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Mediterraneo racconti di viaggio

by Isabella Mecarelli, 6 puntata

Pages 14 and 15 of 18

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Ascensione allo ksar
L’indomani, svegliati dalla natura, ovvero dai primi raggi del sole, ci preparammo per la visita in programma approfittando del caldo, ancora sopportabile, che come avevamo ben sperimentato, sarebbe durato solo poche ore prima che un sole rovente rovesciasse il suo fuoco implacabile.
La temperatura ancor mite del primo mattino ci consentì così di salire fino alla sommità dello ksar, l’antico castello che dominava la cittadina. L’ascesa era alquanto ripida e si presentò difficoltosa, disseminata com’era di ruderi ormai in fatiscenza. Della vecchia fortezza non era rimasto un granché: solo rovine, scarse ma imponenti, erano lì a testimoniarne l’antico splendore.    

In cima si affacciava una grande terrazza, collocata a fianco di una costruzione più recente: dalle scritte sui muri pareva una caserma della legione straniera. La vista che si godeva da lassù era splendida e abbracciava un vasto territorio: si poteva osservare l’oasi al completo e più oltre, all’orizzonte, incuneata fra i due grandi Erg, Occidentale e Orientale, l’immensa distesa sassosa dell’altopiano del Tademait.

Durante la discesa dalla fortezza il sole, desideroso di rifarsi dell’assenza notturna, aveva ripreso a dardeggiare con i suoi raggi spietati. Pensammo di tornare alla missione dei Padri Bianchi. Stavolta la fortuna ci arrise: trovammo uno di loro mentre smontava da una vecchia R4. Ci fermammo a scambiare due parole.
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Quando mi presentai, abbordandolo in francese, quale la mia meraviglia nel sentirlo rispondere in italiano! Ci informò subito che era francese di nazionalità, ma di origini basche, e forse questo spiegava i suoi modi vivaci che denotavano sangue caldo. Ci spiegò anche, con tono entusiastico, di aver appreso la nostra lingua proprio a Roma e, tanto per dimostrarci quanto l’avesse approfondita, infiorava il suo discorso con colorite espressioni in romanesco, buttando lì ripetuti “Ammazza” fra una battuta e l’altra: il suo intercalare preferito per sottolineare il proprio entusiasmo su certi argomenti.

Ci invitò ad entrare nel giardino del convento, dove ci presentò a un confratello francese e alla sorellina di questi, venuta in visita nella missione. Si avviò così una conversazione molto vivace. Per noi era un’occasione d’oro per uno scambio di impressioni sul luogo e sui suoi abitanti. Ci spiegarono che il giorno prima erano stati assenti da casa perché avevano organizzato una gita a un… lago.

Divertiti dal nostro stupore, il padre basco si affrettò a spiegare che si trattava di un lago temporaneo, uno di quei bacini dove le acque si raccolgono in inverno durante il periodo delle piogge. Distante un centinaio di chilometri a sud, era un occasione da sfruttare al volo per una nuotata, visto che era destinato in breve a scomparire come un miraggio di fata Morgana.

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