L' assassino silenzioso

Racconti gialli scritti dagli alunni della classe 2C, Scuola secondaria di primo grado Giorgione di Castelfranco Veneto.

Racconti Gialli 2C

Ci sono due tipi di persone che se ne stanno tutto il giorno a pensare di uccidere qualcuno: gli scrittori di gialli e i serial killer.

Sono giovane, ho 23 anni e i capelli marroni, di corporatura sono grande e forte, di carattere grazioso e gentile, sono intelligente e ho una grande vista. Non sono sposato ma mi piacerebbe avere dei figli, ho invece quattro fratelli, di cui io sono il secondo. Adoro investigare. Quando arrivammo, trovammo molti poliziotti che girovagavano per la strada. Il locale in cui era avvenuto l’omicidio era un bar abbandonato, ancora del tutto intatto, non c’erano parti crollate e neppure graffiti, era un posto strano. Entrai nell’edificio, girai nel corridoio a destra e mi ritrovai un cadavere davanti. Chiesi informazioni sulla vittima, Lucas, un poliziotto presente sul posto mi rispose: “Il defunto è un ragazzo di 33 anni, il suo nome è Angelo Belli, viveva a Roma, era sposato e aveva 4 figli, lavorava in una fabbrica di posate da cucina.

Di corporatura forte e muscolosa, d’animo era buono e gentile, non amava la guerra, non gli piaceva litigare, era famoso sui social. Questo è quello che ci hanno detto i suoi parenti, signor Bernardeschi!”. Io intanto avevo già iniziato a lavorare, avevo numerato tutti gli oggetti presenti nella scena del crimine, in totale erano 4: un foulard, una forbice sporca di sangue finto, una pistola a colpo singolo e per ultimo c’era un foglio bianco. Chiesi a un poliziotto vicino che il foulard venisse analizzato. L’arma del delitto non c’era, però, guardando la ferita sul corpo della vittima, sembrava essere stata provocata da un oggetto da taglio, forse un coltello. Nel mentre, il poliziotto di prima ci disse che dovevamo aspettare qualche minuto. Dopo circa 40 minuti, arrivarono le analisi: nel foulard non c’erano impronte. Io uscì dal bar e subito mi accorsi di una cosa strana sulla porta: la maniglia era stata forzata. Chiesi di poterla analizzare e dopo altri 40 minuti di attesa, ecco che arrivarono

Il giorno dopo, andai nella prigione dove c’era il padre della vittima, gli chiesi: “Perché lo hai ucciso?”, lui mi rispose: “Angelo da piccolo era un bravo ragazzo, dolce e teneva molto a me e a mia moglie, si impegnava a scuola e ci faceva sempre dei bellissimi disegni. Quando diventò grande non ci è venuto più a trovare, non ci voleva vedere e un giorno ci ha rubato € 50.000. È per questo che mi sono voluto vendicare, per fargli imparare la lezione, ormai lo odio, non mi interessa se è morto”. Io, sconvolto, me ne andai. Una settimana dopo la signorina Rechett entrò nel mio ufficio, con una faccia molto spaventata, io le chiesi cosa fosse successo, lei mi disse: “Il padre di Angelo è stato ucciso in prigione e non si sa chi sia il colpevole”. Le indagini dovevano ricominciare…

Ero tranquillo nel mio ufficio, seduto su una fantastica poltrona in pelle, quando, all’improvviso entrò Rechett, la segretaria, le dissi: “Mi dica pure signorina!”, lei mi spiegò: “Signor Bernardeschi, c’è un nuovo caso per lei!”. Allora io provai ad indovinare di cosa si trattasse: “Penso che sia successo un omicidio. La vittima è un ragazzo di circa 33 anni, viveva a Roma; ho indovinato?”, lei stupita mi rispose: “Sì signore! Ha pienamente ragione. Come ha fatto?”, “Ormai sono sempre le stesse cose, ragazzi giovani uccisi. In più lo avevo letto su un giornale!” le risposi io. Poi andai verso un cassetto, lo aprii e tirai fuori una valigetta contenente i miei attrezzi per trovare gli indizi. “Sono pronto, possiamo iniziare a risolvere il caso!” esclamai, lei mi chiese: “Vuole che la accompagni io fino al luogo del delitto?”, “Ok!” risposi.

