Juliet e il mistero dell'accendino giallo

Racconti gialli scritti dagli alunni della classe 2C, Scuola secondaria di primo grado Giorgione di Castelfranco Veneto.

Racconti Gialli 2C

Scuola secondaria di primo grado Giorgione

Juliet e il mistero dell'accendino giallo

Sebastiano Fabbian Classe 2C

colazione, si lavò i denti in fretta e uscì di corsa per recarsi al lavoro, senza accorgersi che al posto del maglione aveva ancora il pigiama. Non riuscì però a svolgere correttamente i suoi incarichi, perché il suo pensiero era fisso sul caso di Herman Brown. Ripensava di continuo ai pochi indizi che aveva raccolto, e faticava a unire i pezzi. Tutto ad un tratto prese la sua roba e abbandonò il posto di lavoro per dirigersi verso il carcere, con l’intento di trovare qualche informazione sulla gang. Grazie a un distintivo falso che le aveva passato il suo amico sceriffo, riuscì a entrare nel carcere e a parlare col direttore: “Il nome Herman Brown le ricorda qualcuno?” Chiese con un tono alla Sherlock Holmes. Mi servono informazioni su di lui e sulla sua banda.” continuò Juliet. “In questo carcere ci sono più di duemila detenuti signorina, ma Brown è un tipo che non si può dimenticare. Era un uomo

pericoloso che tutti rispettavano e temevano. Era finito dentro per l’omicidio di una donna, lui e la sua gang, i 666... brutta storia. Sono tutti stati rilasciati cinque anni fa e da quel giorno pare siano svaniti nel nulla. Dipiù non so dirle.” Juliet ringraziò e senza aggiungere altro se ne tornò a casa per proseguire le sue ricerche. Dopo parecchie ore scoprì che a Down Street, dove avevano fabbricato il coltello del delitto, c’erano tre case abbandonate, che potevano essere il covo ideale per nascondersi. Armata di coraggio e incoscienza si recò sul luogo per dare un’occhiata. Solo una volta giunta a destinazione, realizzò l’enormità della sciocchezza che stava per compiere, ma ormai non poteva tirarsi indietro, perché era l’unico modo per arrivare a qualcosa di concreto. Tremolante cominciò l’ispezione: le prime due case si rivelarono vuote, perciò la terza doveva essere quella giusta. Proprio da quest’ultima infatti, sentì provenire

sceriffo. “Lo sai benissimo, sei stato tu ad uccidere Herman.” Lo sceriffo sgranò gli occhi: “Sei pazza, io sono un poliziotto!” “Non negare l’evidenza, ci sono un sacco di prove che lo confermano: la pistola&nbsp;nella scena del crimine non era della vittima: l’hai messa tu! E l’accendino giallo, il tuo colore preferito, inoltre le impronte di scarpa con suola piatta, solo la polizia le ha in dotazione.” Senza nemmeno insistere oltre, lo sceriffo crollò e ammise: “E va bene, sono stato io! Quel maledetto non meritava di vivere, lo sai perché? La donna che ha ucciso cinque anni fa era mia moglie.” “Questo non giustifica le tue azioni, tu sei un poliziotto, non puoi uccidere chi vuoi. Sei uscito di testa, finirai in prigione, quello che hai fatto è sbagliato.” “E come pensi di dimostrare quello che dici? Infondo, tu sei la pazza e io sono lo sceriffo. Nessuno crederà alla tua parola e io riderò di fronte al tuo fallimento.” Juliet strinse i pugni dalla rabbia, poi chiuse gli occhi e tirò un lungo sospiro.

“Hai ragione, non ho possibilità contro di te.” E così dicendo chiuse la registrazione e si avviò verso la porta, molto silenziosamente, perché nel frattempo le guardie erano state messe in allerta e stavano cercando chi si era intrufolato senza permesso.&nbsp; Andò in un vecchio ufficio che nessuno più usava e scaricò la registrazione su un PC che la trasmise agli altoparlanti affinché tutti i presenti nel dipartimento ascoltassero la conversazione da poco avvenuta. In pochi istanti lo sceriffo si ritrovò circondato, sotto tiro e non poté fare altro che arrendersi. sapeva di aver fatto un buon lavoro, questa volta però, per festeggiare, non si limitò a lanciare semplici coriandoli, ma dei piccoli fuochi d’artificio, senza ricordarsi che si trovava ancora in caserma, facendo dunque una confusione assurda. Alla fine arrivò il direttore che le perdonò la confusione; stringendole la mano si scusò invece per non averla mai

considerata e prima di andarsene pronunciò quella frase magica che Juliet da tanto aspettava: “Ti piacerebbe essere assunta come detective?”.

sai come usarla, le analisi lo confermeranno; questa “polvere bianca” è magica. Penso che la scena sia stata questa: la vittima, nonostante la coltellata ricevuta allo stomaco, riuscì a sparare al colpevole, lo dico perché le impronte di scarpa fatte col sangue, fanno vedere chiaramente che l’assassino se ne è andato trascinando una gamba. Qui a terra poi ci sono segni che indicano che la vittima ha provato a lasciare degli indizi, cancellati però dal colpevole. Strano però che una persona che sta per morire si metta a scrivere messaggi, piuttosto avrebbe dovuto pensare a scappare, oppure a tentare di chiamare o attirare l’attenzione di qualcuno!”.&nbsp;Miss Juliet, dopo quanto detto, provò ad andarsene in bellezza: a volte si metteva gli occhiali da sole per darsi un tono, questa volta invece tirò fuori dalle tasche una manciata di coriandoli che lanciò in aria sopra alla sua testa, e si avviò con passo lento e molleggiato. Poi salì nella sua

