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Giovedì 8 Giugno 2023Loading...
2B ClassicoLiceo BENEDETTO DA NORCIA
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Ultima oraI SEGRETI DELLE OSSA
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“Le abbiamo trovate, con estrema accortezza abbiamo ricostruito la storia di una donna romana vissuta nel III secolo d.C”Sono state ritrovate ossa di una donna romana di età oltre 50 anni e di statura circa 153 cm nella Necropoli Collatina. I resti, affermano gli archeologi, corrispondono al III secolo d.C
“Grazie allo studio di queste ossa abbiamo avuto la conferma di come viveva una qualsiasi donna romana appartenente a una classe sociale medio-bassa"
Questa donna ha segni sullo scheletro che testimoniano la sua vita attiva e faticosa.
UNA STORIA DRAMMATICA
Gli studiosi raccontano di una vita piena di soprusi, maltrattamenti, parti e continue violenze.
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IL BACINO presenta un solco preauricolare che testimonia numerosi parti affrontati nel corso della vita da parte della donna.
IL CRANIO nella parte occipitale e nella parte frontale presenta ampie depressioni riconducibili a ripetute violenze, sulla superficie endocraniale ci sono molti canali vascolari, depressioni, solchi che testimoniano emorragie delle meningi.
SULLA MANDIBOLA, grazie ai raggi X, abbiamo scoperto delle piccole fratture con processo di riparazione incompleta: tutto ciò va a confermare ulteriori violenze
SULL’AVAMBRACCIO ci sono fratture “da parata” dovute all’istinto da parte della donna di ripararsi da colpi e violenze.
“NOI DONNE, DA SEMPRE GUERRIERE!”
Sono queste le parole dell’archeologa, che ha fatto commuovere intere classi scolastiche durante le sue lezioni sulla storia di questa donna, succube delle ingiustizie di una vita al femminile.
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- Violenze illustri p.2- Violenze illustri p.3
- Senza nome p.4
- Senza nome 2 p.5
- Video racconti p.6
- Donne nel '900 p.7
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Pagina 1Violenze illustri
Alcuni dei casi di femminicidio e violenze più famosi dell'antichità Romana.
Lucrezia, Virginia e Poppea.
In più:
Poppea
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Virginia
Lucrezia Collatina
Virginia, invece, fu vittima di Appio Claudio, patrizio facente parte dei decemviri, il quale rapì la giovane e dichiarò che Virginia fosse sua schiava. Il caso venne portato in tribunale dove scoppiò un tumulto che portò il padre della ragazza a ucciderla per liberarla.
L’omicidio avvenne nel sacello di Venere Cloacina, un tempietto dedicato alla dea dell’amore fisico; questo tempio portava l’aggettivo “Cloacina” che era collegato al concetto di purificazione. La morte della ragazza provocò moltissimo scalpore tra la plebe romana che si ribellò e cacciò i decemviri.
L’omicidio avvenne nel sacello di Venere Cloacina, un tempietto dedicato alla dea dell’amore fisico; questo tempio portava l’aggettivo “Cloacina” che era collegato al concetto di purificazione. La morte della ragazza provocò moltissimo scalpore tra la plebe romana che si ribellò e cacciò i decemviri.
Due episodi importanti della storia di Roma antica: la cacciata dei re e la fine del potere tirannico dei decemviri capeggiati da Appio Claudio e incaricati di scrivere le tavole delle leggi, accadono in seguito ad atti di violenza compiuti su donne. Nel primo caso la vittima è Lucrezia, nel secondo Virginia.
Livio racconta i due episodi nel I libro della Storia di Roma (Ab urbe condita)
Livio racconta i due episodi nel I libro della Storia di Roma (Ab urbe condita)
Lucrezia, moglie di Collatino, fu vittima del desiderio di Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo. Costui, attraverso minaccia di morte, riuscì ad abusare della donna che, in seguito, avvertì il marito e il padre di quanto avvenuto, per poi uccidersi. L’evento suscitò talmente tanto scalpore che ne nacque una rivolta che decretò la fine dell’età monarchica.
