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Mediterraneo Racconti di viaggio, 4 parte

by Isabella Mecarelli

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Isabella Mecarelli
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MEDITERRANEO
Racconti di viaggio
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4^ puntata
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COMEN Conferenza Mediterranea
Associazione Internazionale
Domenica 18 luglio era il giorno del mio compleanno, per cui decidemmo di festeggiarlo godendoci sole e mare nei pressi del campeggio. Gonfiato il canotto, ci spingemmo al largo. Mentre Rolando si dette subito da fare dedicandosi alla pesca col fucile, io rimasi beatamente sdraiata a crogiolarmi al sole, incurante dei suoi strali. Più che decisa ad arrostirmi, gettavo a volte uno sguardo sulla costa suggestiva dove le palme si spingevano fino in acqua; ogni tanto un tuffo serviva a rinfrescarmi, si fa per dire, visto che la temperatura del mare era tiepida e invece che al nuoto, invitava piuttosto a starsene a mollo accarezzati dai flutti.

Rolando risalendo improvvisamente in superficie, mi procurò un sobbalzo. Era tutto eccitato perché aveva incontrato in profondità una splendida manta, l’avrebbe voluta colpire, ma al momento decisivo gliene era mancato il coraggio. Si tuffò di nuovo, per riemergere poco dopo tenendo stretto in mano il premio di consolazione: la spugna che sarebbe andata ad arricchire la bacheca di casa dedicata alle scienze naturali.

La sera al campeggio, prima di dormire, consapevoli stavolta di quanto sarebbe avvenuto nel colmo della notte, applicammo dei tappi di ovatta alle orecchie per proteggerci dalla musica assordante che come previsto si ripeté.
Il soggiorno sull’isola si protrasse per alcuni giorni. Ci eravamo ambientati. Avevamo anche scambiato le impressioni di viaggio con alcuni italiani, ospiti dell’albergo, che lamentandosi per il cibo e la scarsa pulizia, ci fecero apprezzare ancor più la nostra sistemazione in campeggio.

Avevamo intenzione di riposarci ben bene, in modo da affrontare al meglio i disagi che avrebbe comportato la nostra puntata nel deserto. Al camping incontrammo anche dei giovani francesi molto simpatici. Provenivano addirittura da In Salah, l’oasi estrema dove si erano spinti, oltre la quale finiva il nastro d’asfalto e cominciavano le piste.

Chiedemmo informazioni sul percorso che avevamo in mente di fare e loro ci incoraggiarono a tentare l’avventura, sconsigliandoci però di proseguire oltre El Golea perché, dato che era impossibile raggiungere Tamanrasset, la meta tanto agognata dagli avventurieri del deserto, macinare tanti chilometri per arrivare a In Salah, dove si arrestava la strada asfaltata, non ne valeva la pena. Rivedo ancora la splendida ragazza francese dai lunghi capelli neri e la silhouette scultorea, mentre aggrottando le sopracciglia, afferma decisa che in quel villaggio “Il n’y a rien du tout!”.

Tamanrasset, capoluogo dei Tuareg algerini, era un mito allora. Quando avevo cominciato a interessarmi al deserto, attirata da luoghi e genti così lontani dalla nostra realtà, ero stata colpita anch’io dal fascino di quella città al centro del massiccio dell’Hoggar, che rappresentava una sorta di quintessenza del Sahara. 
  Erano state le letture di viaggiatori e di religiosi, soprattutto gli scritti di Padre Carlo Carretto che amici cari mi avevano fatto conoscere, ad alimentare la mia voglia di arrivare in quelle zone e di sperimentare di persona l’ambiente e la vita che vi si conduceva.

Carretto apparteneva alla congregazione religiosa dei Piccoli Fratelli di Gesù, che aveva tratto ispirazione dalla figura e dall’esempio di Charles de Foucauld.

Leggendo le sue testimonianze nelle Lettere dal deserto, si capiva che era arrivato dove la sua fede lo aveva portato, ossia in un luogo solitario, in cui la natura era rimasta integra e nessun elemento artificiale poteva scalfirne la genuinità. 
I cieli trapuntati di stelle che contemplava e descriveva nei suoi resoconti, apparivano in tutto il loro fulgore, rimandando anche ad immagini poetiche e del tutto laiche, come le descrizioni di quegli spazi che Leopardi, pur conoscendoli solo dalla letteratura, aveva saputo rappresentare mirabilmente.

Il Canto notturno del pastore errante nell’Asia è un viaggio narrato da uno che non ha viaggiato, ma immagina i sentimenti di chi quei luoghi abita e vi si sposta, e che, pur contemplando il firmamento da illetterato, o forse proprio perché privo di riferimenti culturali, riesce ad entrare in contatto diretto col mistero della Natura.

Altri racconti di viaggi intrapresi da conoscenti, mi avevano colpito, instillandomi il desiderio di seguirne le orme.

Enrico Dante, il fratello di una mia cara amica, pochi anni prima era tornato da una spedizione in Algeria, dove con una comitiva aveva percorso centinaia di chilometri a bordo dei mitici pulmini Volkswagen per raggiungere la meta agognata: Tamanrasset. 
Vedendo le sue diapositive, mi confortai deducendo che spingersi fino a quei luoghi non era dunque impossibile. Scoprire un mondo così lontano dalla nostra civiltà, per molti versi poco comprensibile, ma proprio per questo tanto più attraente, era un’impresa fattibile, dato che per arrivarci occorrevano appena poche ore di navigazione. Poi le automobili avrebbero fatto il resto.

Ma tornando a noi lì a Djerba, apprendere che raggiungere Tamanrasset era troppo difficile, non ci fece piacere. Il problema consisteva nella viabilità. La strada asfaltata che portava nel sud dell’Algeria, finiva a In Salah; il tratto seguente fino a Tam, così era chiamata dagli “amici” Tamanrasset, era una pista alquanto dissestata, e non agibile per le vetture normali.
Anche le fuoristrada tuttavia avevano seri problemi a percorrerla, in quanto la superficie era piena di gibbosità, era tutta una serie di avvallamenti causati dai colpi delle sospensioni degli automezzi pesanti che la percorrevano.

Quel suolo è definito in gergo "tôle ondulée" dalle ondulazioni continue che si susseguono e che sottoponendo i veicoli a sollecitazioni e vibrazioni violente, a lungo andare causano l’allentamento dei bulloni rovinando qualsiasi tipo di mezzo. 
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