piccola e vecchia macchina e partì lasciandosi dietro una nube di fumo nero. Mentre passava per l’autostrada rifletté attentamente sul caso, per poco non si schiantò contro un palo. Arrivò a casa e si mise a fare una ricerca al computer, voleva scoprire chi fosse la vittima; dopo ore passate allo schermo riuscì a trovare i risultati che cercava, poi si mise a leggere a voce alta: “Herman Brown, uomo di quarantotto anni, faceva parte di una gang criminale, la polizia all’età di venticinque anni lo arrestò per aver ucciso una donna. Scontata la pena sembrava avesse messo la testa a posto e abbandonato le brutte compagnie”. “Non è facile uscire da certi giri” pensò Juliet “secondo me l’assassino è uno della sua vecchia banda, mandato dal capo.” La giornata era stata intensa, così Juliet, dopo aver sorseggiato una camomilla, se ne andò a dormire. La mattina si svegliò piena di energie, consumò la solita scatoletta di tonno per

delle voci, si avvicinò lentamente, senza un piano, e alla fine bussò. Le aprì un ragazzo sulla trentina che subito le puntò una pistola alla testa e in modo sgarbato le chiese: “E tu chi diavolo sei? e cosa vuoi?!” Juliet si presentò goffamente e la scena fu talmente ridicola che la fecero entrare.&nbsp; La casa era vecchia e malconcia, la muffa rivestiva le pareti e l’odore che si percepiva somigliava a quello di un animale morto. Una decina di uomini dall’aspetto poco rassicurante fissavano l’ospite con occhi sgranati e aspettavano di capire le sue intenzioni. Juliet si guardò un attimo intorno, poi chiese: “Conoscete Herman Brown? Anche se penso di sapere già la risposta.” Loro quasi increduli risposero: “Certo, era il migliore, tutti siamo stati un po’ invidiosi di lui. Anche se devo ammettere che è da un bel pezzo che non lo vedo, saranno ormai tre anni, perché? cos’ha combinato questa volta?” Lei ovviamente a bocca

aperta rispose un po’ balbettante: “P-perché n-non siete stati voi ad ucciderlo? Credevo di avere la soluzione di questo giallo in pugno… un attimo… GIALLO… come l’accendino, ma certo come ho fatto a non pensarci subito, il giallo è il colore preferito di… e poi la pistola d’ordinanza, le impronte di scarpa con la suola liscia…” Finalmente Juliet aveva di nuovo una pista, anche se non era proprio contenta degli indizi che aveva raccolto e del nuovo sospettato: da lui non se lo sarebbe mai aspettato. Uscì di corsa dalla baracca senza neanche salutare e con furia si diresse al dipartimento di polizia, superò le guardie all’ingresso approfittando di una distrazione e piombò nell’ufficio dell’amico sceriffo, assicurandosi prima di avviare dal telefono una registrazione dell’audio. “Hey, ciao, che succede?” disse lo sceriffo. “Sei stato tu!” Esclamò Juliet. “A fare cosa? Non ti seguo.” Continuò lo

Ai miei genitori che hanno sempre dato spazio alla mia fantasia...

Era una fredda serata di gennaio e un uomo dal nome ancora sconosciuto si intrufolò in un appartamento abbandonato.&nbsp; Non sapeva ancora che quella sera sarebbe stato ucciso, infatti, successivamente un’altra figura entrò in quella struttura, una figura losca, mascherata, praticamente irriconoscibile. Quest’ultima tirò fuori lentamente la sua arma, un coltello da cucina e portò a termine il lavoro: uccise l’uomo sconosciuto. Il giorno dopo Miss Juliet, una donna francese di circa mezza età, fu avvisata dal suo amico sceriffo, che era avvenuto un crimine. Non lavorava nella polizia perché era considerata stramba e ossessiva. Aveva un lavoro molto umile che le permetteva appena di mantenersi, però aveva un grande spirito di

osservazione e uno spiccato sesto senso, che già in passato le era stato di grande aiuto in alcune indagini. Era una donna piuttosto alta, magra come uno stecchino. Alla vista non si presentava benissimo per il semplice fatto che non si curava di se stessa infatti, pensava prima di tutto agli altri. Aveva i capelli tutti arruffati, là dentro sembrava ci potesse stare di tutto, in più indossava vestiti vecchi e larghi, probabilmente usati, e le scarpe erano così consumate da avere i buchi. Portava degli occhiali tondi e grandi, che le coprivano l'intero volto. Aveva il viso scavato e la bocca secca, perché odiava il rossetto e il burro di cacao. In compenso però, aveva degli splendidi occhioni azzurro-turchese, che osservavano con attenzione ogni cosa.&nbsp;Nella scena del crimine non poteva mancare, c’era sempre quando un caso era difficile. Così arrivò e descrisse tutto nei minimi dettagli: “La vittima è un uomo di mezza età, forse sulla cinquantina, il

suo nome è ancora sconosciuto. È stato ucciso con un coltello da cucina, fabbricato a Down Street, riconoscibile dal logo impresso sulla lama. Dalla scia di sangue e dalla posizione degli oggetti, si capisce che l’uomo deve essere sopravvissuto ai colpi iniziali, anche perché il taglio presente nel cadavere è su un punto non vitale, quindi l’assassino deve avergli dato il colpo di grazia successivamente. Vicino ai piedi della vittima ci sono una pistola, simile a quelle in dotazione alla polizia, un accendino giallo… ora però devo fare un’altra cosuccia.” Così tirò fuori dalle tasche un pacco di farina, lei riserva sempre un sacco di sorprese, e delicatamente la passò prima tra le dita della vittima, poi sull’impugnatura della pistola presente a terra.&nbsp; Alla fine affermò: “Suppongo che la vittima abbia provato a difendersi con questa… la farina svela tutti i segreti se

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