Poppea fu la moglie dell’ultimo imperatore della dinastia Giulio-Claudia, Nerone. In poche righe lo storico Tacito racconta di come la donna sia morta di parto prematuro causato da un calcio inflittole dal marito durante uno sfogo d’ira. Tacito racconta che il corpo di Poppea non venne cremato, come era uso romano, ma venne imbalsamato secondo i costumi dei barbari. Lo storico afferma che Nerone fece delle cerimonie pubbliche in onore della moglie defunta.
Pagina 2
Violenze illustri
Un ulteriore caso di amore malato che riguarda un personaggio dallo spiccato ruolo politico all'interno della società repubblicana di Roma.
Ottavio Sagitta e Ponzia Postumina
Ottavio Sagitta, tribuno della plebe, si innamorò di Ponzia, una donna sposata. Dopo averla
riempita di doni e dolci promesse la convinse a commettere adulterio e a sposarlo.
Una volta libera, però, Ponzia nella speranza di trovare un uomo più ricco ritirò la sua promessa.
Sagitta, sempre più ossessionato dal desiderio di possedere la donna e di preservare la sua
reputazione, dopo molti rifiuti riuscì ad ottenere una notte di passione.
La notte trascorse tra preghiere, scuse e litigi che sfociarono in una tragedia. L’uomo, infatti, aveva
portato con sé un pugnale con il quale uccise Ponzia.
Quando si ebbe notizia dell’omicidio non c’era dubbio su chi fosse l’assassino. In un primo
momento il tribuno della plebe venne coperto dal suo liberto, che decise di assumersi la colpa
dell’orrendo crimine, ma un’ancella che aveva assistito al delitto svelò la verità al padre di Ponzia.
Così Ottavio Sagitta fu condannato dal senato secondo le leggi sugli omicidi e giustizia fu fatta.
riempita di doni e dolci promesse la convinse a commettere adulterio e a sposarlo.
Una volta libera, però, Ponzia nella speranza di trovare un uomo più ricco ritirò la sua promessa.
Sagitta, sempre più ossessionato dal desiderio di possedere la donna e di preservare la sua
reputazione, dopo molti rifiuti riuscì ad ottenere una notte di passione.
La notte trascorse tra preghiere, scuse e litigi che sfociarono in una tragedia. L’uomo, infatti, aveva
portato con sé un pugnale con il quale uccise Ponzia.
Quando si ebbe notizia dell’omicidio non c’era dubbio su chi fosse l’assassino. In un primo
momento il tribuno della plebe venne coperto dal suo liberto, che decise di assumersi la colpa
dell’orrendo crimine, ma un’ancella che aveva assistito al delitto svelò la verità al padre di Ponzia.
Così Ottavio Sagitta fu condannato dal senato secondo le leggi sugli omicidi e giustizia fu fatta.
Caption
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Pagina 3
Violenze illustri
La storia di Apronia tratta dal IV Capitolo degli Annali di Tacito
Apronia
La storia è tratta dagli Annali di Tacito e racconta di Apronia, moglie di Plauzio Silvano, una donna che nel 24dc viene trovata morta ai piedi di una finestra dalla quale è precipitata. Il padre della donna, Lucio Apronio, sospetta subito di Silvano ma costui confuso davanti all'imperatore Tiberio si dichiara innocente dicendo che nel momento del delitto stesse dormendo, pertanto sostiene l'idea di un suicidio. Tiberio non convinto decide di recarsi sul posto e nota varie caratteristiche di una resistenza da parte della donna e quindi ipotizza che qualcuno l'abbia fatta cadere; nel frattempo in attesa di giudizio Silvano viene arrestato e muore suicida in cella.
