosta da un lungo giaccone verde, evidentemente troppo grande per lei. La signora subito cercò di ricordare chi fosse, o quantomeno chi potessero essere i suoi genitori, ma non le venne in mente nessuno. Stranita dall’insolita apparizione, iniziò a porle qualche domanda per poter risolvere in fretta la questione: “Come ti chiami? Dove sono i tuoi genitori?” ma la bambina le cantilenò prontamente: “Io da sola non mi chiamo, i miei genitori sono a casa loro e stanno con me quando passano di qua.” Spiazzata dall’insolita risposta, ritentò di carpirle informazioni più utili, ma lei, ostinata, le ripeteva la solita canzoncina. Dopo pochi minuti, tutto il paesello poté ammirare una bizzarra bambina correre per le strade, inseguita dalla signora Marchetti che strillava a più non posso per farla fermare, mossa dalla necessità di capire chi fosse quella marmocchia tanto strana.
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Nei giorni seguenti ogni abitante della cittadina ebbe modo di incontrarla, ma parlare con lei non era molto semplice. Era sempre lei che trovava le persone, sembrava infatti avere la capacità di sbucare dal nulla. Dopo un’attenta osservazione, balzava fuori dal suo nascondiglio, placcando il malcapitato, nonostante le sue ridotte dimensioni, e sottoponendolo ad una precisa domanda, calcolata per metterlo in difficoltà. Era bravissima a fare domande. Alcune erano strane, come quella per il signor Bellini: “Perché le forchette hanno tutte quattro punte?”, altre erano senza senso, ad esempio quella che rivolse alla signora Polli: “Come mai il suo cane parla con un pesciolino?” e altre erano forse banali in apparenza, ma complesse anche per un adulto in realtà, come quella che fece a me: “Perché lavori?”. Provai a risponderle, ma mi resi conto che non ci riuscivo; le mie risposte non le piacevano. Provai a spiegarle l’importanza del lavoro che svolgevo, ma capii che non era la risposta giusta dai suoi occhi, gli occhi di un bambino: terribilmente sinceri. Perciò, un po’ per dispetto, le feci io una domanda, ma quella che non sopportava. Le chiesi il suo nome e lei, quasi offesa, mi disse che non ce lo aveva un nome, per poi scappare subito via. Fu così che diventò nota per noi come la Bambina-Senza-Nome.