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Classe III A, IC "F.DE SANCTIS", Moiano, plesso di Bucciano


Quel pomeriggio Chiara era davvero felice. Finalmente era arrivato il fine settimana e, come sempre, le sue amiche del cuore Emma e Sofia, sarebbero passate a prenderla per andare insieme al centro commerciale. Le piaceva molto passare del tempo guardando le vetrine dei negozi ma soprattutto le piaceva perché quello era il luogo dove anche Marco e i suoi amici si ritrovavano spesso e lei sperava tanto di incontrarlo anche quel pomeriggio. Chiara aveva indossato la sua felpa preferita e si era anche truccata un po'. Non restava altro da fare se non aspettare lo “squillo” del cellulare con il quale Emma e Sofia le avrebbero comunicato di scendere. Un’ultima controllatina allo specchio e…
“Chiara, per favore, potresti prendermi gli occhiali che ho lasciato nella mia camera?” Era la nonna che, in cucina, tentava di leggere la sua rivista preferita.
Proprio in quel momento il telefono vibrò. Era il segnale! Chiara corse nella camera della nonna, individuò gli occhiali sul comò, li afferrò al volo, si voltò per scattare più velocemente possibile visualizzando nella sua mente il percorso (stanza-cucina, cucina- porta, porta-scale), ma si bloccò. Qualcosa aveva catturato la sua attenzione, qualcosa spuntava fuori dal primo cassetto. Sì, era davvero tardi, ma quel lembo di stoffa che usciva dal mobile la infastidiva, come quando vedeva un quadro non perfettamente dritto sulla parete e non resisteva all’impulso di raddrizzarlo. Così tornò indietro, aprì il cassetto e cercò di ripiegare quel pezzetto di stoffa che le stava facendo perdere del tempo prezioso.
“Chiara, per favore, potresti prendermi gli occhiali che ho lasciato nella mia camera?” Era la nonna che, in cucina, tentava di leggere la sua rivista preferita.
Proprio in quel momento il telefono vibrò. Era il segnale! Chiara corse nella camera della nonna, individuò gli occhiali sul comò, li afferrò al volo, si voltò per scattare più velocemente possibile visualizzando nella sua mente il percorso (stanza-cucina, cucina- porta, porta-scale), ma si bloccò. Qualcosa aveva catturato la sua attenzione, qualcosa spuntava fuori dal primo cassetto. Sì, era davvero tardi, ma quel lembo di stoffa che usciva dal mobile la infastidiva, come quando vedeva un quadro non perfettamente dritto sulla parete e non resisteva all’impulso di raddrizzarlo. Così tornò indietro, aprì il cassetto e cercò di ripiegare quel pezzetto di stoffa che le stava facendo perdere del tempo prezioso.
Si accorse però che c’era qualcosa di strano avvolto in quel fazzoletto bianco, lo aprì e … un cucchiaio! C’era un cucchiaio con inciso una strana sequenza di numeri: 40190. Chiara guardò prima gli occhiali nella sua mano sinistra, poi il cucchiaio nella sua mano destra mentre il cellulare nella sua tasca vibrava per la terza volta. Che fare? Rimise nel cassetto il fazzoletto con il suo contenuto misterioso e corse più velocemente che poteva. Arrivò trafelata in cucina, lasciò gli occhiali alla nonna e si diresse verso la porta per uscire ma continuava a pensare alla sua scoperta. Quell’oggetto e quel numero le ronzavano nella testa, era troppo curiosa, non poteva aspettare, doveva sapere. Liquidò le amiche con la scusa di un improvviso mal di testa e tornò in cucina dalla nonna. La nonna, meravigliata di rivederla, chiuse la rivista e la guardò per qualche secondo negli occhi. Poi le disse: “Lo hai visto, vero?”
“Sì, nonna” rispose Chiara.
“E’ da tanto tempo che aspettavo di parlartene. Credo sia arrivato il momento. Vallo a prendere e ti racconterò tutto”.