Tacito, Annali, IV:
[22] Per idem tempus Plautius Silvanus praetor incertis causis Aproniam coniugem in praeceps iecit, tractusque ad Caesarem ab L. Apronio socero turbata mente respondit, tamquam ipse somno gravis atque eo ignarus, et uxor sponte mortem sumpsisset. Non cunctanter Tiberius pergit in domum, visit cubiculum, in quo reluctantis et impulsae vestigia cernebantur. Refert ad senatum, datisque iudicibus Vrgulania Silvani avia pugionem nepoti misit. Quod perinde creditum quasi principis monitu ob amicitiam Augustae cum Vrgulania. Reus frustra temptato ferro venas praebuit exolvendas. Mox Numantina, prior uxor eius, accusata iniecisse carminibus et veneficiis vaecordiam marito, insons iudicatur.
[22] Per idem tempus Plautius Silvanus praetor incertis causis Aproniam coniugem in praeceps iecit, tractusque ad Caesarem ab L. Apronio socero turbata mente respondit, tamquam ipse somno gravis atque eo ignarus, et uxor sponte mortem sumpsisset. Non cunctanter Tiberius pergit in domum, visit cubiculum, in quo reluctantis et impulsae vestigia cernebantur. Refert ad senatum, datisque iudicibus Vrgulania Silvani avia pugionem nepoti misit. Quod perinde creditum quasi principis monitu ob amicitiam Augustae cum Vrgulania. Reus frustra temptato ferro venas praebuit exolvendas. Mox Numantina, prior uxor eius, accusata iniecisse carminibus et veneficiis vaecordiam marito, insons iudicatur.
Giulia Rini
Il caso, dopo qualche tempo, si riapre e viene imputata Numantina, prima moglie di Silvano, accusata di aver spinto Silvano con formule magiche ad uccidere Apronia di cui lei era gelosa; questo spiegherebbe anche la confusione iniziale dell'uomo durante l'interrogatorio.
Si può pensare quindi che la famiglia di Silvano abbia voluto scaricare tutta la responsabilità degli eventi su una donna, ma per mancanza di prove alla fine Numantina viene assolta e questo delitto rimane un caso irrisolto, nulla di così lontano dagli odierni femminicidi.
Si può pensare quindi che la famiglia di Silvano abbia voluto scaricare tutta la responsabilità degli eventi su una donna, ma per mancanza di prove alla fine Numantina viene assolta e questo delitto rimane un caso irrisolto, nulla di così lontano dagli odierni femminicidi.
Traduzione:
In quello stesso periodo il pretore Plauzio Silvano, per motivi rimasti sconosciuti, gettò la moglie Apronia dalla finestra e, trascinato davanti a Cesare dal suocero Lucio Apronio, diede risposte poco lucide, facendo credere che era addormentato in un sonno profondo, e quindi inconsapevole, e che la moglie si era suicidata. Senza perdere tempo Tiberio si recò a casa di Plauzio, esaminò la camera da letto, in cui
apparivano tracce di resistenza e di violenza. Presenta un rapporto in senato e si nominano dei giudici. Urgulania allora, nonna di Silvano, mandò al nipote un pugnale, gesto che si pensò suggerito dall' imperatore, per l'amicizia di Augusta verso Urgulania. L'imputato, dopo vani tentativi di colpirsi con l'arma, si fece tagliare le vene. In seguito venne accertata l'innocenza di Numantina, sua prima moglie, accusata di aver sconvolto la mente del marito con incantesimi e filtri magici.
In quello stesso periodo il pretore Plauzio Silvano, per motivi rimasti sconosciuti, gettò la moglie Apronia dalla finestra e, trascinato davanti a Cesare dal suocero Lucio Apronio, diede risposte poco lucide, facendo credere che era addormentato in un sonno profondo, e quindi inconsapevole, e che la moglie si era suicidata. Senza perdere tempo Tiberio si recò a casa di Plauzio, esaminò la camera da letto, in cui
apparivano tracce di resistenza e di violenza. Presenta un rapporto in senato e si nominano dei giudici. Urgulania allora, nonna di Silvano, mandò al nipote un pugnale, gesto che si pensò suggerito dall' imperatore, per l'amicizia di Augusta verso Urgulania. L'imputato, dopo vani tentativi di colpirsi con l'arma, si fece tagliare le vene. In seguito venne accertata l'innocenza di Numantina, sua prima moglie, accusata di aver sconvolto la mente del marito con incantesimi e filtri magici.