“Sì, l’altro giorno Angelo mi aveva portato lì, voleva farmi vedere un graffito che aveva creato”. “Ne è sicura?” le chiesi, “Sì”, mi rispose. Poi mi alzai e, senza neanche bere il caffè, corsi fuori, presi la macchina e partii verso il bar. Quando arrivai entrai, cercai per tutto il salone il graffito, ma non lo trovai. Quindi chiamai la signorina Rechett e le chiesi di eseguire una perquisizione della casa dei genitori della vittima. Due ore dopo, ecco che mi richiamò la mia segretaria, dicendo che i poliziotti avevano trovato un coltello sporco di sangue. Le dissi di dire alla polizia di arrestare la madre. Avevo capito che il coltello era quello che era stato usato per uccidere Angelo. Qualche ora dopo, il marito tornò a casa da lavoro, non trovando sua moglie chiamò la polizia, che gli disse che era stata arrestata per aver commesso un omicidio, lui affermò che non era stata lei; il giorno prima del decesso lui era stato con il figlio,

la madre no; poi mise giù la chiamata. Il giorno dopo, quando mi spiegarono cosa era successo la sera prima, io mi soffermai sulle parole: “Il giorno prima del decesso era stato lui con il figlio”, allora andai a trovare il padre. Lo vidi a casa, bussai, mi fece entrare, era triste, mi domandò cosa volevo, io gli chiesi se poteva darmi il coltello utilizzato per il delitto, la polizia non lo aveva portato via, lui me lo diede. Dopo un po’ di minuti, durante i quali avevo osservato l’oggetto, mi accorsi che il marchio era quello della fabbrica dove lavorava Angelo. Dopo andai verso la cucina, cercai le posate, quando le trovai, lessi i marchi e nessuno combaciava con quello dell’arma del delitto. Domandai al signore: “Lei ha mai usato il coltello prodotto dalla fabbrica di suo figlio?”, lui mi rispose: “Sì, per tagliare la carne due giorni fa!” “Che tipo di carne? gli chiesi, “Carne di…e…uma…no” mi rispose piangendo, allora chiamai la polizia e lo feci arrestare e liberare la moglie.

Scuola secondaria di primo grado Giorgione

arrivarono i risultati: c’era un’impronta digitale. Apparteneva a una ragazza di 30 anni che, stranamente, era un’amica della vittima, viveva anche lei a Roma, in via Angelico Luciani, numero 4, allora partimmo in macchina. Quando io e Rechett arrivammo , lei ci aprì come se niente fosse, sembrava quasi normale per lei avere visite di questo genere. Dopo essere entrati in casa sua le feci delle domande: “Conosce Angelo Belli?”, ”Sì, è un mio amico” rispose lei come se non le interessasse. “Sa che è deceduto, e che probabilmente è stato un omicidio?”, “Come è possibile, come è morto?... aspettate, non penserete sia stata io ad ucciderlo, vero?” rispose lei molto agitata, “Abbiamo trovato sulla porta del bar abbandonato dove è stato ucciso le sue impronte digitali!” le dissi io in modo sgarbato. “È il bar situato a Seven Street, quello in cui è deceduto?” chiese lei ansiosamente.

“Sì!, proprio quello!” risposi io. “Ci vado ogni domenica ad ascoltare la musica, così per stare tranquilla e da sola!” mi disse lei. “Ne è sicura?” “Sì, glielo giuro, lo chieda a mio padre!”, mi disse lei. Salutai la signorina e tornai al bar. Quando arrivai, mi venne incontro Lucas: “Signore! signore! abbiamo trovato delle impronte digitali sul pavimento del bar!” mi disse. Entrai e mi venne riferito che le impronte appartenevano alla madre della vittima. Mi avviai verso la casa della sospettata, quando arrivai, lei era in giardino a piantare dei fiori, io la chiamai: “Signora! è la madre di Angelo Belli?”, lei mi rispose: “Sì, sono io!”. Mi avvicinai, lei si allontanò, io le dissi: “Tranquilla signora, sono solo un detective, devo farle delle domande!”, lei si alzò e mi fece entrare in casa, mi sedetti sul divano e mi portò un caffè. Quindi iniziai a interrogarla: “È mai stata al bar abbandonato di Seven Street?”

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