Chiara andò a prendere lo strano oggetto ancora avvolto nel fazzoletto bianco, lo diede alla nonna e si sedette di fronte a lei. La nonna, con molta calma, aprì i lembi della stoffa e lo guardò. Poi i suoi occhi si inumidirono e cominciò a raccontare:
“Era un giorno di ottobre del 1943, la guerra faceva parte ormai della nostra vita da tre anni. Anche se l’8 settembre la radio aveva annunciato che i nostri alleati erano cambiati, “loro”, i nostri ex amici erano
ancora lì, con le loro uniformi, le loro armi, le loro minacce urlate in una lingua che ci faceva paura anche se non capivamo una parola. Nel nostro paese cercavamo di condurre una vita tranquilla, continuando a fare ciò che ci permetteva di mettere qualcosa in tavola per le nostre famiglie: lavorare nei campi e governare il nostro bestiame.
“Sì, nonna” rispose Chiara.
“E’ da tanto tempo che aspettavo di parlartene. Credo sia arrivato il momento. Vallo a prendere e ti racconterò tutto”.
Chiara andò a prendere lo strano oggetto ancora avvolto nel fazzoletto bianco, lo diede alla nonna e si sedette di fronte a lei. La nonna, con molta calma, aprì i lembi della stoffa e lo guardò. Poi i suoi occhi si inumidirono e cominciò a raccontare:
“Era un giorno di ottobre del 1943, la guerra faceva parte ormai della nostra vita da tre anni. Anche se l’8 settembre la radio aveva annunciato che i nostri alleati erano cambiati, “loro”, i nostri ex amici erano
ancora lì, con le loro uniformi, le loro armi, le loro minacce urlate in una lingua che ci faceva paura anche se non capivamo una parola. Nel nostro paese cercavamo di condurre una vita tranquilla, continuando a fare ciò che ci permetteva di mettere qualcosa in tavola per le nostre famiglie: lavorare nei campi e governare il nostro bestiame.
Anche quella sera ci ritrovammo tutti a tavola, io, tuo nonno e i tuoi zii, allora molto piccoli. Tua madre ancora non era nata. Io avevo preparato il piatto preferito di tutti: pasta e patate. C’era qualcosa di strano nell’aria, avevo la sensazione che stesse per succedere qualcosa. Purtroppo, nel cuore della notte, si scatenò l’Inferno. Sentimmo prima delle urla e poi degli spari, rumori di camionette, abbaiare di cani. I tedeschi ormai in fuga, stavano catturando e portando con loro gli uomini del paese, considerati dei traditori come tutti gli italiani. Tuo nonno si nascose in una botola del pavimento, io e i bambini ci abbracciammo terrorizzati mentre sentivamo avvicinarsi i passi pesanti dei tedeschi e sfondare la porta. Ci ritrovammo faccia a faccia con loro. Mi chiesero dove fosse mio marito e io risposi che era scappato. Ma i cani se ne accorsero. Grattavano come pazzi proprio sulla botola. Non ci fu scampo. Tuo nonno fu catturato, trascinato fuori e fatto salire su un camion dove si trovavano già tanti nostri compaesani”
La nonna interruppe il suo racconto. Chiara le portò un
bicchiere d’acqua e capì perché sua nonna aveva sempre avuto paura dei cani di grossa taglia. “Nessuno sapeva dove li stavano portando”, riprese la nonna,
“neanche i prigionieri. Il viaggio fu lunghissimo e durissimo. Durante il tragitto si aggiunsero altri “traditori”: ragazzi giovanissimi, anziani che non riuscirono a sopportare la fatica dei lunghi tratti percorsi a piedi e il lunghissimo viaggio in treno, chiusi in carri bestiame, senz’aria, senz’acqua. Fu lì che tuo nonno capì che quella non era una semplice ripicca contro gli italiani traditori ma una tragedia ben più grave: sul treno c’erano donne, bambini, anche piccolissimi, intere famiglie colpevoli di essere ebree”.
La nonna interruppe il suo racconto. Chiara le portò un
bicchiere d’acqua e capì perché sua nonna aveva sempre avuto paura dei cani di grossa taglia. “Nessuno sapeva dove li stavano portando”, riprese la nonna,
“neanche i prigionieri. Il viaggio fu lunghissimo e durissimo. Durante il tragitto si aggiunsero altri “traditori”: ragazzi giovanissimi, anziani che non riuscirono a sopportare la fatica dei lunghi tratti percorsi a piedi e il lunghissimo viaggio in treno, chiusi in carri bestiame, senz’aria, senz’acqua. Fu lì che tuo nonno capì che quella non era una semplice ripicca contro gli italiani traditori ma una tragedia ben più grave: sul treno c’erano donne, bambini, anche piccolissimi, intere famiglie colpevoli di essere ebree”.
