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Mediterraneo racconti di viaggio

by Isabella Mecarelli, 6 puntata

Pages 10 and 11 of 18

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Al tramonto, come avviene in tutte le oasi, anche El Golea riprese vita: i negozi riaprirono le porte; la gente riprese a circolare per le vie. Mentre la famigliola negra si accingeva al pasto serale, anche noi, ristorati dal riposo, riprendemmo fiato e uscimmo in esplorazione. Scoprii che si trattava di un’oasi molto estesa, forse la più grande di quelle visitate finora, ma non era circondata, come avviene per la maggior parte, da ciuffi di palme isolati che formano una sorta di anello di congiunzione con il deserto, per cui la vegetazione va rarefacendosi prima di cessare del tutto: qui la massa verde era unita, compatta, e netta la demarcazione con l’infinita aridità che la circondava. La parte centrale dell’abitato era di concezione moderna, mentre in periferia le abitazioni apparivano molto misere, per la maggior parte costruite col fango.

Cenammo in un lussuoso albergo con piscina ed aria condizionata; eravamo gli unici avventori, ma la cena non fu all’altezza delle aspettative. Ancora una volta sperimentai la mia reazione al cibo durante il viaggio nel deserto. Quando era possibile cenare negli alberghi, ossia, quando si trovavano, perché quasi ogni oasi ne aveva uno, ma non tutte, ne approfittavamo per saziare una fame dovuta non tanto all’attività, quanto a uno stato molto simile al digiuno. 
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La nostra alimentazione era molto misera; i mercati in cui ci approvvigioniamo, quando li incontravamo nelle tappe, erano talmente poveri nella loro offerta, che a volte pranzavamo con un cocomero, e a cena appena con una minestrina di dadi.
           
Lo stomaco, date queste condizioni, reclamava; la fame, giunta l’ora dei pasti, mi attanagliava. Tuttavia provai uno strano effetto durante tutto il tragitto nel deserto: quando mi capitava di sedermi a tavola, certa di placare finalmente i morsi della fame con bistecca e patate fritte, menù consueto dei ristoranti algerini, succedeva immancabilmente che dopo appena due bocconi, mi si chiudeva lo stomaco, non riuscivo a proseguire e mi toccava lasciare con mio grande rammarico e vergogna quel ben di Dio. Per fortuna Rolando, che non soffriva di questo disturbo, riusciva ad evitarmi la figuraccia di rimandare indietro il piatto quasi pieno, perché spazzolava anche la mia parte.

Così successe anche quella sera a El Golea. Mi limitai a bere, come le altre volte, ingurgitando gran quantità di acqua minerale, ma anche di birra, bevanda che non avevo mai sopportato in passato, ma che stranamente con il caldo sahariano mi attirava: fu così che non in Europa, ma nel luogo che ritenevo più impensato, il deserto africano, imparai a bere la birra e di gusto. 
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