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Ferite sconosciute
Racconti di ordinaria
violenza.
violenza.
Senza controllo
Vedo finalmente i raggi del sole che filtrano dalla mia finestra ed illuminano la camera. Ho trascorso parte della notte col mio padrone, che poi mi ha brutalmente cacciata e mandata in stanza, nella quale immersa nei pensieri, non ho chiuso occhio. Pensieri tristi: penso alle giornate intere impiegate in casa ad aiutare mia madre con le faccende domestiche e ad occuparmi dei bambini del padrone, oppure ai giorni estenuanti nei campi a raccogliere e mietere il grano. Dopo mi rimane a stento la forza per lavarmi e cammino nel corridoio evitando di incrociare lo sguardo con la me riflessa nei vetri delle finestre, poiché preferisco non guardarmi. Da piccola mi dicevano che ero bellissima; ora il mio viso è scarnito, il mio corpo troppo asciutto e le mie mani consumate. Il mio padrone quasi ogni sera o, nei giorni in cui rimango a casa, quando ne ha più voglia, mi chiama per salire nella sua camera e senza dire nulla mi fa cenno di spogliarmi e di sdraiarmi sul suo letto. In questi momenti mi sforzo di pensare ad altro per far sì che quel lasso di tempo che sembra non finire mai trascorra il più velocemente possibile. Ormai è diventata quasi la normalità, ma ricordo alla perfezione lo shock, la paura, la vergogna e il senso di colpa che provai le prime sere, afflitta da una sofferenza e dalla consapevolezza di non avere più nessun controllo sulla mia vita.
A volte l’unico modo per scappare da queste convinzioni è provare ad immaginarmi in un futuro e in una condizione diversa; magari in una casa tutta mia, ad occuparmi dei miei figli ed avere al mio fianco un uomo che mi ami, a provare il sapore della libertà scegliendo un lavoro che mi piaccia e, perché no? Avere gli stessi diritti degli uomini.
Ma temo che un giorno la mia mente, stanca ormai come il mio corpo, non sarà più in grado di pensare a ciò con speranza, e mi arrenderò all’ idea che non esiste un rimedio alla mia schiavitù.
A volte l’unico modo per scappare da queste convinzioni è provare ad immaginarmi in un futuro e in una condizione diversa; magari in una casa tutta mia, ad occuparmi dei miei figli ed avere al mio fianco un uomo che mi ami, a provare il sapore della libertà scegliendo un lavoro che mi piaccia e, perché no? Avere gli stessi diritti degli uomini.
Ma temo che un giorno la mia mente, stanca ormai come il mio corpo, non sarà più in grado di pensare a ciò con speranza, e mi arrenderò all’ idea che non esiste un rimedio alla mia schiavitù.
Alice Pellino
Chiara D'Amelia
Pagina 5
Ferite sconosciute
Racconti di ordinaria
violenza.
violenza.
Come se la colpa fosse nostra
Sento da qui il baccano proveniente dalla sala da pranzo, piena dei più illustri e nobili cittadini romani, di buona educazione, sapienti, rispettosi dei valori del mos maiorum, disprezzanti delle classi popolari, definite “l’ombra sulla grandezza e lo splendore di Roma”. Tutto questo ovviamente detto e sostenuto da coloro che non sono a conoscenza di cosa succeda durante questi banchetti, dalle stolte mogli che, squadrandoci dall’alto della loro superiorità, ci considerano le sguattere che stanno distruggendo il loro felice matrimonio. Come se la colpa fosse nostra…
Silenzio.
Riecheggia sul pavimento il rumore dei suoi passi.
Tutti se ne sono andati.
La porta scricchiola e si apre piano piano.
Vedo la sua ombra imponente.
-Ciao Domitilla.-
Mi chiamo Dafne, ma un vero nome lo ho davvero? Sono degna e abbastanza umana da possedere un nome, qualcosa di veramente mio? Sicuramente secondo lui no.
Le sue luride mani iniziano a farsi strada sul mio corpo, fortunatamente ancora ricoperto da una misera veste; inizia a sussurrarmi parole, sembrerebbero quasi realmente dolci, ovviamente sempre a chi non lo conosce come me. Inizia a toccarmi ovunque, questa volta per davvero, e l’apparente tenerezza inizia a trasformarsi in violenza.
Come ogni notte passata insieme.
Spengo i pensieri e nonostante l’enorme sofferenza, sopporto silenziosamente tutti i soprusi indecenti che arreca al mio corpo, soddisfo qualsiasi suo indecente desiderio.
Non mi lamento, non piango, non urlo, non chiedo aiuto… non servirebbe: tutti gli uomini che potrebbero sentirmi non sono abbastanza ricchi da potersi opporre a una situazione del genere, tutte le donne ringraziano gli dei per aver fatto sì che questa volta non sia toccato loro.
Finalmente si allontana dal mio corpo, si alza e se ne va.
Mi guardo allo specchio e posso già intravedere i lividi che si andranno a sovrapporre a quelli già presenti, ma il vero dolore è quello interno, che non fa rumore perché talmente grande da non poter essere espresso in alcun modo.
Solo ora, al buio nella mia stanza, mi lascio travolgere da un pianto silenzioso, ma disperato; non causato da tutto ciò che è appena successo, ma dalla consapevolezza di non aver avuto il coraggio e la forza per oppormi a questa vita infelice, di non aver mai fatto qualcosa per interrompere questo ciclo di violenze e abusi, che sono certa avrà fine solo con la mia morte.
Silenzio.
Riecheggia sul pavimento il rumore dei suoi passi.
Tutti se ne sono andati.
La porta scricchiola e si apre piano piano.
Vedo la sua ombra imponente.
-Ciao Domitilla.-
Mi chiamo Dafne, ma un vero nome lo ho davvero? Sono degna e abbastanza umana da possedere un nome, qualcosa di veramente mio? Sicuramente secondo lui no.
Le sue luride mani iniziano a farsi strada sul mio corpo, fortunatamente ancora ricoperto da una misera veste; inizia a sussurrarmi parole, sembrerebbero quasi realmente dolci, ovviamente sempre a chi non lo conosce come me. Inizia a toccarmi ovunque, questa volta per davvero, e l’apparente tenerezza inizia a trasformarsi in violenza.
Come ogni notte passata insieme.
Spengo i pensieri e nonostante l’enorme sofferenza, sopporto silenziosamente tutti i soprusi indecenti che arreca al mio corpo, soddisfo qualsiasi suo indecente desiderio.
Non mi lamento, non piango, non urlo, non chiedo aiuto… non servirebbe: tutti gli uomini che potrebbero sentirmi non sono abbastanza ricchi da potersi opporre a una situazione del genere, tutte le donne ringraziano gli dei per aver fatto sì che questa volta non sia toccato loro.
Finalmente si allontana dal mio corpo, si alza e se ne va.
Mi guardo allo specchio e posso già intravedere i lividi che si andranno a sovrapporre a quelli già presenti, ma il vero dolore è quello interno, che non fa rumore perché talmente grande da non poter essere espresso in alcun modo.
Solo ora, al buio nella mia stanza, mi lascio travolgere da un pianto silenzioso, ma disperato; non causato da tutto ciò che è appena successo, ma dalla consapevolezza di non aver avuto il coraggio e la forza per oppormi a questa vita infelice, di non aver mai fatto qualcosa per interrompere questo ciclo di violenze e abusi, che sono certa avrà fine solo con la mia morte.
Matilde Bistoni
Federica Ovidi
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